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Economia / Opinioni

“Contratto di governo”. I rischi delle sgrammaticature istituzionali

Il contenuto dell’accordo tra Lega e Movimento 5 stelle si traduce in una gigantesca finanziaria. Come reagirebbe il capo dello Stato, garante della tenuta costituzionale, ad una manovra monstre che copre il certo con l’incerto? Il commento di Alessandro Volpi

Non è difficile immaginare la tempesta perfetta. Gli elementi per scatenarla stanno rapidamente aggregandosi e davvero rischia di bastare poco per la sua esplosione. Da settimane sta prendendo forma, nel dibattito parlamentare, un “contratto” che corre il serio pericolo di essere una somma alquanto disorganica di visioni sociali ed economiche molto diverse. Si dovrebbe combinare il reddito di cittadinanza, tipico strumento dei governi “assistenziali”, nonostante gli sforzi di affidargli finalità pedagogiche, con la tassa piatta che appartiene storicamente al repertorio classico del neoliberismo.

A queste misure si aggiungono la cancellazione almeno parziale della riforma Fornero e una ruvida politica di contrasto all’immigrazione, fondata su una immediata strategia di rimpatri. Di fronte a simili punti contrattuali sorge spontanea la domanda su quale sia il comune denominatore ideale che li tiene insieme, al di là del fatto di essere presi dai programmi di due forze politiche fino a poche settimane fa in nettissimo contrasto; un dubbio reso legittimo dal fatto che persino gli stessi estensori del contratto hanno concepito una sorta di quantomeno anomalo comitato di garanzia, a tutela reciproca delle parti diffidenti. Occorrerebbe ricordare forse che laddove le “grosse coalizioni”, o i governi di contratto, hanno preso forma come in Austria o nella Germania del primo governo Merkel, dopo la fine dell’era Schroder, sono stati il risultato non di una semplice somma di punti tra loro poco coerenti ma di una faticosa elaborazione cha ha prodotto una sintesi tutt’altro che banale. Per fare questo servirebbe una buona dose di tempo che pare non esserci più e soprattutto una cultura politica condivisa, in larga misura assente tra Lega e M5s. Servirà invece una piena disponibilità da parte del presidente della Repubblica ad accettare una declinazione assolutamente notarile del suo ruolo, che dovrebbe limitarsi a prendere atto di una soluzione tutta numerica di un’eventuale maggioranza parlamentare, priva di chiari connotati identificativi.

Questa funzione notarile è però resa ancora più complessa da due fattori che certo non competono direttamente al sindacato del presidente della Repubblica, ma che non possono neppure essere trascurati e che sono rappresentati dalla sostenibilità finanziaria, in termini di conti pubblici, del “contratto di governo” e dal rischio di un pesante deterioramento dei rapporti con l’Unione europea ad oggi sanciti in sede costituzionale. I costi del contratto sembrano oscillare tra i 65 e i 100 miliardi di euro, che comprendono i 25-35 miliardi della flat tax a due aliquote, i 15-30 miliardi del reddito di cittadinanza, i 5 miliardi annui dell’abolizione della Fornero, a cui aggiungere gli oneri per evitare l’applicazione delle clausole di salvaguardia legate all’aumento dell’Iva e le spese per i rimpatri e i respingimenti. Nella sostanza una colossale manovra finanziaria le cui coperture ad oggi sono indicate in un mega condono, definito come una pacificazione che consentirebbe ai rottamati di versare solo il 10% del dovuto con un incasso una tantum di 30 miliardi, nella fiducia in una ripresa economica dettata proprio dagli sgravi fiscali e nella cancellazione di una pletora di agevolazioni fiscali per oltre 20 miliardi; un’operazione quest’ultima decisamente laboriosa e complessa.

Come reagirebbe il Capo dello Stato, garante della tenuta costituzionale, ad una manovra monstre che copre il certo con l’incerto? Il secondo fattore, quello dei rapporti con l’Unione europea, è altrettanto spinoso; ipotizzare forme di insolvenza verso l’Unione, a cominciare dalla surreale ipotesi di una cancellazione unilaterale di 250 miliardi di euro di titoli di debito italiano detenuti dalla Bce ma a tutti gli effetti in capo alla Banca d’Italia, o di sforamento preordinato dei vincoli come elemento di copertura del debito stesso possono rappresentare, per molti versi, un atto eversivo difficilmente accettabile dal presidente della Repubblica che deve farsi garante del rispetto dell’adesione italiana ai Trattati e difficilmente potrebbe ammettere la presentazione alle Camere di un programma di legislatura in cui la dichiarata violazione delle regole comuni fonda la già ricordata, precaria, sostenibilità dei conti pubblici nazionali. L’impressione che emerge da queste vicende è quella di una serie di sgrammaticature istituzionali che, come accennato in apertura, possono condurre il nostro Paese nel cuore di una tempesta economica difficile da superare.

Università di Pisa

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