Ambiente / Attualità
Dalle piazze ai campi, l’impegno dei giovani attivisti per il clima al fianco dei “Last20”
Alla tappa milanese del summit dei Paesi “dimenticati” dai “grandi” ha avuto luogo un intenso confronto tra giovani italiani e africani sui temi del cambiamento climatico. Il racconto del loro impegno per far crescere la consapevolezza, la mobilitazione e per stimolare i governi all’azione
“Penso che le persone, e in particolare i giovani, siano la principale risorsa per promuovere un cambiamento. Per questo motivo, come giovani attivisti, abbiamo chiesto al governo del Kenya di coinvolgerci nell’elaborazione di politiche che riguardano il clima e la lotta ai cambiamenti climatici. Inoltre, abbiamo chiesto di far parte della delegazione che parteciperà alla Cop26 di Glasgow. La presenza dei giovani all’interno delle delegazioni nazionali è importante perché possono osservare come vengono svolti i negoziati”.
Pauline Owiti è una giovane agronomo kenyana impegnata all’interno di diverse associazioni locali e internazionali attive nella lotta ai cambiamenti climatici, per la tutela della fauna selvatica e per la promozione dell’agricoltura biologica tra i produttori delle regioni occidentali del Paese. È stata tra i protagonisti della tappa milanese di “The Last 20” (dal 24 al 27 settembre), il primo summit “dal basso” che ha visto al centro i 20 Paesi più impoveriti del Pianeta, in base alle statistiche internazionali e ai principali indicatori socio-economici e ambientali. Salute e cambiamento climatico sono stati i temi al centro dell’appuntamento milanese, che ha visto il confronto tra giovani attivisti per il clima del Nord e del Sud del mondo.
Federica Gasbarro e Daniele Guadagnolo sono i due delegati italiani allo “Youth for climate”, la conferenza dei giovani sul clima (voluta dal governo italiano) cui parteciperanno 400 giovani delegati da tutto il mondo: “Il nostro compito sarà quello di fare una sintesi delle istanze che verranno presentate il 30 settembre ai ministri che parteciperanno alle Pre-Cop a Milano. Noi faremo da ponte”, ha spiegato Gasbarro.
Chi non partecipa ai tavoli delle trattative sul clima sono gli attivisti di Fridays for future Italia che in questi giorni sono tornati a riempire le piazze per chiedere un’azione più incisiva da parte dei governi per contrastare la crisi climatica: “Al momento non abbiamo accesso alle sedi delle discussioni internazionali, ma abbiamo sempre creduto e continuiamo a credere nel potere delle piazze -ha commentato la portavoce Martina Comparelli-. Negli ultimi due anni il nostro movimento non ha solo scioperato ma ha elaborato nuove proposte: la crisi climatica affonda le sue radici nel sistema capitalistico. Dobbiamo far crescere la consapevolezza su questi aspetti e che è necessario affrontare la crisi climatica da un punto di vista strutturale”.
Figlia e nipote di contadini, Pauline Owiti ha avuto la possibilità di toccare con mano le conseguenze dei cambiamenti climatici. “Negli ultimi mesi Kenya ha subito una prolungata siccità che dalla Somalia ha interessato non solo il mio Paese ma anche Tanzania e Uganda. Questo ha duramente colpito i contadini e ridotto la produzione agricola, che per noi è fondamentale -spiega Owiti-. Inoltre, ci sono state delle esondazioni nella regione del Lago Victoria che hanno costretto circa 3mila famiglie a lasciare le loro case. Le comunità stanno già facendo i conti con le conseguenze del cambiamento climatico: c’è consapevolezza di quello che sta succedendo, ma la maggior parte delle persone non vedono l’urgenza di agire, perché pensano che ci siano problemi più urgenti da affrontare”. Per contribuire ulteriormente al cambiamento, Owiti ha dato vita alla Polly Foundation associazione impegnata nella formazione dei piccoli agricoltori “sull’importanza della tutela delle foreste e della conservazione dell’ambiente, sulla promozione dei metodi di coltivazione biologici per contrastare l’impoverimento dei suoli causato dall’agricoltura intensiva”.
“Una delle sfide principali che dobbiamo affrontare, come attivisti, è che spesso i governi preferiscono che tra la popolazione non ci sia consapevolezza dei problemi e dei propri diritti. Se le persone acquisissero più consapevolezza rispetto ai temi del cambiamento climatico e iniziassero a fare richieste, i governi sarebbero costretti ad ascoltarle”, aggiunge Ismail Joel Eboa Eyoum, segretario generale dell’African network of young leaders for peace and sustainable development (la rete Africana dei giovani leader per la pace e lo sviluppo sostenibile), nato nel 2015 e formato da circa 500 associazioni attive in più di quaranta Paesi del continente. Una rete che pone tra i propri obiettivi proprio quello di creare consapevolezza sulle sfide del cambiamento climatico e dei diritti fondamentali sia a livello locale sia a livello comunitario.
La mancanza di volontà politica, aggiunge Ismail, riguarda anche le difficoltà della popolazione di molti Paesi africani nell’accesso all’acqua o all’elettricità: “In numerosi contesti questi servizi sono stati privatizzati, con l’idea che questo avrebbe comportato un miglioramento ma non è andata così. Il problema dell’accesso all’acqua è sistemico. Così come quello del cambiamento climatico: si tratta di un tema fortemente interconnesso con altre questioni”.
Per molti governi africani un’ulteriore sfida nella sfida è rappresentata dall’esigenza di bilanciare lo sviluppo economico (fondamentale per garantire migliori condizioni di vita alla popolazione) con le esigenze di tutela dell’ambiente naturale e il contrasto al cambiamento climatico. “Il Kenya è un Paese che sta cambiando rapidamente: vediamo, ad esempio, una rapida urbanizzazione. Ma avere uno sviluppo sostenibile nel Pese è molto difficile -continua Owiti-. Prendiamo il caso della costruzione della Nairobi Expressway (un’autostrada lunga 12 chilometri progettata per collegare l’aeroporto internazionale Jomo Kenyatta, ndr). Per realizzarla è stato necessario abbattere molti alberi, ma per le persone ha rappresentato un’opportunità di lavoro. Ed è difficile andare a spiegare loro che non possono avere un lavoro perché bisogna tutelare l’ambiente”.
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