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Clima: il 2018 sarà l’anno record per le emissioni di gas serra
Il recentissimo rapporto Global Carbon Budget lancia l’allarme: nonostante gli impegni internazionali per contenere il riscaldamento globale, quest’anno si chiude con un aumento di oltre il 2% di biossido di carbonio, dopo un periodo di stasi. Le cause: crescita dell’uso del carbone e sostenuto ricorso a petrolio e gas. Il “peso” della Cina e le responsabilità di USA ed Europa
Il 2018 sarà l’anno record per le emissioni planetarie di CO2, nonostante gli sforzi globali (veri o dichiarati) per fronteggiare il cambiamento climatico. Secondo i dati contenuti nell’ultimo Global Carbon Budget 2018, nell’ambito dell’omonimo progetto di ricerca internazionale (http://www.globalcarbonproject.org), il previsto aumento di oltre il 2% dipende da una massiccia crescita dell’utilizzo del carbone -per il secondo anno consecutivo- e da un altrettanto sostenuto ricorso a petrolio e gas.
I nuovi dati per l’anno in corso sono stati pubblicati in contemporanea sulle riviste scientifiche Nature, Earth System Science Data ed Environmental Research Letters. Ciò che rivelano, in estrema sintesi, è che le “emissioni globali derivanti dalla combustione di combustibili fossili dovrebbero raggiungere 37,1 miliardi di tonnellate di CO2 nel 2018″. Un traguardo inedito che segna una crescita dopo tre anni di sostanziale stop tra 2014 e 2016. “L’aumento di quest’anno è previsto al 2,7 per cento (da +1,8 a +3,7 per cento) -scrivono i ricercatori- mentre nel 2017 è stato dell’1,6 per cento”.
I 10 maggiori Paesi per emissioni nel 2018 sono Cina, Stati Uniti, India, Russia, Giappone, Germania, Iran, Arabia Saudita, Corea del Sud e Canada. L’Unione europea, nel suo insieme, si colloca al terzo posto.
A trainare l’incremento globale delle emissioni nel 2018 è il carbone, che di questo passo, come emerge dal Global Carbon Budget, si candida a superare la soglia del suo “massimo storico” raggiunta nel 2013. Anche il consumo di petrolio è registrato in forte crescita nella maggior parte delle regioni osservate, con un aumento delle emissioni da automobili e camion, compresi Stati Uniti ed Europa. “Anche i voli aerei hanno contribuito all’aumento del petrolio”, continuano i ricercatori, mentre l’uso del gas è “cresciuto quasi senza sosta negli ultimi anni”.
Di fronte a questi dati, il commento di Corinne Le Quéré, direttore del Tyndall Centre for Climate Change Research e professore di Climate Change Science and Policy presso l’University of East Anglia (UEA), è preoccupato: “Per limitare il riscaldamento globale entro l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di 1,5°C, le emissioni di CO2 dovrebbero diminuire del 50% entro il 2030 e raggiungere lo zero netto entro il 2050 circa. Ma siamo molto lontani da questo obiettivo e occorre fare molto di più perché siamo sulla buona strada per vedere quota 3°C di riscaldamento globale”.
Le emissioni in capo alla Cina, come detto, rappresentano il 27 per cento del totale globale (10,3 Gt CO2) e sono cresciute del 4,7 per cento nel 2018, giungendo così a un nuovo apice. “L’aumento delle emissioni -spiegano i ricercatori- è legato alle attività di costruzione e alla crescita economica”. Ma questi dati vanno letti con attenzione, considerando soprattuto come lungo il “flusso” delle emissioni, Pechino risulti un “esportare netto” della generazione di queste a favore di “importatori” di consumo come Stati Uniti ed Europa.
La realtà spazza via qualsiasi negazionismo. “Quest’anno abbiamo visto come il cambiamento climatico può già accrescere l’impatto di ondate di calore in tutto il mondo -continua Le Quéré-. Gli incendi in California sono solo un’istantanea degli impatti crescenti che dobbiamo affrontare se non limitiamo rapidamente le emissioni”.
Tutto questo non significa che i passi verso la “decarbonizzazione” non siano stati compiuti. Glen Peters, ricercatore presso il “CICERO” (Center for International Climate Research) di Oslo, ha studiato da vicino il quadro emissivo. “Gli impegni globali assunti a Parigi nel 2015 per ridurre le emissioni non sono ancora accompagnati da azioni proporzionate. E nonostante la rapida crescita delle tecnologie a basse emissioni di carbonio, come l’energia solare ed eolica, i veicoli elettrici e le batterie, non si sta facendo abbastanza per supportare politiche che vadano a limitare la quantità di anidride carbonica immessa in atmosfera”. Il mondo, dunque, sta venendo meno ai propri impegni scolpiti nell’accordo di Parigi nel 2015.
“La concentrazione di anidride carbonica (CO2) in atmosfera, la causa principale del cambiamento climatico, è destinata infatti ad aumentare in media di circa 2,3 parti per milione nel 2018 -continuano i ricercatori-, raggiungendo così circa 407 parti per milione nel corso dell’anno. Si tratta del 45% in più rispetto ai livelli preindustriali”. Il cambiamento è urgente.
Alla voce “buone notizie” si ritrova l’elenco dei 19 Paesi dove le emissioni sono state ridotte a fronte di una crescita economica. Si tratta di Aruba, Barbados, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Groenlandia, Islanda, Irlanda, Malta, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Svizzera, Trinidad e Tobago, Regno Unito, Stati Uniti e Uzbekistan. Tutti hanno ridotto le loro emissioni nell’ultimo decennio (2008-2017). Quindi non tutto è perduto. Anche perché la diffusione delle energie rinnovabili nel mondo sta accelerando “in modo esponenziale”, con la produzione di energia elettrica che nell’ultimo decennio è cresciuta in media del 15% ogni anno. È il motivo per cui Christiana Figueres, a capo della Mission 2020 e autrice del Nature Commentary, ha ricordato come “Le emissioni globali di CO2 devono iniziare a diminuire a partire dal 2020 se vogliamo raggiungere gli obiettivi di temperatura dell’accordo di Parigi, ma questo è alla nostra portata. Abbiamo già ottenuto risultati che fino a dieci anni fa sembravano inimmaginabili […] I costi delle tecnologie per le energie rinnovabili sono diminuiti dell’80% in un decennio e oggi oltre la metà di tutta la nuova capacità di generazione di energia è rinnovabile. Prima del 2015 molti pensavano che l’accordo di Parigi fosse impossibile, ma migliaia di persone e istituzioni hanno reso il passaggio da impossibile a inarrestabile. E lo stesso vale per la decarbonizzazione dell’economia”.
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