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La crescita senza freni del commercio mondiale di armi
Nel quinquennio 2012-2016, il volume dei trasferimenti internazionali di sistemi d’arma ha registrato un incremento dell’8,4% rispetto al periodo precedente. I conflitti in Asia e Medio Oriente trascinano il mercato, dove Stati Uniti e Russia -secondo il database dell’istituto indipendente SIPRI- pesano per quasi il 60% dell’export
Il mercato delle armi non conosce crisi. E l’instabilità di Asia e Medio Oriente è una solida garanzia per gli affari. Secondo l’ultimo “Database” curato dal SIPRI -Stockholm International Peace Research Institute, www.sipri.org-, infatti, il “volume dei trasferimenti internazionali di sistemi d’arma è cresciuto ininterrottamente dal 2004, segnando un incremento dell’8,4% tra il quinquennio 2007-2011 e il 2012-2016.
I primi cinque Paesi esportatori hanno assorbito quasi il 74% degli interscambi, monopolizzando il volume di mercato. Si tratta di Stati Uniti (33%, saldamente in testa anche alla classifica delle testate nucleari dispiegate, con 1.930 sulle 4.120 del Pianeta), Russia (23%), Cina (6,2%), Francia (6%) e Germania (5,6%). Nel frattempo, l’India si è intestata il titolo di principale importatore, “ospitando” 13 trasferimenti su 100.
Tra i due quinquenni oggetto dell’aggiornamento del SIPRI, la quinta economia mondiale avrebbe accelerato il “passo” commerciale nel settore “armamenti”, crescendo del 43%. Anche il Sud Est asiatico non è rimasto fermo. Il Vietnam ha “fatto un balzo enorme” -scrivono gli analisti dell’istituto svedese- passando dal 29esimo posto nella classifica degli importatori 2007-2011 al decimo nel 2012-2016 (più 202%). Secondo Siemon Wezeman, senior researcher con il programma dedicato del SIPRI, “in assenza di un controllo regionale sugli armamenti, gli Stati asiatici stanno continuando ad espandere i propri arsenali. E se la Cina sta accrescendo la propria capacità di sostituire strumenti d’importazione con produzione propria, l’India rimane ancora dipendente dal mercato estero.
A guidare la classifica delle prime 100 aziende attive nella produzione militare curata sempre dal SIPRI (la Cina è esclusa dalla misurazione), spiccano le statunitensi Lockheed Martin (fatturato del comparto a quota 36,4 miliardi di dollari), Boeing (27,9 miliardi), la britannica BAE Systems (25,5 miliardi). Finmeccanica-Leonardo, nella classifica relativa all’anno 2015 (l’ultimo utile per bilanci complessivi), era al nono posto con 9,3 miliardi di dollari di fatturato al capitolo “arms sales”.
Anche in Medio Oriente la corsa alle armi non si è fermata. Quasi un terzo delle importazioni globali del 2012-2016 si sono concentrate in quell’area, già stravolta da conflitti armati. L’Arabia Saudita -dopo l’India- è una destinazione vorace: tra 2007-2011 e 2012-2016 ha fatto segnare una crescita del 212 per cento. Il Qatar ha relativamente fatto anche “meglio”: più 245%.
Nella parte dedicata agli “sviluppi degni di nota”, il SIPRI -dopo aver ricordato che nel 2015 le spese militari mondiali hanno toccato quota 1.676 miliardi di dollari, 228 dollari a persona nel mondo- elenca cinque punti chiave. L’Algeria è stato il principale Paese importatore in Africa, attirando il 46% del volume dell’area nel periodo 2012-2016. Nella fascia Sub-sahariana, invece, i bacini di atterraggio degli armamenti sono stati tre Paesi in zone di conflitto: Nigeria, Sudan ed Etiopia. Il Messico -contrariamente all’andamento della regione americana- ha fatto segnare una crescita del volume d’affari del 184% tra il 2007-2011 e il 2012-2016. L’Europa cala nelle importazioni -anche se gli effetti dei contratti stipulati nell’ultimo quinquennio si rifletteranno più avanti- mentre l’Azerbaijan surclassa l’Armenia come volumi d’importazione (20 volte tanto).
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