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Diritti / Opinioni

Dedicato a chi rimpiange le statue degli schiavisti

Edward Colston (1636-1721) è stato un ricco magnate di Bristol che si è arricchito con la tratta degli schiavi verso l’America. La sua statua è stata abbattuta il 7 giugno 2020

Il dibattito sui monumenti civici è appassionante. Ma il punto non è la riscrittura della storia quanto la contesa dello spazio pubblico. Dopo decenni di privatizzazioni. La rubrica di Tomaso Montanari

Tratto da Altreconomia 258 — Aprile 2023

Da storico dell’arte trovo appassionante il dibattito che, in tutto l’Occidente, divampa intorno alle statue civiche. Il punto non è la riscrittura della storia, tantomeno la sua cancellazione (come vorrebbe la vulgata di destra che lo condanna): il vero oggetto di contesa è lo spazio pubblico come luogo in cui una comunità civile costruisce se stessa attraverso un giudizio sul passato e indica una via verso il futuro.

È commovente che questo accada dopo decenni di privatizzazioni selvagge che tendono a far letteralmente sparire, in tutto il mondo, il concetto stesso di spazio pubblico. Si dovrà convenire che tenere (letteralmente) su un piedistallo nella piazza (centro della polis e dunque luogo politico per eccellenza) un personaggio, significa indicarlo come modello di virtù civili. È l’equivalente civile della santificazione: “Guardatelo, prendetelo a esempio, fate come lui”. La statua che vedete nella fotografia in questa pagina raffigura Edward Colston (1636-1721) ricco magnate della Bristol dell’età barocca, fondatore di scuole e filantropo: “Uno dei più virtuosi e saggi figli della città”, lo celebrava l’iscrizione sul basamento dell’opera che lo raffigura. Ma questo sant’uomo era uno dei più terribili schiavisti dell’età moderna: le sue navi trasportarono dalle coste africane all’America almeno 100mila persone rapite ai loro villaggi e ai loro affetti. Non meno di 20mila morirono durante le disumane traversate oceaniche.

Ebbene, il 7 giugno 2020, l’onda lunga delle manifestazioni per la dignità della vita dei neri suscitata dall’uccisione di George Floyd a Minneapolis, ha travolto anche Edward Colston: la statua è stata abbattuta, mutilata, dileggiata e infine gettata in acqua a furor di popolo. Non ci nascondiamo dietro un dito: se masse oppresse in tutto l’Occidente non riescono a condividere la saggia svolta contro il vandalismo compiuta dalla Rivoluzione trionfante, è appunto perché sono tuttora oppresse e sconfitte. Negli ultimi vent’anni a Bristol si era aperto un duro confronto su questa statua: una petizione per la sua rimozione aveva raccolto 11mila firme, ma le autorità si sono opposte financo all’apposizione di una targa che facesse conoscere al pubblico le ombre della vita di quell’uomo vissuto quasi quattrocento anni fa. Eppure, numerose installazioni spontanee avevano reso visibile intorno alla figura bronzea di Colston l’immane tragedia che egli provocò. La notte del 18 ottobre 2018 (Giornata europea della tratta contro gli esseri umani), apparve intorno alla statua un’installazione artistica che presentava una serie di figurine di cemento giacenti a terra. Erano disposte secondo la pianta di una delle navi negriere in cui gli schiavisti come Colston trasportavano le persone in America.

A lato dell’installazione erano presenti i nomi delle professioni odierne a rischio di schiavitù moderne: dagli addetti all’autolavaggio ai domestici, ai raccoglitori di frutta. Un eccellente esempio di risemantizzazione. L’artista Banksy ne ha proposto un altro: “Ecco un’idea che si rivolge sia a chi sente la mancanza della statua di Colston sia a chi non la sente -scrive Banksy ai suoi 9,4 milioni di follower su Instagram-. Lo tiriamo fuori dall’acqua, lo rimettiamo sul piedistallo, gli mettiamo un cavo attorno al collo e facciamo realizzare alcune statue di bronzo a grandezza naturale di manifestanti nell’atto di tirarlo giù. Tutti contenti. Un giorno straordinario commemorato”. Non sarebbe una cattiva idea.

Tomaso Montanari è storico dell’arte e saggista. Dal 2021 è rettore presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra

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