Diritti / Opinioni
Diritti negati: la sentinella rom
Due casi di ordinaria discriminazione -registrati a marzo 2014 a Napoli e Firenze- evidenziano come in Italia siano ancora forti le pulsioni contro questa etnia, alimentata dalle “parole sporche” dei media
La questione sicurezza ha perso posizioni nell’agenda politica degli ultimi tempi. Dopo anni di grida d’allarme e di terrorismo psicologico, più che di immigrazione e microcriminaltà oggi sui maggiori media si parla preferibilmente di recessione, disoccupazione e delle evoluzioni in corso nel mondo politico-parlamentare. Ma non per questo il tema delle discriminazioni è meno pressante nel corpo reale della società. E anzi, alla luce degli insegnamenti della storia, è un dovere civile tenere a mente quell’ammonimento che invita a considerare la condizione delle minoranze -e in particolare di quella rom, la più discriminata di tutte- come una sentinella dello stato di salute di una democrazia. Soprattutto in tempi di recessione, alta disoccupazione e disaffezione rispetto alle istituzioni democratiche.
I segnali, sotto questo profilo, non sono rassicuranti. Ormai sei anni fa fece notizia e diede scandalo, senza però indurre a revisioni della rotta securitaria iperante in quella fase, l’aggressione a un campo rom nel quartiere di Ponticelli a Napoli. Sull’onda di una diceria riportata come notizia -il tentativo di rapimento di una bambina del quartiere- decine di persone diedero l’assalto a roulotte e baracche con l’intento di “punire” l’intera comunità per il gesto forse compiuto da un suo (presunto) membro. Furono lanciate pietre e appiccati incendi sotto lo sguardo passivo delle forze dell’ordine: decine di famiglie rom fecero fagotto in fretta e furia, vittime di un pogrom che non fece scorrere sangue ma che comportò una gravissima lesione alla sicurezza e alla dignità di decine di famiglie e di un intero popolo.
Quell’episodio non spinse ad alcun ripensamento delle campagne sulla sicurezza in atto nel Paese né ad avviare vigorose politiche attive contro il razzismo e in favore del popolo rom. A metà marzo 2014 Napoli è stata teatro di un nuovo pogrom, stavolta a Poggioreale. Diversa la “notizia” all’origine del raid -una ragazza sarebbe stata molestata da due ragazzi indicati come appartenenti al popolo rom-, simile il risultato: il campo di sosta della zona è stato aggredito a più riprese da gruppi di cittadini non ben identificati. Sono stati lanciati sassi e petardi, si è avuta notizia di aggressioni personali: alla fine roulotte e automobili si sono messe in movimento. Come spesso è accaduto nella loro tormentata storia, le famiglie rom hanno scelto di piegarsi e di cercare miglior fortuna altrove. Alex Zanotelli, l’ex missionario da anni attivo a Napoli, è stato il primo a parlare esplicitamente di “pogrom”, mentre le autorità locali hanno minimizzato.
Intanto a Firenze, negli stessi giorni, un altro episodio dimostrava la grave impreparazione delle istituzioni nella tutela delle minoranze e di quella rom in particolare. Il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica -al quale partecipano prefettura, questura, comune, forze dell’ordine- ha deciso l’avvio di un sistema di sorveglianza speciale all’interno e nei paraggi della stazione Santa Maria Novella per fronteggiare casi di accattonaggio considerato molesto. Nel motivare questa discutibile scelta, il Comitato, con tanto di comunicato stampa pubblicato sul sito della prefettura, ha specificato che si intendeva agire rispetto a persone -i presunti molestatori- “in maggioranza di etnia rom”. La comparsa di questa locuzione -dal chiaro spirito discriminatorio- in un documento ufficiale è ben più grave delle analoghe improvvide qualificazioni che siamo abituati a leggere in articoli e titoli di giornale, perché la veste istituzionale legittima il “discorso razzista” e tende a creare una circolarità: l’uso delle “parole sporche” si rafforza nel passaggio media-istituzioni-media.
Ancora una volta il linguaggio tradisce un guasto profondo. Da un lato si minimizza un grave episodio di violenza collettiva e si lascia che solo un missionario coraggioso usi la parola “pogrom”, dall’altro le stesse istituzioni pubbliche -prefettura, questura, enti locali- che dovrebbero essere un presidio di libertà e di garanzia, si lasciano andare a considerazioni discriminatorie prese dai peggiori stereotipi correnti.
La sentinella rom ha azionato ancora una volta l’allarme. Ma c’è qualcuno che l’ascolta? —