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Così il commercio equo e solidale dà un sapore di giustizia alle spezie

Dallo Sri Lanka all’Indonesia, passando per il Libano, piccole cooperative agricole resistono alla “legge del mercato” e lottano per garantire salari dignitosi. Con il sostegno fondamentale di chi in Italia supporta la vendita dei loro prodotti

Tratto da Altreconomia 252 — Ottobre 2022
Le produttrici di Podie, cooperativa agricola nata in Sri Lanka nel 1974, di cui fanno parte circa 2.500 piccoli agricoltori distribuiti in sette delle nove province del Paese © Altromercato

Il profumo della cannella in un dolce appena sfornato. Il calore di una tisana allo zenzero. Il sapore pungente del pepe e dei chiodi di garofano che vanno a impreziosire tante ricette della nostra cucina tradizionale. Ma chi coltiva e produce le pregiate spezie nei Paesi del Sud-Est asiatico viene pagato solo pochi centesimi al chilogrammo da intermediari senza scrupoli. Al pari del caffè o del cacao, anche il mercato di questi prodotti è soggetto alle dinamiche di sfruttamento tipiche dei prodotti “coloniali”, alle oscillazioni dei prezzi e alle speculazioni sulle commodities.

“Tre anni fa il prezzo del pepe nero pagato ai produttori era sceso sotto le 400 rupie al chilogrammo, un importo pari a circa 50-70 centesimi di dollaro. Noi invece paghiamo i nostri contadini 1,50 dollari: è il prezzo minimo che garantiamo sempre e che abbiamo stabilito discutendo con loro dei costi di produzione e dei margini di guadagno. In questo modo li proteggiamo dall’avidità degli intermediari e dalle speculazioni”, spiega ad Altreconomia Tyrell Fernando, direttore di Podie (acronimo che sta per People’s organisation for development and export) una cooperativa agricola nata in Sri Lanka nel 1974 di cui oggi fanno parte circa 2.500 piccoli agricoltori distribuiti in sette delle nove province del Paese.

Oltre alla raccolta delle spezie, Podie affida alle famiglie di contadini anche alcune parti del processo di lavorazione (come la rottura del guscio della noce moscata o l’essiccazione della cannella) per garantire ai produttori il maggior guadagno possibile © Altromercato

La coltivazione avviene secondo sistemi non intensivi di rotazione dei terreni, senza l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici. Inoltre Podie affida alle famiglie di contadini anche alcune parti del processo di lavorazione (ad esempio la rottura del guscio della noce moscata o l’essiccazione della cannella) in modo da garantire ai produttori il maggior guadagno possibile. La cooperativa si occupa poi della raccolta, della fase finale della lavorazione dell’insacchettamento presso un piccolo stabilimento a Negombo (città a 40 chilometri a Nord della capitale Colombo), dove sono impiegate 40 giovani donne figlie dei pescatori locali.

“Garantiamo ai contadini il prezzo minimo che abbiamo deciso con loro discutendo dei margini di guadagno. Così li proteggiamo dall’avidità degli intermediari” – Tyrell Ternando

I piccoli sacchetti di cumino, cardamomo, coriandolo, pepe e curcuma arrivano in Italia grazie ad Altromercato, che collabora con la cooperativa “da quando il loro magazzino era solo una stanza all’interno di una parrocchia di Colombo -racconta Claudio Brigadoi, responsabile acquisti e cooperazione di Altromercato-. Lo Sri Lanka produce quasi tutte le spezie che consumiamo in Italia: in questo modo, grazie a un unico partner, copriamo buona parte della domanda. Inoltre si tratta di un prodotto che permette una marginalità elevata ai produttori”.

La cooperativa Qawzah produce zaatar e summac: in un’area del Libano molto povera, l’obiettivo è creare opportunità per far tornare chi è emigrato a causa della guerra

A Palermo nella bottega della cooperativa di commercio equo Macondo, creata nel 1993 da un gruppo di studenti universitari, il prodotto più venduto è la curcuma: una polvere dal colore giallo brillante e dal profumo pungente che negli ultimi anni ha avuto grande diffusione anche in Europa per le proprietà anti-infiammatorie, antibatteriche e antivirali. Oltre ai “classici” pepe, cannella e chiodi di garofano. “Li acquistiamo in Indonesia dal nostro partner locale Javara, un’organizzazione ombrello a cui afferiscono diverse cooperative e piccole aziende, che fa da tramite per la commercializzazione dei loro prodotti”, spiega Andrea Ferrioli, responsabile acquisti della cooperativa.

