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L’appello delle Nazioni Unite per fermare l’annessione israeliana dei territori palestinesi
Quarantasette esperti indipendenti dell’Onu hanno sottoscritto il 16 giugno un appello che richiama la comunità internazionale ad assumersi le responsabilità “legali e politiche” per bloccare il piano di annessione di vasti territori della Cisgiordania avanzato dalla coalizione di governo alla guida di Israele e previsto dal primo luglio 2020. “È l’apartheid del 21esimo secolo”. Nei confronti degli Stati Uniti è espresso “grande rammarico”
Il 16 giugno scorso quarantasette esperti indipendenti delle Nazioni Unite hanno sottoscritto un appello che richiama la comunità internazionale ad assumersi le proprie responsabilità “legali e politiche” per bloccare il piano di annessione di vasti territori della Cisgiordania avanzato dalla coalizione di governo alla guida di Israele. L’accordo, condiviso dal primo ministro Benjamin Netanyahu e dal suo “alter ego” Benny Gantz (i due infatti si scambieranno la carica a metà mandato), prevede dal primo luglio 2020 l’estensione della sovranità di Israele su gran parte della Valle del Giordano e sugli oltre 235 insediamenti formalmente illegali israeliani nella West Bank. Si tratta di una profonda contraddizione dei principi che stanno alla base del diritto internazionale.
Secondo i firmatari, infatti, l’annessione dei Territori palestinesi occupati rappresenterebbe una seria violazione non solo della Carta delle Nazioni Unite e della Convenzione di Ginevra, ma sarebbe anche contraria a una regola fondamentale ribadita più volte dal Consiglio di sicurezza e dall’Assemblea generale dell’Onu: l’acquisizione di territori con la forza è inammissibile, per questo la comunità internazionale ha proibito le annessioni, perché esse portano “guerra, devastazione economica, instabilità politica, violazione sistematica dei diritti umani, sofferenza per le persone”, ricordano gli esperti Onu.
Il nuovo piano si colloca in un un contesto dove l’occupazione che Israele porta avanti da oltre 50 anni rappresenta già un profondo pregiudizio per i diritti dei palestinesi. L’elenco delle Nazioni Unite fa riflettere: “Confisca di terre, violenze da parte dei coloni, demolizione delle case, trasferimenti forzati della popolazione, uso eccessivo della forza, tortura, sfruttamento lavorativo, ampie violazioni del diritto alla privacy, restrizioni ai media e alla libertà di espressione -che in particolare colpisce giornalisti e attiviste donne-, detenzione di minori, avvelenamento per esposizione a rifiuti tossici, sfratti sforzati, privazioni economiche, povertà estrema, detenzioni arbitrarie, mancanza di libertà di movimento, insicurezza alimentare, leggi discriminatorie e imposizione di un sistema che discrimina nell’applicazione dei diritti politici, legali, sociali, culturali ed economici sulla base dell’etnia e della nazionalità”. Non vengono risparmiati nemmeno i difensori dei diritti umani -palestinesi e israeliani- che vengono sistematicamente “calunniati, criminalizzati o etichettati come terroristi”, per il solo fatto di segnalare pacificamente all’attenzione pubblica queste violazioni.
“Ma soprattutto l’occupazione israeliana ha significato la negazione del diritto all’autodeterminazione palestinese -avvertono i 47 firmatari- e le violazioni dei diritti umani si intensificheranno dopo le nuove annessioni”. Già due volte è successo, dopo l’annessione di Gerusalemme Est nel 1980 e delle alture del Golan nel 1981, e in quelle occasioni il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva immediatamente condannato queste aggressioni come illegali senza però assumere contromisure significative per opporsi; allo stesso modo aveva criticato gli insediamenti in quanto in “evidente violazione delle leggi internazionali”, senza però nessuna reazione da parte della comunità internazionale.
“Questa volta dovrà essere diverso” scrivono gli Special Rapporteur. “La comunità internazionale ha la solenne responsabilità legale e politica di difendere le regole fondanti dell’ordine internazionale, opponendo alle violazioni dei diritti umani i principi fondamentali del diritto internazionale, rendendo effettive le tante risoluzioni critiche nei confronti della condotta di Israele. In particolare gli Stati hanno il dovere di non riconoscere, aiutare o assistere un altro Stato nel compiere attività illegali, come l’annessione o la creazione di insediamenti civili in un territorio occupato. La responsabilità e la fine dell’impunità devono diventare immediatamente una priorità per la comunità internazionale, per farlo c’è un’ampia gamma di misure che sono già state applicate con successo dal Consiglio di sicurezza negli ultimi 60 anni. Le misure di responsabilità che verranno intraprese, dovranno essere conformi al diritto internazionale, dovranno essere proporzionali, efficaci, soggette a revisione periodica, coerenti con i diritti umani e con i diritti dei rifugiati e pensate per cancellare le annessioni e portare l’occupazione e il conflitto a una conclusione giusta e duratura. Palestinesi e israeliani non meritano di meno”.
Se gli Stati non dovessero seguire le indicazioni degli esperti dell’Onu, quello che resterebbe ai palestinesi non sarebbe altro che “isole sconnesse di terra”, completamente circondate da Israele, senza legami territoriali col mondo esterno. Il governo Netanyahu-Gantz ha recentemente assicurato che manterrà il controllo permanente della sicurezza tra il Mediterraneo e il Giordano. “Tutto questo, la mattina dopo l’annessione, rappresenterebbe la cristallizzazione di una realtà già ingiusta: due popoli che vivono nello stesso spazio, governati dallo stesso Stato, ma con diritti profondamente disuguali. È l’apartheid del 21esimo secolo” denunciano gli esperti. “Esprimiamo grande rammarico per il ruolo di Washington nel sostenere e incoraggiare i piani illegali di Israele per l’ulteriore annessione dei territori occupati -concludono-. In molte occasioni negli ultimi 75 anni gli Stati Uniti sono stati fondamentali nell’avanzamento globale dei diritti umani, ma in questa occasione dovrebbero opporsi con decisione all’imminente violazione di un principio fondamentale del diritto internazionale, piuttosto che favorirlo attivamente”.
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