Diritti / Approfondimento
Diamo ai figli la libertà di incontrare papà e mamma “dentro”
Sono probabilmente 100mila i bambini che in Italia vanno a visitare un genitore in carcere. Associazioni e istituti lavorano per rendere l’impatto con le strutture meno traumatico, come insegna il caso degli “spazi gialli”
Il carcere non dovrebbe essere un posto per bambini. Eppure, nel rapporto di monitoraggio dell’attuazione della Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza (CRC) 2015-2016, si parla proprio delle condizioni dei circa 70mila minori che entrano regolarmente negli istituti penitenziari italiani per visitare il genitore detenuto e mantenere il legame affettivo. Sono spesso dei soggetti invisibili del sistema penitenziario. Nell’ultimo rapporto “Children of Imprisoned parents”, si stima che per l’Unione europea siano oltre un milione: “In Italia possiamo parlare in realtà di 100mila minori che vanno a fare visita a un genitore in carcere. Dobbiamo tenere presente infatti che molti non sono nemmeno conteggiati perché parte di una delle tantissime famiglie allargate, come ad esempio quelli che vanno a trovare il compagno della madre, ma che sono segnalati come soggetti terzi perché non sono i figli diretti del detenuto” commenta Giuseppe De Fazio, referente milanese del progetto del Telefono Azzurro “Bambini e Carcere”, attivo dagli anni 90.
Nel rapporto CRC si parla anche dei cambiamenti e delle pratiche messe in atto per rendere migliori i rapporti tra il genitore detenuto e i figli. Sebbene ci siano degli aumenti che variano dal 14 al 35% per le visite su prenotazione, delle ludoteche (+3%) e dei colloqui in aree verdi (+3%), è anche vero che solo il 9% delle strutture dispone di personale specializzato nell’accoglienza dei bambini e solo il 18% degli istituti penitenziari dispone di un ordine di servizio sulla condotta cui deve attenersi il personale durante queste visite. Tuttavia, su tutto il territorio nazionale, ci sono associazioni che ogni giorno, con la collaborazione di alcuni istituti, cercano di rendere l’impatto dei minori con il carcere meno traumatico, attraverso spazi e progetti che fungono da ponte tra l’interno e l’esterno.
Gli “spazi gialli” e le partite di calcio
In questo spaccato s’inseriscono gli “spazi gialli”: “Sono dei luoghi fisici e mentali, dove i bambini vengono accolti nel loro ingresso in carcere -spiega Marta Ghironi, psicologa e coordinatrice degli Spazi Gialli-. La popolazione detenuta con figli è più della metà e le famiglie sono spesso molto numerose. Hanno 8 ore al mese per stare insieme, che possono essere diluite in 8 colloqui o in colloqui prolungati. In questi momenti si mantiene e sviluppa la relazione con la persona detenuta, e noi aiutiamo le famiglie a renderli un’occasione di mantenimento reale del legame”.
Lo “spazio giallo” è nato nel 2007 a San Vittore, a Milano, e oggi è presente in altre strutture in Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Campania. Accoglie il minore, prima e dopo l’incontro, anche attraverso un percorso chiamato “Trovopapà”, dall’ingresso fino all’uscita, con una mappa interattiva. I bambini sono seguiti da operatori professionali, che attraverso il gioco e il loro linguaggio, in spazi colorati e meno asettici, con libri e giocattoli, possono prepararsi all’incontro in tutte le tappe intermedie, che vanno dal controllo documenti alla spoliazione degli oggetti personali, da cui molto spesso i bambini non vogliono separarsi, come per il distacco successivo con il parente.
“Lo spazio giallo è stato istituito per due motivi: per aiutare il bambino ad affrontare l’impatto con il carcere, e per aiutarlo a fronteggiare la detenzione del genitore. Spesso vengono protetti nascondendo, proprio perché al momento dell’arresto ci sono altre urgenze di cui occuparsi, dagli avvocati ai processi, mentre lo spazio giallo è un luogo dove possono esprimere anche il loro disagio e la loro sofferenza”.
