Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Approfondimento

Corpi manifesti: identità e politica nei disegni delle nuove illustratrici

"La lotta è fica" a Bologna © Michele Lapini

Grafiche e fumettiste prendono la matita per rappresentare soggettività non conformi ai canoni tradizionali. Realizzano manifesti e danno forma ai movimenti per i diritti delle donne. Così l’autodeterminazione arriva in strada

Tratto da Altreconomia 231 — Novembre 2020

Quando ha letto il messaggio arrivato sul telefono, Carolina Grandinetti, illustratrice argentina, si è sorpresa. Erano poche parole che dicevano: “Grazie per raccontare la nostra storia e supportarci. Ne abbiamo bisogno”. A scriverlo era stata una ragazza bielorussa, una delle manifestanti che da mesi nel Paese scendono in piazza contro la politica del presidente Aleksandr Lukašenko. La ringraziava per l’illustrazione, pubblicata ad agosto 2020 sulla copertina del The Guardian Weekly, con cui l’artista aveva dato forma alle proteste guidate dalle donne nel centro di Minsk. Era un volto ritratto su uno sfondo rosso: una donna, vestita di bianco, che stringe un fiore. “Volevo trasmettere un’idea di potere e forza, restituendo la dimensione politica di quello che stava succedendo”, spiega ad Altreconomia Grandinetti. “Il gesto del pugno chiuso attorno al fiore rappresenta la lotta per la pace e per la libertà del popolo bielorusso. Sono emozionata all’idea che sia avvenuta un’identificazione con questa immagine”. Il disegno dell’illustratrice è stato infatti ripreso durante le mobilitazioni, ricalcato su striscioni e manifesti. È uscito fuori dalla pagina, si è radicato nelle strade diventando uno strumento di “empoderamiento femenino”, spiega Grandinetti, una forma di autodeterminazione in uno spazio pubblico che ha messo insieme arte e attivismo.

 

Un’illustrazione realizzata da Carolina Grandinetti sul movimento argentino per i diritti delle donne Ni Una Menos © Carolina Grandinetti

Il legame tra politico e personale non è nuovo per le illustratrici argentine che nell’ultimo decennio hanno occupato con forza lo scenario artistico del Paese attraverso festival, gruppi e collettivi. È la storia del gruppo di illustratrici Cuadrilla Feminista: fondato nella città di Rosario, usa il manifesto come mezzo di comunicazione per sensibilizzare rispetto a temi legati alla crisi economica, ai diritti e alla violenza di genere. Le sue animatrici appendono gli afiches sui muri dei palazzi e invitano il pubblico a fare lo stesso diffondendo sui social network i materiali da potere scaricare e stampare. È anche il caso del collettivo Línea peluda, nato nella capitale Buenos Aires, che dà forma alla mobilitazione per la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza portata avanti dal movimento femminista Ni Una Menos (Non una di meno, ndr). Sono questioni che “ci attraversano, ci interrogano e ci costringono ad assumere una posizione”, commenta Grandinetti. Proprio il richiamo del periodo storico l’ha spinta a prendere la matita per rappresentare la battaglia per l’aborto libero, sicuro e gratuito che scuote l’Argentina dal 2015. “Ho disegnato una donna seduta su un utero dalla forma di un trono. L’immagine ha avuto molta risonanza tra le attiviste”, spiega. “Penso che in illustrazioni come questa ci si possa identificare perché rompono la visione normata dei corpi. Hanno un enorme potenziale”.

“Vogliamo farci ascoltare da una società che nega la nostra presenza e si autoassolve con il meccanismo delle quote rose. Vogliamo essere visibili” – Carla Berrocal

© Carla Berrocal

Anche sui muri del centro di Bologna sono apparse le soggettività non adeguate ai canoni tradizionali. A rappresentarle sono state le artiste del progetto “La lotta è fica” organizzato dal collettivo bolognese Cheap, fondato nel 2013 con l’obiettivo di lavorare sugli spazi urbani avendo come riferimento il gruppo delle Guerrilla Girls che denuncia il gender gap all’interno del sistema dell’arte. Venticinque sguardi -grafiche, illustratrici, fotografe, fumettiste e street artist scelte dalle curatrici dell’evento- hanno dato forma a un femminismo antirazzista e intersezionale che sottolinea come le forme di discriminazione intersecano genere, classe ed etnia. Si è trattato del primo intervento del collettivo nel periodo successivo al lockdown, scelto per spingere a riflettere anche su quanto successo in quei mesi quando dentro casa il lavoro di cura è spesso ricaduto sulle donne e sono aumentate le situazioni di violenza. “La nostra forma d’arte abita lo spazio pubblico che è il tema del nostro tempo. Partiamo dal presupposto per cui le città non sono neutrali: riflettono una struttura di potere radicata in una dimensione fisica che deve essere ricodificata. Noi vogliamo affermare un diritto alla città: la possibilità di poterne usufruire e cambiarla”, spiega Sara Manfredi, tra le curatrici del festival. Nei manifesti attaccati ai muri sono entrate le donne accanto a corpi queer ed eccentrici che non si riconoscono nell’idea che esistano solo due generi, uomo e donna. “Una vastità di visioni dove il corpo è diventato veicolo di libertà e autodeterminazione. Le reazioni ci hanno travolto”, prosegue Manfredi. “Chi passeggiava per la città ci ha scritto dicendo di sentirsi finalmente rappresentato. Non era più oggetto ma soggetto grazie a immagini che hanno invertito la direzione dello sguardo. Abbiamo dato forma alla nostra idea di città inclusiva”, conclude.

