Diritti
De Gennaro, una logica da oligarchi
Dunque anche Gianni De Gennaro è stato condannato. Ha avuto un anno e quattro mesi per un reato molto grave per un uomo dello stato nella sua posizione: secondo i giudici ha spinto un suo sottoposto a mentire in tribunale….
Dunque anche Gianni De Gennaro è stato condannato. Ha avuto un anno e quattro mesi per un reato molto grave per un uomo dello stato nella sua posizione: secondo i giudici ha spinto un suo sottoposto a mentire in tribunale. De Gennaro avrebbe chiesto all’ex questore di Genova Francesco Colucci di correggere la sua versione circa la "convocazione" di Roberto Sgalla, il portavoce nazionale della polizia inviato alla scuola Diaz a gestire a caldo le relazioni coi media (coniò lui l’inverosimile tesi delle "ferite pregresse"). Colucci aveva detto che era stato De Gennaro a consigliare la presenza di Sgalla, ma in tribunale ha cambiato versione: ha detto di aver fatto tutto di testa sua. E’ stato incriminato per falsa testimonianza. Un’intercettazione prova – secondo la corte d’appello – che c’era stato un colloquio preventivo con De Gennaro per concordare il cambio di versione.
Il processo Mortola-De Gennaro era uno stralcio assolutamente minore del processo principale, nel quale De Gennaro non è stato mai imputato. La questione Sgalla – chi lo inviò sul posto – non ha riscolti penali, ma solo di prestigio. De Gennaro, a quanto sembra, desiderava restare del tutto fuori dal caso Diaz, apparire del tutto estraneo a una vicenda così disonorevole per la polizia di stato. La sentenza di ieri sostiene che un ruolo di De Gennaro ci fu – come tutti abbiamo sempre pensato, peraltro – e suggerisce l’esistenza di un "livello politico" mai emerso finora (il ministro dell’Interno Scajola quella notte era a Roma, come De Gennaro). Non ne sapremo mai niente, perché su questo livello la magistratura non è competente e una commissione d’inchiesta parlamentare è stata negata da destra e da sinistra.
Ora resta la insostenibile posizione di De Gennaro. Pare che ieri abbia pensato alle dimissioni, rinunciando al gesto anche per l’intervento del sottosegretario Letta e della fiducia incondizionata espressa dai ministri Alfano e Maroni. Si ripropone lo schema che ha seguito la sentenza Diaz, coi massimi dirigenti della polizia – Gratteri, Caldarozzi, Luperi – condannati a pene gravissime. Il potere politico garantisce protezione e punta il dito sulla Cassazione, chiamata a cancellare le sentenze di secondo grado. Per il vertice delle forze di sicurezza è un patto di ferro con il potere politico del momento. C’è da chiedersi quanto sia compromettente questo patto, quanto sia legittimo sotto un profilo di etica democratica.
Colpisce che nessuno dei ministri e sottosegretari che rabadiscono totale fiducia a De Gennaro come l’avevano ribadita agli altri dirigenti, e anche nessuno dei "garantisti" che consigliano di aspettare la Cassazione prima di parlare di dimissioni (ma qui è una questione di etica istituzionale e non di diritto, si tratta di tutelare la dignità e credibilità delle forze di polizia), sostiene l’innocenza di De Gennaro e degli altri. Sembrano tutti accettare la versione uscita dai tribunali, che infatti è del tutto coerente coi risultati delle indagini (ascoltare le registrazioni telefoniche per farsi un’idea sul caso esaminato ieri). E’ dunque una fiducia che prescinde dai fatti, che va contro i fatti: è una logica da oligarchi.