Ambiente / Opinioni
Nelle Case delle sementi si tutela la biodiversità agricola
Conservano i semi e li distribuiscono alle comunità: sono un presidio collettivo di innovazione locale oltre il mercato. Seconda parte. La rubrica della “Rete Semi Rurali” a cura di Riccardo Bocci
Se aveste necessità di cercare varietà di piante particolari non disponibili sul mercato delle sementi, come abbiamo visto nella rubrica scorsa, ecco che finireste per imbattervi in quelle che definiamo Case delle sementi. Iniziative collettive di conservazione, stoccaggio e redistribuzione delle sementi con l’obiettivo di rendere accessibile la biodiversità agricola, supplendo così al fallimento del meccanismo basato sul mercato. Le radici di questi processi sono duplici. Da un lato sono profondamente legate ai Paesi del Sud del mondo e alle pratiche di sviluppo agricolo alternative attuate e sostenute da diverse organizzazioni non governative. Ricordiamo in particolare l’Etiopia, dove nel 1989 le community seed banks sono diventate uno strumento per ricostruire i sistemi sementieri locali dopo la carestia. Dall’altro, le radici si possono ritrovare nei movimenti di seed savers nati nei Paesi industrializzati in cui la società civile si organizza per conservare e diffondere la diversità che sta scomparendo dai sistemi agricoli moderni. Nel 1975 nasce la prima associazione negli Stati Uniti e nel 1986 viene creata l’Australian Seed Savers da Michel e Jude Fanton: si tratta in questi casi di nuove comunità di pratiche tra persone distanti anche centinaia di chilometri.
Oggi esperienze di questo tipo vanno dalle sementi mantenute a livello locale da comunità rurali, alle collezioni gestite attraverso associazioni come Rete Semi Rurali o Seed Vicious in Italia, Pro Specie Rara in Svizzera e Arche Noah in Austria. Se allarghiamo lo sguardo a tutta l’Europa scopriamo che esistono circa 80 iniziative mappate come Case delle sementi (communityseedbanks.org), a testimonianza di un interesse crescente per l’agrobiodiversità. Nella maggior parte dei casi queste realtà prevedono una vera e propria “casa” fisica dove la semente è conservata e da cui è distribuita ai membri della comunità.
In altri casi non esiste un vero e proprio centro operativo ma lo sforzo di conservazione è diffuso in orti, giardini e campi dei singoli membri della comunità. Benché con differenze anche notevoli da caso a caso, l’organizzazione di una Casa delle sementi segue alcuni passaggi comuni. Le operazioni di routine comprendono la tenuta di un registro di entrata-uscita, la pulizia e il monitoraggio dello stato di salute del seme. I sistemi di stoccaggio sono i più vari, secondo la coltura, il clima, le tradizioni locali e le disponibilità tecnologiche ed economiche: il controllo di temperatura e umidità può essere garantito dalla coibentazione naturale, da semplici ventilatori o da deumidificatori. Il seme può essere conservato in vasi di terracotta o barattoli di vetro, a volte trattato con conservanti tradizionali come peperoncino, cenere o polveri a base di rame. La distribuzione delle sementi segue le regole determinate dalle strutture sociali che le gestiscono.
Nel tempo le Case delle sementi stanno diventando anche attori importanti per pratiche di educazione, formazione e ricerca: non più luoghi solo di conservazione ma di produzione di conoscenza e innovazione a livello locale. La natura locale, collettiva e spesso “informale” delle Case delle sementi le colloca in un territorio di nessuno, esterno al mercato e non assimilabile alle strutture pubbliche di conservazione delle sementi ex situ. Un territorio che le politiche pubbliche, purtroppo, ancora non hanno cominciato ad esplorare.
Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola
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