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Di nuovo nel fango. Reportage dalla Romagna, alla terza alluvione in 16 mesi
In 24 ore sono caduti 250 millimetri di pioggia: più di quella arrivata durante il disastro del 2023. Le situazioni più critiche si sono registrate nella provincia di Ravenna e a Forlì, territori che avevano già subìto danni pesantissimi. Le voci, la rabbia e la delusione di chi ci vive. “Ci rimboccheremo le maniche perché non abbiamo alternative, però non è giusto”. Intanto la politica si rimpalla le responsabilità
Macchina del caffè. Bicicletta. Fornetto. Bomboniera. Su un foglio scarabocchiato a penna, Stefania fa l’elenco delle cose che vuole recuperare dal fango, dopo che la sua casa a Faenza (RA) è stata invasa dall’acqua nella notte tra il 18 e il 19 settembre.
Il fiume Lamone ha esondato a poco più di cento metri dalla sua porta: è la terza alluvione in 16 mesi, dopo quelle del 3 e del 16 maggio 2023. “Siamo arrabbiati e delusi. Per la terza volta saremo noi a pagare le spese di questi danni. Ci rimboccheremo le maniche perché non abbiamo alternative, però non è giusto”, dice con il magone e le lacrime agli occhi.
Stefania Castiglia è una degli oltre mille sfollati in Emilia-Romagna, dove nella notte tra mercoledì 18 e giovedì 19 settembre il ciclone Boris ha portato piogge intense, che hanno causato l’esondazione di diversi fiumi. Le situazioni più critiche si sono registrate, oltre che a Faenza, nella provincia di Ravenna e a Forlì, territori che avevano già subìto grossi danni a causa delle alluvioni dello scorso anno. A Rimini le mareggiate hanno allagato alcuni stabilimenti balneari. Nel Comune di Bagnacavallo due persone risultano ancora disperse. Nel frattempo, continuano gli interventi dei vigili del fuoco e della protezione civile per far evacuare chi è rimasto bloccato dall’acqua.
“Vedendo come si stavano mettendo le cose, mercoledì pomeriggio siamo andati via da casa, ma non ci aspettavamo di nuovo che il fiume arrivasse nelle strade -prosegue Stefania-. Adesso stiamo cercando di capire da dove ripartire, ma non è facile: stavolta non è maggio, è settembre, andiamo incontro all’inverno e fare asciugare la casa è più complicato. L’unico nostro desiderio è di poter rientrare il prima possibile”.
“Quello che ci fa arrabbiare è che da più di un anno chiediamo interventi di difesa dal rischio idrogeologico e di messa in sicurezza dei fiumi, e invece l’unica strategia della politica è stata quella di incrociare le dita sperando che non piovesse così tanto”. Gianni Fagnoli, 44 anni, ha subìto frane e allagamenti nel suo podere sull’Appennino romagnolo, a Rocca San Casciano. Lì produceva frutti antichi e praticava orticoltura naturale, castanicoltura e selvicoltura. Nel maggio 2023 il suo terreno era stato già colpito dall’alluvione, e per questo Gianni aveva fondato il comitato Appello per l’Appennino romagnolo. Lo scorso 14 ottobre era stato tra gli organizzatori di una manifestazione a Forlì con più di tremila persone, per chiedere risposta ai bisogni degli alluvionati.
“A un anno di distanza non è cambiato granché -spiega Gianni-. La gente si è scordata subito dell’alluvione: il primo inverno ci è andata bene, ma era evidente che presto si sarebbe andati incontro a un altro evento del genere. Non sono stati nemmeno capaci di preparare, difendere e attrezzare un minimo il territorio per ripararlo da un’eventualità ormai scontata, fenomeni che purtroppo oggi sono all’ordine del giorno. L’unica cosa che ha regnato sono stati i ritardi, le negligenze e l’arroganza di chi è stato deputato a occuparsi della ricostruzione”.