Gli “spazi gialli” sono gestiti dall’associazione Bambini senza sbarre Onlus, che propone anche un calendario di partite di calcio, dove i figli possono fare il tifo per il loro papà: “È un modo per stare all’aperto, facendo un’attività normale e vivendo di più insieme come una vera famiglia”, racconta un detenuto del carcere di Bollate durante una delle partite organizzate nella struttura penitenziaria milanese. Il progetto 2016 ha coinvolto 30 istituti penitenziari e oltre 400 detenuti.
La “Carta dei figli dei genitori detenuti” e il primo esempio di casa famiglia protetta
Dal 21 marzo 2014 è stato firmato un protocollo d’intesa per la “Carta dei diritti dei genitori detenuti” tra il ministro della Giustizia Andrea Orlando, l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza Vincenzo Spadafora e la presidente dell’Associazione Bambini senza sbarre Onlus, Lia Sacerdote. “La carta è il risultato di un lavoro di anni dove abbiamo registrato tutta una serie di bisogni di questi bambini e costruito 8 articoli sulla protezione dei diritti dell’infanzia: siamo molto orgogliosi che questo sia il primo esempio in Europa e che sia adesso oggetto di un gruppo di lavoro europeo per la sua estensione agli altri stati membri”.
Lo “spazio giallo” è nato nel 2007 a San Vittore, a Milano, e oggi è presente in altre strutture in Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Campania
La speranza delle associazioni, espressa sovente, e riportata anche nell’articolo 7 della Carta, è quella di non mettere più i minori nelle condizioni di vivere all’interno delle mura carcerarie, nemmeno nei cosiddetti “Icam” (Istituti a custodia attenuata per detenute madri), strutture con particolari misure per il rispetto dei minori e guardie carcerarie non in divisa ma in borghese. “Attualmente i bambini molto piccoli, neonati e fino a 3 anni, possono vivere con la madre al nido o in strutture casa famiglia protette. Quest’ultima sarebbe la soluzione che preferiamo proprio perché non è un carcere, nemmeno attenuato, ma una struttura governata dall’ente locale, che è una soluzione già prevista dalla legge 62 del 21 aprile 2011”.
Secondo i dati del ministero della Giustizia, pubblicati ad aprile 2017, in Italia sono 50 i bambini che vivono in carcere con le loro madri, nei nidi degli istituti penitenziari o in strutture Icam: “Anche se il numero negli anni si è ridotto -prima erano anche 80 bambini-, ora variano dai 40 ai 50, ma noi vogliamo che questo numero si azzeri” conclude Lia Sacerdote.
Nei primi mesi del 2017, è stata resa operativa la prima Casa famiglia protetta in Italia, a Roma, in zona Eur, in una struttura confiscata alla mafia, finanziata per tre anni dalla Fondazione Poste Insieme onlus e gestita da quattro associazioni, tra cui “A Roma, insieme – Leda Colombini”. “Attualmente sono ospitate 3 madri delle 17 che erano presenti al nido del carcere di Rebibbia, con i rispettivi figli, ma in futuro ne saranno ospitate altre -racconta la presidentessa Gioia Passarelli-. Per loro la vita è cambiata molto, sono più distese e hanno già deciso i turni per gestire quella che è una vera e propria casa. Come se fossero ai domiciliari potranno andare dal dottore se il figlio sta male, oppure accompagnarlo a scuola. Il problema di queste donne è che spesso non possono avere i domiciliari perché non hanno una struttura alternativa, o perché non sanno dove stare. In pochi giorni abbiamo notato una differenza enorme nei bambini, prima molto litigiosi anche tra di loro, ora felici nello sguardo mentre corrono nello spazio verde”.
