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Armi leggere, l’Europa al bivio
La Commissione europea ha proposto di limitare acquisto e detenzione legale anche di armi semi-automatiche. Mentre un report curato per il Flemish Peace Institute (flemishpeaceinstitute.eu) evidenzia una diretta correlazione tra numero di armi possedute all’interno di un Paese e gli omicidi che hanno come vittima una donna
L’8 dicembre a San Giorgio delle Pertiche, nel padovano, un cacciatore ha sparato contro l’auto di una coppia, che si era appartata in campagna: credeva fossero dei malintenzionati. Il giovane, 20 anni, è stato ferito (e ricoverato con una prognosi di 40 giorni). Secondo quanto riportato dalle agenzie, e ripreso da numerosi quotidiani, l’autore del gesto sarebbe stato denunciato tra l’altro per “porto abusivo di armi”. Non è chiaro se ciò dipenda dalle misure per il contrasto del terrorismo adottate dal Governo nell’aprile del 2015. Da allora, infatti, “[l’]attività venatoria non è consentita con l’uso del fucile rientrante tra le armi da fuoco semiautomatiche somiglianti ad un’arma da fuoco automatica”. In Italia questo tipo di fucili -che rientrano, secondo la classificazione europea, nella categoria B7– non possono più essere acquistati per la caccia.
I cacciatori che già ne possiedono, invece, possono continuare a detenerli, ma senza utilizzarli. Anche la Commissione europea sta pensando di intervenire per limitare l’accesso alle armi semi-automatiche, con la riforma della direttiva che regola l’acquisizione e la detenzione di armi leggere (la 91/477/CEE), che è stata annunciata il 18 novembre, a pochi giorni dalle stragi di Parigi. Meno di una settimana dopo, Firearms United -associazione con sede in Polonia che riunisce gruppi di appassionati di armi e tiro sportivo in molti Paesi del mondo- ha promosso una “chiamata all’azione”, lanciando anche una petizione online, ospitata dalla piattaforma Change.org (al 17 dicembre è stata firmata da 274mila persone). Secondo i promotori, “non si può sconfiggere il terrorismo restringendo la detenzione legale di pistole e fucili”. Si sostiene che “criminali e terroristi possono accedere ad armi illegali in modo più facile rispetto a chi può legittimamente detenere un’arma legale”. La campagna di Firearms United riguarda in particolare i semi-automatici, che vedrebbero modificata la propria “classificazione”, com’è già successo in Italia. Secondo Giorgio Beretta, ricercatore dell’Osservatorio Permanente sulle armi leggere e le politiche di difesa e sicurezza (opalbrescia.it), “si manca di sottolineare che almeno in Italia chiunque può ottenere un licenza per un porto d’armi, facendo richiesta al Prefetto”.
E nel nostro Paese, in base alla legislazione in materia di porto d’armi (l. 111/1975), è oggi possibile per chi è titolare di licenza detenere “un numero illimitato di fucili da caccia” (il virgolettato è tratto dal sito della Polizia di Stato). La nuova disciplina europea muove dalla convinzione che le armi semi-automatiche “possano essere facilmente convertite in automatiche utilizzando diversi meccanismi e kit, prodotto illegalmente”.Per affrontare in modo più efficace il dibattito, dovremmo sapere il numero di persone che possiedono un’arma da fuoco. Questo dato, però, non esiste. A differenza delle auto, le armi non sono registrate: entro il 31 dicembre 2014, in base alla direttiva 2008/51/CE, avrebbe dovuto essere creato un database, ma ancora non c’è. Secondo alcune stime, comunque, sarebbero circa 80 milioni. E il report “Firearms and Violent Deaths in Europe”, redatto da Nils Duquet e Maarten Van Alstein per il Flemish Peace Institute (flemishpeaceinstitute.eu), e pubblicato nel giugno del 2015, evidenzia una diretta correlazione in particolare tra numero delle armi possedute all’interno di un Paese e gli omicidi che hanno come vittima una donna. Sono i femminicidi, in Italia quasi 400 tra il 2010 e il 2014 (per saperne di più c’è il libro “La guerra a casa”, di Damiano Rizzi, Altreconomia edizioni). L’assenza di un monitoraggio adeguato riguarda però anche il traffico di armi. Nel 2015, per la prima volta, UNODC (l’Ufficio delle Nazioni Unite per le droghe e il crimine) ha redatto uno studio sulle armi legge, nell’ambito della United Nations Convention against Transnational Organized Crime. L’invio dei dati, però, non era obbligatorio, e così alcuni Paesi -tra cui l’Italia- non l’hanno fatto.