La nuova emergenza ha riacceso le polemiche sui mancati interventi e sui sostegni stanziati in ritardo dal governo per l’alluvione del 2023. Il ministro per la Protezione civile Nello Musumeci ha allontanato il 19 settembre la responsabilità dal Governo Meloni, scaricandola invece sulla Regione guidata dal centrosinistra, ed elogiando il generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario straordinario per l’emergenza. Musumeci ha detto anche che la protezione civile ha distribuito alla Regione complessivamente oltre 90 milioni di euro: “Credo che non sia un problema di risorse ma un problema di programmazione e di progettazione, di mettere in cantiere e trasformare le idee in azione”.
Novanta milioni di euro però non sono molti comparati ai 4,3 miliardi di euro stanziati dal governo per l’alluvione alle Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Marche. Molte delle risorse vengono dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Eppure ancora manca il decreto attuativo per distribuire i fondi, e i rimborsi alle famiglie e alle imprese coinvolte, nella maggior parte dei casi, non sono mai arrivati. “Siamo stanchi, arrabbiati, indignati -commenta Fagnoli-. Che cosa farà adesso chi non ha i soldi per ricomprarsi i mobili, o per riaprire l’attività? Che cosa farà chi ha un mutuo sulle spalle? Siamo stati abbandonati”.
Tra gli abitanti colpiti dall’alluvione c’è chi chiede la costruzione di casse di espansione e bacini di laminazione. Chi lamenta la mancata pulizia dei fiumi e delle fogne. Chi incolpa la cementificazione e le costruzioni eccessivamente vicine all’argine. Tutti, però, sono d’accordo su una cosa: così tanta acqua non si era mai vista. In 24 ore, infatti, sono caduti 250 millimetri di pioggia: più di quella arrivata durante l’alluvione del 2023.
“È stata una pioggia eccezionale -spiega il meteorologo Federico Grazzini dell’Agenzia prevenzione ambiente energia (Arpae) Emilia-Romagna-. Già l’anno scorso siamo rimasti stupiti da precipitazioni tanto abbondanti da non avere memoria in quel territorio, da quando esistono le strumentazioni di misurazione. Vedere un altro evento addirittura più violento era inaspettato”.
Il ciclone Boris è nato sul Mediterraneo, poi si è spostato verso i Paesi dell’Est Europa, dove negli ultimi giorni aveva già causato grosse inondazioni e la morte di una ventina di persone. Il 18 settembre la tempesta è ritornata sul Mediterraneo: ha ripreso forza, probabilmente anche a causa delle temperature del mare sopra la media, e ha dato luogo a queste precipitazioni eccezionali.
“Seppur non ci sia un nesso diretto tra cambiamento climatico ed eventi estremi, certamente in questa alluvione è stato un fattore determinante -spiega Grazzini-. In primis il cambiamento climatico ha contribuito ad avere un Mediterraneo incredibilmente caldo, che ha comportato una maggiore evaporazione. E poi c’è da tener presente che nell’Est Europa fino a pochi giorni fa aveva piovuto moltissimo: parte di quell’acqua è probabilmente evaporata ed è arrivata con le correnti da Nord Est a impattare sull’Appennino”.
Non solo, il ciclone Boris si è formato alla fine dell’estate più calda mai registrata nel mondo, secondo i dati raccolti dal Climate change service di Copernicus. L’estate del 2024 è stata di 0,69 gradi più calda rispetto alla media del periodo 1991-2020 e ha superato di 0,03 gradi il record precedente, che era stato stabilito nel 2023.
“Avevamo appena imbiancato, da pochi mesi la casa era pronta -dice Laura, che vive a Faenza nel quartiere di Borgo Durbecco mentre guarda fuori dalla finestra l’acqua marrone che ricopre la strada-. L’alluvione porta povertà: economica, ma anche di intenti e di speranze. Questa notte abbiamo pensato: ‘Andiamo via, lasciamo questo luogo, che futuro offriamo ai nostri figli?’. Ma questa è la mia casa, il posto che io amo, il posto per cui vogliamo fare sacrifici”.
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