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Diritti / Intervista

“C’era una volta in Italia”. L’attacco alla sanità pubblica in un documentario indipendente

L'occupazione dell'ospedale di Cariati, in provincia di Cosenza

Tagli per 37 miliardi di euro e 173 ospedali chiusi soltanto nello scorso decennio. Oggi i cinema italiani vengono riempiti da una storia di resistenza a questo processo. Quella dell’ospedale di Cariati, in provincia di Cosenza. Ne abbiamo parlato con i registi, Federico Greco e Mirko Melchiorre

“Facciamo il tutto esaurito a ogni data, e spesso, terminata la proiezione, si accende il dibattito in sala”. Da due mesi il documentario “C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando” gira per il Paese, riscuotendo un successo impressionante considerato che solo il passaparola lo sostiene e che il tema trattato è a dir poco drammatico. L’opera, distribuita da Fil Rouge Media, è infatti un’inchiesta sui tagli e le privatizzazioni al Servizio sanitario nazionale, esemplificati dalla chiusura dell’ospedale di Cariati, Comune della costa ionica in provincia di Cosenza. Ne abbiamo parlato con i registi Federico Greco e Mirko Melchiorre.

Partiamo dal titolo.
FG e MM
“C’era una volta in Italia” allude alla storia della nostra sanità pubblica, smantellata negli ultimi trent’anni. “Giacarta sta arrivando” è un riferimento al secondo binario narrativo: le origini di questa operazione, a livello non solo nazionale ma anche globale. Fra il 1965 e il 1966, le forze armate e i gruppi paramilitari indonesiani, sostenuti da Stati Uniti, Regno Unito e altri Stati occidentali, massacrarono oltre 500mila persone, principalmente militanti comunisti, presunti simpatizzanti di sinistra e membri di minoranze etniche e religiose. “Giacarta” ha finito per indicare la repressione di governi, partiti e movimenti di sinistra, specie nel contesto della Guerra fredda: pensiamo ad esempio al colpo di stato in Cile del 1973, che depose Salvador Allende.

Che cosa lega le due storie?
FG e MM In entrambi i casi siamo di fronte a un’aggressione allo Stato democratico che discende dal pensiero neoliberista, che impone il ridimensionamento dei servizi statali e consente alle multinazionali di conquistare importanti asset pubblici, sanità inclusa. Questo è accaduto prima nei Paesi del Sud globale, con i piani di aggiustamento strutturale di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, e poi in Occidente.

Anche in Italia?
FG e MM L’attività del nostro Servizio sanitario nazionale, istituito nel 1978, fu ostacolata fin da subito dal ministro della sanità Renato Altissimo, del Partito Liberale, l’unico ad aver votato contro la sua creazione. Poi, dalla nascita dell’Unione europea, l’attacco al Ssn si è intensificato. Con le riforme del 1992 e del 1999 (ministri rispettivamente Francesco De Lorenzo e Rosy Bindi), la modifica del Titolo V della Costituzione nel 2001, e i tagli per 37 miliardi di euro dell’ultimo decennio, in cui l’Ue ha formulato ben 63 raccomandazioni agli Stati membri per privatizzare o ridimensionare la sanità, e in Italia sono stati chiusi 173 ospedali, di cui 18 in Calabria. I principali responsabili sono stati i governi di centrosinistra, che hanno aperto la strada agli interessi dei privati. E fra i protagonisti di questa stagione troviamo Mario Draghi, alla Banca mondiale dal 1984 al 1990 e poi Direttore generale del Tesoro fino al 2001. È stato incensato quasi ovunque, ma per noi vederlo al governo è stato uno shock.

Possiamo aspettarci un’inversione di tendenza?
FG e MM
Per ora no. La spesa sanitaria in rapporto al Pil è prevista al 6,1% nel 2024, addirittura sotto i livelli pre pandemia.

Perché la chiusura dell’ospedale di Cariati fu così grave?
FG e MM Perché fu un provvedimento completamente ingiustificato: si trattava di un presidio di eccellenza, con un ottimo servizio di maternità, centrale per il benessere fisico ed economico del territorio. Nel 2020 l’ospedale è stato occupato da alcuni abitanti del paese, costituitisi nell’associazione Le Lampare, per ottenerne la riapertura. Abbiamo saputo di loro mentre eravamo a Crotone a svolgere un lavoro per Emergency, chiamata per aiutare a gestire l’ospedale cittadino durante la seconda ondata della pandemia. I media hanno seguito la vicenda solo in una o due occasioni per fare audience, salvo poi disinteressarsene. C’è voluto un appello di Roger Waters, fondatore dei Pink Floyd, per rilanciare il caso: un chiaro segno di provincialismo, a nostro avviso. Da un anno a questa parte le istituzioni locali (i cui rappresentanti sono esattamente gli stessi che lo hanno chiuso) si sono attivate e hanno promesso di riaprire l’ospedale, ma è possibile che si cercherà di farne una casa della salute, un contenitore vuoto dove è molto facile che entrino i privati.

Che cosa lega questo film al vostro precedente lavoro “PIIGS”, del 2017?
FG e MM In entrambi i film c’è una critica all’austerity imposta dall’Ue, tema che qui affrontiamo grazie agli economisti Randall Wray e Warren Mosler. Austerity vuol dire che lo Stato spende meno di quanto tassi -esclusa la spesa per interessi sul debito pubblico- e s’impegna a tagliare le spese. Una prassi che deriva dai vincoli del Trattato di Maastricht, del Patto di stabilità e crescita e del Patto di bilancio europeo. A livello stilistico, in “PIIGS raccontavamo di una cooperativa sociale romana, Il Pungiglione, che rischiava di chiudere per sempre. Questa storia, come quella di Cariati, dimostra come le decisioni prese nelle stanze dei bottoni abbiano conseguenze pesantissime sulla vita di tutti noi. In “C’era una volta in Italia” abbiamo però voluto mettere in risalto anche la resistenza delle Lampare, Davide contro Golia, per dimostrare che in politica nulla è irreversibile. E per citare Sergio Leone: il cinema o è epos, o non è. Qui la lotta epica è tra uno sparuto gruppo di cittadini e il Ciclope del Washington consensus.

Avete coinvolto non solo esperti della sanità italiana come Gino Strada, Vittorio Agnoletto e Santo Gioffrè, ma anche intellettuali del calibro di Ken Loach, Jean Ziegler e il già citato Roger Waters.
FG e MM Parlare con persone di questa statura è molto più facile all’estero che da noi. Troppi artisti e intellettuali italiani vivono dentro torri d’avorio, non promuovono la conoscenza del reale e la sensibilità per le questioni scomode. Non hanno il coraggio di difendere le proprie opinioni e di pagarne il prezzo. Éric Cantona li chiamerebbe “pecore a buon mercato”.

Che cosa ci manca per evitare che Giacarta arrivi definitivamente anche in Italia?
FG e MM Bisogna capire che l’antipolitica è un errore, che la politica si fa tutti i giorni, dal basso oltre che nelle istituzioni, e che i cittadini devono organizzarsi e prendere rappresentanza politica e mediatica. Stampa e cinema possono fare molto da questo punto di vista. L’interesse del pubblico esiste: per intercettarlo, giornalisti, registi e produttori devono smettere di autocensurarsi. Se le persone vedono una cosa raccontata sullo schermo, poi si sentono in diritto di parlarne. E di lottare.

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