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La finta democrazia nell’era della connessione

Il mercato vuole cittadini soli e dispersi, capaci di connettersi ovunque ma disabituati a qualsiasi relazione con realtà. Per superare l’illusione dell’individualismo bisogna recuperare la “cultura del contatto”. Le idee eretiche di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 204 — Maggio 2018

La cultura del contatto. È la via di superamento della finta comunicazione e della finta democrazia tipiche della cultura della connessione. Il problema non è l’esistenza della rete informatica, ma il suo essere utilizzata come dispositivo di potere controllato da monopolisti e come illusione, per le masse, di possibilità illimitate di relazione. La Rete oggi funziona come un’ideologia. Se le ideologie dei secoli passati si presentavano in quanto progetti di società e orizzonti di valori più o meno ingannevoli, ora le ideologie sono sottotraccia, vengono veicolate dai grandi sistemi organizzativi della società. Il mercato, la tecnologia, la burocrazia, il sistema mediatico e la geopolitica dei mille nazionalismi funzionano come ideologie non teoriche ma esecutive nella mente, nel lessico e nella quotidianità delle persone. Sono inoculate direttamente nei nostri comportamenti senza che si abbia un vero margine di coscienza critica. La “connessione” è la buona novella somministrata agli individui incapsulati nella loro solitudine; è una compensazione nevrotica per soggetti poveri di relazioni effettive. Ci manca il rapporto reale con la vita e questo favorisce la società dell’astrazione: i viventi diventano astratti, il potere (finanziario, tecnologico, militare) diviene concreto e onnipotente. Mentre la connessione affidata alle tecnologie lascia chiunque nell’isolamento del soggetto individualista e consente solo un simulacro di partecipazione, senza coinvolgimento personale e dialogico, il contatto comporta incontro, scoperta, esperienza diretta, rinascita delle relazioni. La cultura della connessione va benissimo al capitalismo tecnofinanziario globalizzato perché lascia i cittadini nella dispersione, non genera un movimento di democratizzazione, non promuove la coscienza critica. Invece la cultura del contatto implica un recupero di senso della realtà, ti porta a riscoprire la terra, le piante, gli animali, le persone, le relazioni, i valori concreti e viventi. Ti riporta a te stesso oltre l’illusione dell’individualismo e agli altri (tutti più o meno “stranieri” agli occhi dell’io autocentrato) oltre il delirio dei respingimenti.

L’espressione politica della perdita di senso della realtà indotta dalla logica incrociata del capitalismo e della tecnologia elevata a universo inglobante ce l’abbiamo davanti ai nostri occhi con la desolante rappresentazione dei balletti della politica italiana attorno al duetto emergente tra Di Maio e Salvini. Nel trionfo di questa miscela di finanza, tecnologia, spegnimento della coscienza collettiva e partiti inetti stiamo assistendo al disvelamento della sterilità e del narcisismo inconcludente dell’intera politica italiana. I “vincitori” delle recenti elezioni sono tali soltanto nel senso che hanno sconfitto il Pd (che peraltro ha fatto di tutto per meritare questo risultato), ma non sono affatto capaci di dare un governo adeguato all’Italia. E non solo per la mancanza dei numeri in Parlamento, ma soprattutto perché non si governa davvero senza un vero progetto di democrazia avanzata e di attuazione della Costituzione, facendo leva sulla suggestione di promesse quali la cacciata dei migranti, la fine dei vitalizi ai parlamentari, l’abolizione della legge Fornero e il reddito minimo garantito scorporato da un programma di democratizzazione dell’economia.

In tale situazione gli attori di economia alternativa in Italia sono a un bivio cruciale. O si conformano a questa cultura dominante, si accontentano di connessioni virtuali e nel contempo restano ripiegati nel proprio frammento; oppure hanno la saggezza di sviluppare la cultura del contatto. Contatto con il territorio e le sue presenze originali, con le persone implicate nella loro attività, con la comunità civile in cui gli attori di altra economia sono inseriti, con le altre soggettività che ugualmente puntano a far nascere una nuova forma di organizzazione economica. Questo sarà anche il loro apporto alla rinascita della politica in Italia.

Roberto Mancini, insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata. Nel 2016 ha pubblicato “La rivolta delle risorse umane. Appunti di viaggio verso un’altra società” (Pazzini editore)

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