Diritti / Opinioni
Covid-19 ha travolto il nostro sistema giudiziario. Come è andata
Blocco delle attività, videoconferenze e graduale ripresa. Un percorso d’emergenza ma non uno “scempio del diritto”. La rubrica “In punta di diritto” di Enrico Zucca
L’emergenza Covid-19 ha travolto anche l’ordinario funzionamento della giustizia. Migliaia di persone frequentano i tribunali: è difficile mantenere il distanziamento, le udienze si celebrano in luoghi chiusi, poco ventilati, dove si parla e a voce alta, quindi -ora si sa per certo- la trasmissione del virus per via aerea è un rischio serio. Ecco perché si è previsto un blocco quasi totale delle attività. In una prima fase si sono trattati solo i casi urgenti, le convalide degli arresti, i processi con detenuti, i provvedimenti di urgenza nel civile. Rinviati tutti gli altri processi, in ogni grado e fase. Sospesi i termini processuali e di prescrizione. Poi, con il calare dei contagi, una graduale ripresa, lasciata all’organizzazione locale dei singoli uffici, per giungere a una normalizzazione. Si pensava a un’emergenza di pochi mesi, ma non è stato così e i costi sono alti per un sistema con problemi d’inefficienza e di arretrato.
La tecnologia, come per tutte le altre attività, è parsa essere una risorsa. Si è prevista allora la celebrazione delle udienze con sistemi di videoconferenza, in primo luogo per gli imputati detenuti. In seguito si è provato a estenderne l’uso per le udienze che richiedevano la partecipazione di giudice, parti, periti e consulenti ovvero polizia giudiziaria. Le discussioni tecniche ben potevano avvenire in video senza pregiudizio fra quei soggetti professionalmente attrezzati. Si escludeva ovviamente, per la sua delicatezza e peculiarità, l’assunzione delle testimonianze di altro genere. Si è fatto così ed anche di più in tutti i sistemi delle democrazie occidentali, di tradizione anglosassone o continentale.
Eppure qui si è parlato di uno scempio dei diritti. Difficile individuare le ragioni alla base di questa viscerale denuncia, così intrisa di temi ideologici anche se paludati tecnicamente. Per le Camere penali dell’avvocatura, il processo telematico è un “autentico sovvertimento dei principi basilari e fondativi del processo penale, quali quelli dell’oralità e dell’immediatezza, che presuppongono l’ineliminabile fisicità della sua celebrazione”. La pressione esercitata è stata tale che si è subito modificata la previsione normativa, escludendo l’udienza telematica in quei pochi casi previsti ed anche nelle udienze di mera discussione finale, per quanto a porte chiuse e su processi esclusivamente cartolari. Dove il processo accusatorio è tradizione secolare, invece, nessuna rivolta. Sospesi o rinviati i processi se non urgenti, processo telematico per tutti gli altri. Negli Stati Uniti così si sono tenute le udienze di convalida degli arresti, le udienze in cui si patteggia la pena, le udienze preliminari (sì, anche le evidentiary hearings dove si sentono testimoni). Rinviati, a tempo indeterminato, i soli processi con la giuria, ma per la difficoltà di assicurare il distanziamento fra i giurati stessi (12 per il giudizio o 23 per le giurie istruttorie).
La Corte suprema ha consentito le discussioni con il solo collegamento fonico. In Inghilterra, oltre al largo impiego del collegamento telematico, si è addirittura proposto l’abolizione temporanea della giuria o la riduzione dei suoi membri. È prevalso il pragmatismo anche in tutta Europa: i sistemi si sono adattati a un’emergenza sanitaria, evitando una paralisi totale, senza il retro pensiero che taluno volesse consentire la violazione dei diritti, e chissà perché proprio i magistrati, come la retorica nostrana ha insinuato. La nostra Corte costituzionale però ha tagliato corto, continuando la sua attività in videoconferenza.
Enrico Zucca è sostituto procuratore generale di Genova. È stato pubblico ministero del processo per le torture alla scuola Diaz durante il summit dell’estate 2001
© riproduzione riservata