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Economia / Opinioni

Bassi salari e scarsa produttività, la Grecia stenta a cambiare pagina

Athene, Grecia © unsplash

A quasi quindici anni dalla grande crisi sono visibili le conseguenze a lungo termine delle politiche di austerità della “Troika”. La rubrica a cura dell’Osservatorio internazionale per la coesione e l’inclusione sociale (OCIS)

Tratto da Altreconomia 261 — Luglio/Agosto 2023

Stando ai recenti articoli di testate giornalistiche autorevoli come The Economist e Financial Times, la Grecia viaggia in un’altra dimensione rispetto agli anni terribili della crisi scoppiata nel 2009, quando l’economia ha perso un quarto del Prodotto interno lordo (Pil) e una famiglia media quasi un terzo del suo potere d’acquisto, mentre la disoccupazione è salita al 28,7%. Oggi l’economia greca corre più veloce della media europea, le esportazioni registrano un boom, e la disoccupazione è scesa all’11,2%.

Questa narrazione ottimista non è priva di fondamento. Il livello degli indicatori che avevano tanto spaventato i mercati nel 2010 è oggi nettamente migliorato. Il disavanzo pubblico (2,3% del Pil nel 2022) è molto più basso di quello italiano (8%). Il debito pubblico, pur enorme (171,3% del Pil nel 2022), è in calo e soggetto a tassi d’interesse agevolati fino al 2030. Infine, il valore delle esportazioni di beni e servizi è decollato al 48,6% nel 2022, lontano anni luce dal 18,9% del 2009.

Tutto bene quindi? Non esattamente. Tanto per cominciare, la crescita verticale delle esportazioni è significativamente distorta da due voci particolari: i trasporti marittimi internazionali (largamente oltre la portata del fisco) e le raffinerie (che importano carburante grezzo per poi ri-esportarlo, appunto, raffinato). Al netto di queste voci, l’aumento del tasso delle esportazioni sul Pil è meno spettacolare: 29,5% nel 2022, rispetto al 16,2% del 2009.

Inoltre, il peso del turismo sull’economia nazionale resta fondamentale: un quinto del Prodotto interno lordo, un quarto dell’occupazione e quasi la metà di tutte le esportazioni. Ma questo settore genera poche entrate fiscali e troppi posti di lavoro di bassa qualità, mentre nel lungo termine è esposto a rischi geopolitici e climatici. Ancora peggio, di pari passo con la ripresa economica sono tornate a crescere le importazioni, in misura ancora maggiore rispetto all’aumento delle esportazioni. Risultato: il disavanzo commerciale con il resto del mondo è passato dallo 0,9% del Pil nel 2019 al 9,4% nel 2022. Non siamo ancora arrivati ai livelli raggiunti prima della crisi (11,9% del Prodotto interno lordo nel 2007 e nel 2008), ma poco ci manca.

Nel frattempo, i salari sono fermi oppure crescono meno dell’inflazione. Secondo i dati del ministero del Lavoro lo stipendio mensile medio lordo è passato dai 1.118 euro nel 2021 ai 1.176 euro nel 2022, un aumento del 5,2%: troppo poco per compensare l’aumento dei prezzi (+9,3% nel 2022). Alla perdita di potere d’acquisto si aggiunge il fatto che l’inflazione colpisce i poveri più dei ricchi, per il semplice motivo che per i primi la spesa per abitazione, energia, e alimentari rappresenta una quota maggiore del reddito rispetto ai secondi.

In un certo senso, le radici di tutte le notizie recenti sull’economia greca (sia positive sia negative) vanno cercate nella gestione di quella crisi, a colpi di austerità e svalutazione interna. Per colmare la distanza fra bassa produttività e consumismo sfrenato, la Troika dei creditori (Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) ha puntato eccessivamente sulla riduzione dei consumi e troppo poco sull’aumento delle capacità produttive. L’eccesso di austerità e di “riforme strutturali” ha condannato la Grecia a rimanere un’economia poco performante anche negli anni a venire.

L’indebolimento dei sindacati è stato uno dei perni in questa strategia: in termini reali, i salari medi sono circa il 25% più bassi rispetto al 2009, mentre il tasso di copertura dei contratti collettivi è sceso dal 100% del 2010 al 14% nel 2017. La questione è se una cosiddetta “altra via” allo sviluppo è compatibile con relazioni industriali squilibrate, in un contesto istituzionale che concede molta flessibilità alle aziende ma offre poche garanzie ai lavoratori. Per ora, l’economia greca sembra intrappolata in un equilibrio di bassa produttività, basse qualifiche e basse retribuzioni.

Manos Matsaganis è professore in Scienza delle finanze al Politecnico di Milano. Fa parte del comitato scientifico di Ocis

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