Diritti / Opinioni
Denis Mukwege, il Nobel che insegna a difendere i diritti
Il medico congolese ha ricevuto il premio per la Pace per l’attività a tutela delle donne lacerate da abusi e violenze
Sono tante le cose che mi piacciono di Denis Mukwege. La prima, ovviamente, è il motivo per cui è stato insignito del premio Nobel per la pace di quest’anno. Mukwege è un medico congolese. Iniziò a lavorare nel suo Paese come pediatra, ma dopo aver visto molte donne soffrire per le lesioni genitali causate della mancanza di cure appropriate durante il parto, decise di studiare ginecologia e ostetricia in Francia. Rientrato in Congo, nel 1999 fondò il Panzi Hospital a Bukavu, a Sud del lago Kivu, vicino al confine con il Ruanda. È lì che ha iniziato a trattare le donne con le fistole ostetriche. Si chiamano ostetriche perché sono una complicanza del parto, tipica delle popolazioni in cui non esiste un’adeguata assistenza sanitaria. Ma per la maggior parte dei casi, le migliaia di pazienti operate da Mukwege non hanno partorito: le loro lesioni sono dovute a violenza.
Non è il tentativo di dare la vita a un bimbo che le ha lacerate, ma la brutalità assassina dei soldati. Molte schiave sessuali rapite e violentate per mesi, altre vittime di uno stupro pubblico, commesso di fronte a una comunità come punizione collettiva. Uno strumento di guerra, come Mukwege continua a denunciare da anni. Lo ha fatto nel 2012 condannando l’inerzia del governo congolese di fronte all’Assemblea dell’Onu e nel 2014 di fronte al Parlamento europeo che lo ha insignito del premio Sakharov.
La seconda cosa che mi piace è che è nero. È il primo medico di colore che viene premiato con il Nobel per la pace. Gli viene riconosciuto questo premio perché fa il suo lavoro di chirurgo, lo fa bene (è considerato uno dei massimi esperti mondiali di fistole vaginali), lo fa per la sua gente e lo fa raccontando pubblicamente le violenze che le sue pazienti hanno vissuto. È lui stesso minacciato da coloro di cui denuncia gli abusi e vive a rischio costante di ritorsioni e violenze. Anche per questo è in piena comunione con le sue pazienti, molto più che in una normale relazione di cura.
La sua opera infatti non è rivolta solo alla guarigione delle lacerazioni del corpo ma anche alla riparazione dei traumi emozionali delle donne per restituire loro dignità, ad aiutarle a superare l’umiliazione e la discriminazione che incontrano nelle loro comunità di appartenenza e a insegnare loro a difendere i propri diritti. La terza sono le sue foto e le sue apparizioni pubbliche. Ha uno sguardo pacato e risoluto. Sembra quasi schivo, forse sornione, straordinariamente rassicurante, certamente ottimista. Non potrebbe essere altrimenti per poter sopportare tutto il dolore che raccoglie e che cura.
Oltre 50mila sono le donne vittime di violenza operate dal Mukwege dal 1999 a oggi al Panzi Hospital.
La quarta cosa che mi piace di Denis Mukwege è l’uso rarefatto che fa di Twitter. In un mondo dove la notorietà è legato alla presenza sui social, dove i voti elettorali e i “like” si mescolano e dove chiunque si sente autorizzato a commentare qualsiasi evento anche in assenza di informazioni certe o competenze specifiche, sapere che un ginecologo trascorre più tempo in sala operatoria che a twittare mi dà speranza. Ha mandato solo un breve messaggio quando ha appreso la notizia dell’assegnazione del premio. Stava operando, come ogni venerdì mattina. Era alla fine del secondo intervento quando le donne ricoverate hanno iniziato a piangere per la gioia. Così lo ha saputo, dai volti felici delle sue pazienti le cui sofferenze, per un giorno, hanno superato i confini della Repubblica Democratica del Congo. Sono loro che hanno vinto il premio Nobel.
Luigi Montagnini è un medico anestesista-rianimatore. Dopo aver vissuto a Varese, Londra e Genova, oggi vive e lavora ad Alessandria, presso l’ospedale pediatrico “Cesare Arrigo”. Da diversi anni collabora con Medici Senza Frontiere.
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