Due numeri, estratti dal rapporto delle Nazioni Unite, danno però la misura del fenomeno: nel 2013, secondo l’United Nations Register of Conventional Arms sono state esportate 1,8 milioni di armi da fuoco; nello stesso anno, secondo l‘Organizzazione mondiale delle dogane quasi 5mila sequestri hanno riguardato armi leggere, per un totale di 1,4 milioni di pezzi.
I mercati legale ed illegale sono praticamente equivalenti. Secondo Andrea Favaro, imprenditore che vive a Padova rappresentante di Firearms United in Italia, la proposta europea “va a colpire coloro che detengono legalmente un’arma, ed è una manovra ideologica, che serve solo ad accontentare l’opinione pubblica dopo la strage di Parigi”. Secondo Firearms, intervenire sul mercato legale non avrebbe alcun effetto. Andrea Gallinari, presidente del Comitato 477, che si batte contro la modifica della direttiva UE, aggiunge: “In questo modo si sposta l’attenzione dal piano dai requisiti soggettivi necessari per accedere alla detenzione delle armi semi-automatiche ai requisiti dell’oggetto: questi oggetti sono di per sé cattivi, e devono essere interdetti al possesso, anche ai cittadini per bene, autorizzati dallo Stato. Questo ci inquieta, perché si inibisce la proprietà di armi da parte dei cittadini”.
Gallinari parla di “processo alla forma”, perché le armi della categoria B7 “hanno una somiglianza con quelle militare, e piacciono ai tiratori sportivi”. Il Comitato, spiega Gallinari, sarebbe favorevole, invece, “a rafforzare il criterio di selezione dei soggetti che possano essere detentori, introducendo, ad esempio, un link costante tra medico di famiglia e Polizia di Stato, con l’obbligo di segnalare l’eventuale insorgenza di un disturbo dell’emotività, ma anche biologico, tale da produrre requisiti ostativi”. Gallinari sottolinea l’indipendenza del Comitato, che però vede tra i propri aderenti numerose armerie, quelle che vendono armi semi-automatiche, che sarebbero le preferite dai giovani tiratori. Secondo Beretta, “la proposta di modifiche della direttiva ha un valore preventivo: più armi ci sono, anche detenute in modo legale, e più alto è il rischio che gruppi e singoli terroristi ne entrino in possesso, utilizzandole per compiere atti illeciti”. —
La fiera delle armi
Lo show italiano delle armi è andato in scena a Vicenza, dal 13 al 15 febbraio. Chiunque ha potuto accedere alla Fiera, e partecipare ad “HIT show”, dove HIT (in inglese to hit significa colpire, ma anche centrare il bersaglio) è un acronimo che sta per Hunting, Individual Protection e Target Sports, cioè caccia, armi da difesa personale e tiro sportivo. L’evento, alla seconda edizione nel 2016, “mira a diventare la più importante fiera di settore in Europa -sottolinea Giorgio Beretta, ricercatore dell’Osservatorio Permanente sulle armi leggere e le politiche di difesa e sicurezza, OPAL-. Mentre quella di Norimberga è limitata agli addetti ai lavori, operatori nel campo della sicurezza, rivenditori e/o rappresentanti d’armi, giornalisti accreditati-, HIT è aperta a tutti, anche ai minori. Le armi esposte vanno dai semi-automatici, armi di pubblica sicurezza, armi per la difesa personale, per il tiro sportivo, per il collezionismo, repliche di armi antiche, armi antiche anche da guerra. C’è tutto, tranne i fucili automatici da guerra, quelli per la Forze Armate”. La Rete italiana per il disarmo (disarmo.org) ed OPAL, insieme ad altri soggetti associativi ha fatto pressione sugli azionisti di Fiera di Vicenza spa (Comune, Provincia e Cameria di commercio di Vicenza) affinché -da questa 2° edizione- fosse escluso l’accesso ai minorenni, e che HIT Show definisse un Codice etico e che il Comune promuovesse un convegno sulla “difesa personale”, sulla produzione e sul commercio internazionale delle armi da fuoco e sulla trasparenza del comparto armiero. Un traguardo che non è stato raggiunto.
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