È molto importante che il bambino mantenga una relazione con il genitore in carcere “perché è fondamentale per la formazione di un’identità”
Dal 1994 l’associazione “A Roma, insieme” ha cercato delle soluzioni per i bambini in carcere: “Abbiamo da subito formato i volontari per poter portare i bambini nei nidi esterni alla prigione, istituendo quelli che abbiamo chiamato “i sabati di libertà” in cui vengono portati fuori tutto il giorno, dalle 9 alle 18, grazie a un servizio del Comune di Roma che ha finanziato un pullman Atac per il trasporto”. Mare, campagna e montagna: “spesso in strutture messe a disposizione dai soci, oppure dalle scuole religiose, o dalla Presidenza della Repubblica e dal Circolo Montecitorio”. Nelle attività quotidiane al nido, vengono organizzati corsi di musicoterapia e arteterapia, dove sono coinvolte anche le mamme, per creare un legame genitoriale: “Grazie alla Chiesa valdese abbiamo ricreato una biblioteca, con centinaia di volumi, specializzata nella formazione per bambini da 0 a 3 anni” conclude la presidentessa.
Le problematiche dei figli di genitori detenuti
Nel rapporto internazionale sui figli di genitori detenuti si fa esplicito riferimento alle conseguenze legate alla detenzione di un genitore, che vanno dai problemi legati alla povertà economica -spesso il genitore in carcere è l’unica fonte di reddito all’interno del nucleo familiare, con la successiva difficoltà d’integrazione nella società e l’emarginazione-, a quelli legati alla salute psicofisica, che può portare all’abuso di sostanze e a problemi psicologici di varia natura, senza contare il rischio che il minore possa replicare il comportamento del genitore.
È importante dividere i diversi momenti in cui approcciarsi con la famiglia: “Nelle case circondariali, come ad esempio il carcere di San Vittore, incontriamo le famiglie e i bambini che hanno da poco avuto a che fare con la carcerazione del genitore, quindi devono affrontare non solo la struttura, che di certo non è rassicurante per un minore, ma anche impratichirsi con una procedura a loro sconosciuta -racconta Marta Ghironi, psicologa e operatrice-. In altre realtà, come potrebbe essere quella di Bollate, l’arresto è ormai un lontano ricordo e bisogna invece affrontare la divisione della vita messa in pratica dalle famiglie, che nascondono l’assenza del genitore incarcerato e il giorno in cui vengono a trovarlo, per paura di venire emarginati o per vergogna”.
9%: sono le strutture italiane che dispongono di personale specializzato nell’accoglienza dei bambini. Solo il 18% degli istituti penitenziari dispone di un ordine di servizio sulla condotta cui deve attenersi il personale durante queste visite
Non sempre però, anche quando sono presenti gli spazi, come ad esempio quelli delle ludoteche gestiti dal progetto “Bambini e carcere” di Telefono Azzurro, si riesce a portare il minore in questo tipo di sale con un’accoglienza privilegiata: “Siamo attivi in 14 città, con 16 istituti penitenziari coinvolti e 21 ludoteche, dove affianchiamo il minore in tutte le fasi di approccio al carcere, dall’accoglienza alla permanenza fino al distacco -commenta Giuseppe De Fazio, referente della zona Milano-Monza-. Può capitare però che non ci siano abbastanza agenti per svolgere questo tipo di attività, perché noi badiamo ai bambini ma loro devono badare agli adulti, e se non sono presenti sistemi come quello di videosorveglianza a Monza, i bambini a volte sono costretti a fare i colloqui nelle sale normali, non all’interno delle ludoteche”. È molto importante che il bambino mantenga una relazione con il genitore in carcere “perché è fondamentale per la formazione di un’identità. Spesso si tende invece a nascondere questa parte di famiglia, difficile da affrontare all’esterno. L’intervento deve essere invece quello di mostrarlo, che è un modo di affrontarlo, metabolizzarlo e quindi superarlo” conclude la psicologa Ghironi.
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