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Augusto Masetti e quelle storie di antimilitarismo da non dimenticare

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Nel libro “Quei matti di antifascisti” sono raccontate vite e traversìe di 53 sovversivi “finiti in manicomio durante il fascismo”. Tra loro anche il muratore di Sala Bolognese, classe 1888, reo tra le altre cose d’essersi rifiutato di gridare “Viva la guerra” anche in pieno fascismo. Un messaggio attualissimo. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini

Tratto da Altreconomia 256 — Febbraio 2023

Ci sono storie fantastiche di antimilitarismo che in troppi vorrebbero dimenticare, specialmente in questi tempi di amore per le guerre “giuste” e gli affari d’oro dell’industria bellica. Per fortuna c’è chi le recupera, rimette in ordine e poi restituisce in bella forma affinché le si possa ritrovare e rileggere con gli occhi del presente. Renato Sasdelli è stato professore nella facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna e per l’editore Pendragon ha curato nel 2022 un libro illuminante, trovato per caso tra gli scaffali dell’Antico Caffè San Marco di Trieste. S’intitola “Quei matti di antifascisti. Cinquantatré storie di sovversivi finiti in manicomio durante il fascismo”.

Parla di cittadini bolognesi che a un certo punto della loro vita sono finiti in manicomio: anarchici schedati, militanti antifascisti, senza patria, attentatori mancati, “massaie prolifiche”, comunisti, soldati in fuga dal servizio militare, ragazzi classe 1899 che con il nemico della Grande guerra proprio non volevano allearsi. Semplici disturbatori della quiete pubblica e prostitute ree d’aver offeso Mussolini. I politicamente convinti (come gli “apostoli socialisti”) ma anche gli insofferenti, che magari all’osteria si eran messi a cantare un inno socialista o gridato contro la miseria del fascismo e dei suoi “capetti”.

Una di queste storie, tra le prime a esser raccontate da Sasdelli, è quella di Augusto Masetti, classe 1888. Muratore di Sala Bolognese, nel 1911, a 23 anni, già segnalato dai carabinieri come “socialista non pericoloso”, viene mobilitato per la guerra italo-turca. Gli toccherebbe andare in Tripolitania ma la mattina della partenza spara a un gruppo di ufficiali gridando “Viva l’anarchia, abbasso l’esercito, fratelli ribellatevi”. Per evitare che una condanna a morte ne faccia un martire, ricostruisce Sasdelli, si decide allora di dichiararlo pazzo e di internarlo nel manicomio giudiziario di Reggio Emilia. Nel giugno 1914, ad Ancona, si tiene una manifestazione a sostegno di Masetti. La convocano Errico Malatesta, Pietro Nenni e Benito Mussolini, allora direttore dell’Avanti!. Quando finisce il comizio i carabinieri sparano sulla folla e uccidono tre persone, scatenando la “Settimana rossa”.

Masetti non uscirà dal manicomio prima del 1932, in piena dittatura. A differenza di tanti suoi concittadini, allora come oggi, non ha però cambiato idea a favor di vento. Il 18 settembre 1935, infatti, va dritto al “Sindacato dell’industria in Bologna” e al dirigente che gli capita a tiro chiede di venir dispensato dal prendere parte alla “grande adunata delle forze del regime”, cioè doversi sorbire un discorso di Mussolini. Aborro la guerra e chi la promuove, dice, ne ho abbastanza della carneficina e non ammetto che si ripeta. Non vuole “convalidare” con la sua presenza la “linea attuale di politica italiana”. Lo prendono e lo portano a Imola e poi al carcere di Bologna. A mo’ di prova del nove gli intimano di gridare “Viva la guerra”. Lui riferisce che non se la sente. Gli danno cinque anni e lo spediscono in confino in Sardegna. Finisce al manicomio di Sassari con la matricola 3379. Tornerà a Imola solo nel maggio 1940 per via di un provvedimento promulgato da Mussolini che vuol celebrare l’entrata nella Grande guerra (a proposito dell’uso propagandistico dei fasti della guerra). Fa appena in tempo a festeggiare la caduta del regime che rientra in carcere (sul camion che lo porta “dentro” avrebbe gridato “Morte a Hitler e a Mussolini”).

Suo figlio Cesare, partigiano della 36esima brigata Bianconcini, perde la vita in combattimento. Nella primavera del 1945 Augusto Masetti esce definitivamente dalla struttura psichiatrica “Luigi Lolli” di Imola, liberata dai nazifascisti il 14 aprile. Non smettono di controllarlo. La questura di Bologna lo tiene tra gli schedati del casellario politico anche in piena Repubblica. Fino al 3 marzo 1966, quando Masetti muore a 78 anni investito da una moto guidata da un vigile urbano. Togliete pure dagli archivi il fascicolo dell’“anarchico schedato Masetti”, scrive la questura alla Divisione affari riservati. L’importante è che la sua incredibile e alienata storia resti nella memoria di chi non vuol rassegnarsi, oggi come ieri, a gridare “Viva la guerra”.

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