Una pianta di pepe nella provincia indonesiana di Pontianak. I coltivatori commercializzano i propri prodotti tramite Javara, un’organizzazione ombrello che riunisce cooperative agricole e piccole aziende © Macondo

Javara è nata nel 2008 per iniziativa di una giovane avvocata, Helianti Hilman, che seguendo alcune cause pro-bono ha scoperto le realtà dei piccoli produttori locali e si è appassionata alla produzione alimentare e al patrimonio gastronomico del suo Paese, mettendosi in gioco in prima persona per provare a sanare alcune storture. “Javara applica gli stessi principi del commercio equo e solidale: per quanto riguarda le spezie si sono sostituiti agli intermediari locali garantendo ai contadini il pagamento di un prezzo adeguato alla qualità dei loro prodotti”, spiega Ferrioli.

“Abbiamo una quindicina di varietà di spezie tra cui tre tipi di zenzero, quello bianco, il giava ginger molto aromatico e lo zenzero rosso che è raro e ancora poco diffuso” – Emily Sutanto

Uno dei principali problemi per i piccoli produttori in Indonesia è il rapporto con i cosiddetti tengkulak: “Gli intermediari che all’inizio della stagione prestano ai contadini i soldi necessari per l’acquisto delle sementi o per altre spese, con tassi d’interesse molto elevati. Al momento del raccolto, quando i prezzi si abbassano, i contadini non sono in grado di restituire il debito. E così, anno dopo anno, si impoveriscono sempre di più”, spiega ad Altreconomia l’imprenditrice sociale Emily Sutanto, fondatrice di Sunria.

Dal 2009 lavora con i coltivatori di riso della provincia di Giava, nel centro dell’Indonesia, garantendo loro un canale per la distribuzione all’estero: in Italia riforniscono le botteghe di Libero Mondo e da alcuni mesi ha iniziato a collaborare anche con una trentina di produttori di spezie. “In queste settimane stiamo completando la raccolta. Abbiamo una quindicina di varietà tra cui tre tipi di zenzero, quello bianco, che è il più comune anche in Occidente, il giava ginger molto aromatico e lo zenzero rosso che è raro e ancora poco diffuso -spiega-. Dovremo far essiccare le spezie e stiamo mettendo a punto il packaging. Entro fine anno contiamo di poter avviare la distribuzione e la commercializzazione”.

Georgette Saab, manager della cooperativa libanese Qawzah che produce spezie e aromi nel Sud del Paese © Liberomondo

Ma non serve andare fino all’altra parte del mondo per scoprire e sperimentare aromi sconosciuti. Nel Sud del Libano, la cooperativa Qawzah produce zaatar (una miscela di spezie utilizzata per insaporire carne e verdure, o semplicemente mescolata con olio di oliva per aromatizzare il pane) e summac, una polvere dal colore rosso e dall’aroma acidulo simile al limone. La cooperativa è stata fondata nel 2012 da Issam Saab che da Beirut ha deciso di tornare a vivere nel suo villaggio d’origine, in una delle aree più povere del Paese e soggetta a un crescente spopolamento anche a causa della guerra con Israele del 2006. Oggi, grazie al lavoro della cooperativa, 18 persone (tra cui sei donne) riescono a mantenere le proprie famiglie attraverso la coltivazione, l’essiccazione e la trasformazione delle spezie. L’obiettivo è quello di incoraggiare coloro che sono emigrati a ritornare, combattendo così lo spopolamento e ridando una nuova vita alle colline del Sud del Libano. Il summac di Qawzah arriva in Italia tramite Libero Mondo. “È un prodotto inedito per noi e per chi entra nelle nostre botteghe -commenta il vicepresidente Luca Gioelli-. Ma il commercio equo è anche questo: un’occasione per conoscere realtà nuove, aprire un dialogo e avviare un percorso”.

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