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Finanza / Opinioni

Dazi, acciaio e rame. Così la speculazione fa a pezzi l’economia reale europea

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La finanza “occidentale” sta paradossalmente favorendo la produzione di Stato cinese e affogando il tessuto del Vecchio continente. Per contrastare l’affermazione di Pechino si invocano strette protezionistiche, con riflessi controproducenti. Ma gli effetti della finanziarizzazione tanto cara ai fondi egemoni non finiscono qui. L’analisi di Alessandro Volpi

Alcuni pochi esempi aiutano a comprendere come la finanziarizzazione stia distruggendo l’economia reale dei Paesi europei. Almeno da inizio anno è in corso un nuovo rally di alcune materie prime, tra cui l’acciaio. Si tratta, in larga misura, di una spinta al rialzo dei prezzi dettata dalle scommesse operate con gli strumenti della finanza derivata. In sostanza, nelle Borse agiscono soggetti finanziari, non legati al ciclo produttivo, che hanno la capacità, con le loro scommesse, di incidere in maniera profonda sui prezzi in misura assai maggiore rispetto alle dinamiche della domanda e dell’offerta reali. Questo rialzo favorisce decisamente l’economia dello Stato cinese che conta ben sette tra i primi dieci produttori d’acciaio del mondo e mette in crisi vasti settori produttivi europei che devono importare l’acciaio a prezzi più alti perché la speculazione finanziaria, operata da fondi degli Stati Uniti, ed anche europei, li ha fatti salire.

In sintesi, la finanza “occidentale” favorisce la produzione di Stato cinese e uccide l’economia reale del Vecchio continente; è singolare, poi, che per contrastare questa affermazione cinese si invochino politiche doganali di natura protezionistica, con nuovi dazi il cui effetto rischia solo di essere quello di rendere impossibili gli scambi commerciali con la Cina, di cui molti Paesi europei, per la natura stessa del loro ciclo produttivo generato dalla globalizzazione, non potrebbero fare a meno.

Ma gli effetti della finanziarizzazione non finiscono qui, come dimostra un altro esempio evidente, legato proprio alle strategie doganali. L’Unione europea mette dazi sulle auto elettriche provenienti dalla Cina che è ormai la principale produttrice di tale mezzo di trasporto. Stellantis, che dovrebbe essere un produttore di auto e che è “europea” perché ha sede fiscale in quel fantastico paradiso fiscale rappresentato dall’incredibile Olanda dei rigoristi, fa un accordo con un produttore cinese, creando una società, di cui detiene il 51% per consentire l’ingresso in Europa delle stesse auto cinesi senza pagare dazi. È evidente allora che Stellantis punta tutto sull’accrescimento del valore finanziario dei propri titoli premiati da questa mossa, che le auto cinesi, prodotte da una solida economia di Stato, arrivano in Europa e che gli stabilimenti europei si svuotano di lavoratori e abbandonano ogni idea di ricerca, al di là delle promesse sul futuro di Mirafiori.

Un terzo esempio ha a che fare un’ulteriore ondata speculativa. I future sul rame hanno superato i 10mila dollari e il prezzo non sembra affatto intenzionato a fermarsi. Come per l’acciaio l’impennata dipende solo in parte dalla dinamica della domanda e dell’offerta reali e molto si lega alla speculazione sugli strumenti derivati. Di questa fiammata, come è prevedibile, beneficiano i soliti noti. I “padroni del mondo”, infatti, si sono già attrezzati pure in tale ambito. Bhp Group, che ha sede in Australia, e Freeport-McMoRan Inc., che gestisce miniere in Indonesia, vedono la partecipazione nell’azionariato di Vanguard, BlackRock e State Street, i tre principali fondi finanziari mondiali. In particolare, in Freeport, che dispone di quasi 1,1 milioni di tonnellate, Vanguard e BlackRock hanno poco meno del 20%.

Ma i tre fondi sono presenti anche in Rio Tinto Group e soprattutto stanno puntando ai grandi produttori cileni, a cominciare da Codelco che è di proprietà dello Stato cileno, ma sconta in questa fase difficoltà finanziarie. Se l’innovazione tecnologica passa per il rame, le “big three” si sono già piazzate e operano per alimentare l’inflazione speculativa della materia prima del futuro. Di nuovo, anche nel caso del rame, questi colossi dovranno fare i conti però con la Cina, il principale produttore mondiale, dove le società sono di proprietà dello Stato e certamente beneficiano della stessa ondata speculativa generata dalla finanza; quella stessa grande finanza che cercherà tutte le strade per entrare nelle impermeabili società cinesi. Naturalmente l’Europa, per la quale andremo al voto, risulta del tutto al di fuori di queste cruciali partite.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento.

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