Economia / Attualità
La battaglia milionaria per l’acqua Rocchetta è a un punto di svolta
In Umbria i terreni dove si trovano i pozzi utilizzati dall’azienda sono stati dichiarati di proprietà collettiva dei cittadini di Gualdo Tadino. Che ora vogliono ridiscutere tutto, a partire dalla concessione prorogata senza gara fino al 2040
Sull’etichetta dell’acqua Rocchetta è disegnata la Rocca Flea di Gualdo Tadino, piccolo comune della provincia di Perugia alle pendici dell’Appennino umbro-marchigiano. L’azienda deve tutto a quel territorio: il nome, preso dalla valle della Rocchetta da cui “emunge” la minerale, e soprattutto i ricavi, 57 milioni di euro nel 2018. L’etichetta cela però un paradosso: mentre ne celebra i luoghi medievali, l’azienda fatica a riconoscere alcuni diritti fondamentali della popolazione che li abita. Su tutti, quello della proprietà collettiva sui terreni dove Rocchetta ha i pozzi in concessione, dichiarata ancora una volta nel febbraio di quest’anno in capo alla Comunanza Agraria dell’Appennino Gualdese da parte del Commissario per la liquidazione degli usi civici di Roma.
Non è questione di poco conto. Fino ad oggi infatti Rocchetta si è sempre confrontata soltanto con la Regione Umbria e il Comune di Gualdo Tadino per tutto quel che ha riguardato il cuore della sua attività, cioè i titoli per la “coltivazione mineraria”. Da quest’anno, punto di snodo di una battaglia legale risalente nel tempo, la musica potrebbe radicalmente cambiare e l’azienda esser costretta finalmente a sedersi al tavolo anche con i cittadini proprietari delle aree. Questi ultimi vogliono ridiscutere tutto, concessione inclusa. Quella rilasciata dalla Regione Umbria a Rocchetta, al netto della sua legittimità, è stata prorogata senza gara nel dicembre 2015 per altri 25 anni (quella previgente sarebbe scaduta nel 2022), con un incremento della quantità massima di acqua prelevabile, fissata alla portata media annua di 25 litri al secondo (prima era di 14 l/s).
Tutto a posto? Non proprio. Cinque anni dopo quella proroga, all’inizio di maggio 2020, l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha infatti stroncato l’iniziativa regionale definendola “idonea a produrre un potenziale pregiudizio al confronto concorrenziale tra le imprese e alle esigenze di trasparenza” e auspicando la riforma delle legge umbra sulla materia (LR 22/2008).
57 sono i milioni di euro in ricavi nel 2018 della Rocchetta Spa, posseduta dalla spagnola Industrias Reunidas
Gli interessi economici sono enormi in un campo in cui peraltro il rischio di impresa è limitato: in Italia i canoni di concessione -purtroppo per la collettività- pesano poco o nulla. Secondo il ministero dell’Economia, infatti, per i maggiori produttori di acqua imbottigliata nel nostro Paese il canone incide mediamente “per lo 0,79 per cento sul totale dei costi” e per ogni euro speso in canoni questi “hanno conseguito, mediamente, ricavi da vendite e prestazioni per 191,35 euro” (dati 2015). Nel caso della Industrias Reunidas 2006 -la società spagnola proprietaria di Rocchetta e della Acque e terme di Uliveto, 46 dipendenti in totale- si tratta di 80 euro di ricavi per ogni euro speso in canone. Non male. Messa all’angolo dall’Antitrust, la Regione Umbria -per bocca del vicepresidente nonché assessore alle Politiche agricole e agroalimentari e alla tutela e “valorizzazione ambientale”, Roberto Morroni (già sindaco di Gualdo Tadino)- si è detta subito pronta a metter mano alle regole del gioco (non alla concessione).
25 litri al secondo è la quantità massima di acqua prelevabile secondo quanto stabilito dalla proroga della concessione rilasciata da Regione Umbria a Rocchetta a fine 2015
Ma il provvedimento dell’Autorità è solo la punta dell’iceberg. Tre mesi prima, infatti, il Commissario per la liquidazione degli usi civici di Roma, Antonio Perinelli, aveva dichiarato che i terreni dove ricadono i pozzi sfruttati da Rocchetta (fino a una profondità di 150-200 metri) “costituiscono proprietà collettiva della Comunanza Agraria Appennino Gualdese”, comprendendo sotto al suo “dominio” anche i corpi idrici. Sono i cittadini di Gualdo Tadino dunque i proprietari sin dal 1893 e non il comune, che li aveva accatastati dal 1976: trattasi cioè di “beni collettivi”, non alienabili né usucapibili e neppure oggetto di espropriazione forzata (per 2.150 ettari di montagna). La pronuncia del Commissario è clamorosa anche per altre ragioni. Da un lato perché “esclude qualsiasi potere del Comune o della Regione Umbria”, enti che nella diatriba cittadini-Rocchetta hanno più volte preso la parte della seconda, come denunciano Sauro Presenzini, presidente del WWF Umbria e Stefania Troiani, consigliera comunale d’opposizione a Gualdo Tadino. Dall’altro perché straccia in quanto “invalidi sotto il profilo della carenza di potere e della violazione di legge” gli atti della Regione che nel tempo hanno mutato la destinazione d’uso di ben quattro pozzi sui cinque in quota Rocchetta.
Dunque? Rocchetta ha fatto ricorso contro la sentenza del Commissario agli usi civici (come Regione e Comune) e sul punto dovrà esprimersi a ottobre la Corte d’Appello di Roma. Nel frattempo, per evitare il collasso e con il via libera delle autorità, l’azienda continua a “emungere” l’acqua. Dalla Comunanza è arrivata subito la proposta di un tavolo di trattativa, ma la società non pare interessata. Il confronto sarà ancora lungo, come sa bene Valeria Passeri, legale e vicepresidente del WWF. Lo conferma anche Nadia Monacelli, presidente della Comunanza: “Non siamo contrari allo sviluppo industriale, ma continuiamo ad affermare che questo non può essere ottenuto illegalmente, a discapito del territorio e delle famiglie gualdesi”.
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