Le città riflettono una struttura di potere radicata in una dimensione fisica che deve essere ricodificata. Noi vogliamo affermare un diritto alla città” – Sara Manfredi

© Giorgia Lancellotti

Il poster creato da Giorgia Lancellotti, illustratrice e graphic designer, è stato un’unione tra Frank-N-Furter del film cult “The Rocky Horror Picture Show” e Rosie the Riveter, l’icona delle donne statunitensi che lavoravano in fabbrica durante la Seconda guerra mondiale. “Un modo fluido di dare visibilità alle soggettività trans dietro le parole ‘Girls support girls’ perché la lotta per i diritti deve unire ogni persona indistintamente dal genere”, spiega l’autrice. Il tocco pop è un tratto distintivo dei disegni di Lancellotti. Una cifra stilistica che “può aumentare la diffusione di un messaggio di sensibilizzazione”, commenta. L’illustratrice ha usato Jessica Fletcher, protagonista della serie tv “La signora in giallo” interpretata da Angela Lansbury, come simbolo di emancipazione e libertà. Incollato sul muro rosso di viale Masini nel capoluogo emiliano, è diventata anche il volto di un messaggio contro i femminicidi.

Il manifesto per il festival “La violenza illustrata” di Bologna intitolato “Taci. Anzi, parla” realizzato da Rita Petruccioli © Rita Petruccioli

“Quando si deve rappresentare la violenza di genere bisogna fare attenzione a non ricadere negli stereotipi che rendono la donna una vittima passiva”, spiega Rita Petruccioli, fumettista, illustratrice, autrice di libri per ragazzi uscita nel 2019 con la graphic novel “Ti chiamo domani” (Bao Publishing). Su cosa fare per avviare una narrazione adeguata, Petruccioli aveva curato un corso di fumetti -insieme al fumettista Zerocalcare e alla scrittrice Carola Susani- a Roma negli spazi di Lucha y Siesta, casa rifugio e accoglienza per le donne che stanno uscendo da una situazione di violenza. Quando la struttura ha rischiato di chiudere le porte, Petruccioli ha prestato la sua matita a una mobilitazione cittadina e a una raccolta fondi per evitare che la casa terminasse le sue attività nel quartiere Tuscolano, dove è attiva da undici anni. Il suo disegno, il volto di una donna che guarda dritta davanti a sé, è finito su manifesti e sullo striscione piantato nel giardino della palazzina. Poi Petruccioli insieme a Lucha y Siesta ha lanciato una campagna rivolta al mondo degli artisti: dietro le parole “Diamo lucha alla città”, ha chiesto di dare la propria visione di una luchadora, una combattente. “Ognuna ha creato un personaggio con il risultato di avere avuto una rappresentazione trasversale e inclusiva”, spiega. L’unione delle differenze è stata la chiave di lettura con cui nel 2018 Petruccioli aveva realizzato il poster per il festival “La violenza illustrata” di Bologna intitolato “Taci. Anzi, parla”. “Quando si realizza un manifesto bisogna essere immediate. Come se si urlasse”, spiega. “Era l’anno del movimento Me Too e delle imponenti manifestazioni di Non una di meno. La mia intenzione era raccontare l’insieme di soggettività. Una collettività di donne diverse per estrazione, cultura, etnia. Differenti anche per gli strumenti per denunciare la violenza: c’è chi usa un megafono, chi scrive e chi legge un libro. Ma unite”, commenta.

Per Carla Berrocal -illustratrice, fumettista e presidente della Asociación Profesional de Ilustradores di Madrid- disegnare corpi non conformi è un “atto politico” soprattutto se lo si fa in uno spazio pubblico. Le sue opere mirano a sottolineare la necessità di uno sguardo di parte “perché rappresentare alterità è il punto di partenza per decostruire l’egemonia dei canoni estetici e mostrare che esistono tante forme di essere e desiderare”. Berrocal ha disegnato, tra gli altri, il manifesto della 20esima edizione della Muestra Internacional Cine y Diversidad Sexual de Castilla y Leon, rassegna cinematografica indipendente che si è tenuta lo scorso maggio. Uno dei suoi ultimi lavori è un’illustrazione realizzata per la campagna “Divergentes” organizzata dalla Consejería Cultural de España en Cuba y el Centro Cultural de España en México per celebrare la differenza sessuale. “Volevo realizzare un’immagine potente che rivendicasse l’attivismo gay da una prospettiva razziale. Credo sia molto importante incorporare la lotta contro il razzismo nel movimento Lgbt+, soprattutto in un momento storico segnato dalle rivendicazioni di Black Lives Matters”, commenta Berrocal. “L’arte sta facendo politica anche quando non lo vuole. È importante che gli artisti ne prendano coscienza e contribuiscano a innescare un cambiamento”. Per sostenere le illustratrici e fumettiste, che in Spagna faticano ad emergere, Berrocal ha co-fondato il collettivo Autoras de Comic. “Vogliamo farci ascoltare da una società che nega la nostra presenza e si autoassolve con il meccanismo delle quote rosa”, spiega Berrocal. “Vogliamo essere più visibili. Ormai è solo questione di tempo”. 

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati