Finanza / Opinioni
Che cosa sta succedendo sui mercati finanziari e perché ci deve preoccupare
L’indice Nasdaq ha recuperato in modo fulmineo le perdite patite nei primi mesi dell’epidemia. A pesare è la corsa di alcuni colossi (digitali e farmaceutici) sempre più “inespugnabili” e in grado di condizionare l’economia e le scelte politiche. Mentre la ripresa “reale” è lontana. L’analisi di Alessandro Volpi
Ormai è dimostrato che i “rally” di agosto sui mercati finanziari sono una leggenda nonostante la riduzione degli scambi, tipica del mese, tenda a favorire le manovre speculative, rendendole relativamente più semplici.
Quanto sta accadendo già da qualche tempo nei listini mondiali, e in particolare su quelli statunitensi, si configura invece come una vera e propria corsa “rialzista” che l’attuale fase vacanziera finisce solo per accentuare.
Alla radice del fenomeno che ha portato l’indice Nasdaq a recuperare, in modo fulmineo, tutte le perdite patite nei primi mesi dell’epidemia e a superare gli 11mila punti si pongono due fatti rilevanti.
Il primo è rappresentato dal perdurare, e anzi dall’intensificarsi, delle iniezioni di liquidità delle banche centrali che sono, di fatto, “catturate” dai sempre più grandi debiti pubblici della gran parte dei principali Paesi del Pianeta. Le dimensioni raggiunte dagli indebitamenti degli Stati, destinati necessariamente a far fronte alla grave crisi economica e sociale, obbligano le banche centrali a inondare i mercati che, ben consapevoli di ciò, non esitano a scommettere senza riserve al rialzo.
Debito e liquidità paiono, in queste circostanze, un binomio inscindibile che gonfia le vele degli acquisti azionari e obbligazionari, a cui certo non fanno grande concorrenza i bassissimi rendimenti dei titoli di Stato.
Il secondo fatto è rintracciabile nell’esplosione, ulteriore, degli acquisti dei titoli tecnologici e delle big company, da Amazon ad Apple, Facebook, Google e Microsoft, a cui si aggiungono i farmaceutici, a diverso modo legati alla cura e al vaccino contro il virus.
Gli investitori, grandi e piccoli, non hanno difficoltà a capire che il futuro passerà di lì. I colossi tecnologici e farmaceutici possiedono tutti i tratti del successo; operano nei settori che l’epidemia ha reso e renderà indispensabili, hanno una forza monopolistica enorme e possiedono una liquidità pressoché illimitata.
I rialzi borsistici è molto probabile quindi che continuino nonostante la flessione di interi comparti, a cominciare da quello energetico, e persino di fronte a pesantissimi dati negativi del Pil di molte delle economie mondiali.
È significativo, in quest’ottica, che il “rally” sui listini a stelle e strisce si consumi mentre il dollaro si indebolisce, vedendo rapidamente ridotta la propria natura di moneta di riserva e di strumento di pagamento internazionale, a cui si cominciano a preferire altre valute e l’uso pressoché esclusivo dell’oro come bene rifugio; le borse americane non sono più lo specchio degli Stati Uniti ma soltanto delle fortune di alcune grandi corporation.
Il carattere distintivo del “rally” in corso è infatti proprio quello di essere generato da poche grandissime società capaci di pesare di più, in termini di produzione di ricchezza finanziaria, di giganteschi pezzi dell’economia reale in disfacimento.
In maniera paradossale, la liquidità delle banche centrali finisce per sostenere i colossali ammortizzatori sociali imposti dall’epidemia e finanziati a debito, ma favorisce anche le già fortissime big tech, senza riuscire ad avere analoga incidenza sulla ripresa economica complessiva.
Non si tratta soltanto dello sganciamento dell’economia finanziaria da quella reale come avvenuto in altri momenti e, in particolare, nel 2007-2008, quanto della scommessa a senso unico operata da mercati “drogati” di liquidità -creata per altri motivi- su un numero limitato di asset, privati di qualsiasi rischio proprio dalla gravità dell’epidemia e dalle sue conseguenze sulla definizione della società del futuro.
I mercati finanziari, come accennato, prefigurano così il futuro e contribuiscono in modo rilevantissimo a determinarlo; l’esplosione borsistica ha condotto Apple a capitalizzare 2mila miliardi di dollari, rendendola di fatto una potenza in grado di sedere nel consesso dei Paesi del G8.
Deriva proprio da questa constatazione un’indispensabile nota di carattere politico. Il boom finanziario, che non accenna a raffreddarsi, ha trasformato grandi gruppi in colossi inespugnabili capaci di condizionare in maniera determinante gli andamenti non solo dell’economia ma anche della politica planetaria; colossi ai quali diventerà sempre più difficile opporsi su più piani, da quello del trattamento dei dati personali dei miliardi di utenti alla possibilità di adottare politiche fiscali credibili nei loro confronti, fino alla capacità dei soggetti politici di resistere alle sempre più allettanti proposte provenienti da queste lobby. Il “rally” di Borsa, alimentato dalla epidemia e dalle misure per contrastarla, rischia di essere soltanto l’anticipazione di un mondo in cui le forme e le pratiche della democrazia reale saranno in serissimo pericolo.
Università di Pisa
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