Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente / Intervista

An Cliquet. “Quanto ci è cara la natura”

Una vista dall’alto del fiume Tagliamento, l’ultimo grande fiume dell’Europa centrale che ancora scorre liberamente © lespauly, stock.adobe.com

A inizio luglio il Parlamento europeo ha “tenuto in vita” la proposta di regolamento sul ripristino della biodiversità. Un passaggio non risolutivo, spiega la docente dell’Università di Gent esperta di ecological restoration

Tratto da Altreconomia 262 — Settembre 2023

Il 2023 potrebbe essere l’anno decisivo per la biodiversità in Europa. Dopo la proposta di legge avanzata nel giugno dello scorso anno dalla Commissione europea sulla “Nature restoration law”, in questi mesi il Parlamento e il Consiglio ne stanno discutendo e votando testo ed emendamenti. Si tratta di una proposta di legge dedicata al ripristino della natura che ha l’obiettivo di rafforzare la biodiversità del continente, un pilastro del Green Deal.

Non è solo uno strumento di protezione dell’ambiente ma fa un passo in più: questo regolamento -uno strumento normativo con immediata applicazione in tutti gli Stati membri, che non necessita di recepimento- comporterà l’introduzione di obiettivi vincolanti per ripristinare gli ecosistemi degradati, con attenzione a quelli con maggiore potenziale di catturare carbonio e ridurre gli impatti negativi del cambiamento climatico. In pratica, la proposta introduce un obiettivo generale di ripristinare e proteggere almeno il 20% della superficie terrestre e marina entro il 2030 e individua alcuni target su ecosistemi specifici, come la rimozione di barriere fluviali, l’aumento del verde urbano e lo stop al declino degli insetti impollinatori.

Con un po’ di ritardo rispetto ad altri Paesi europei, in Italia la discussione pubblica è esplosa lo scorso luglio, con il voto storico del Parlamento europeo che in plenaria ne ha respinto l’annullamento, permettendo di fatto alla proposta di rimanere in vita e rimandando la discussione finale al Trilogo in autunno, momento in cui il Parlamento, il Consiglio e la Commissione negozieranno i dettagli del testo. Nonostante l’epilogo per ora favorevole alla legge, il fermento che si è creato la rende un osservato speciale, sia a livello nazionale sia internazionale. Per capirne di più ne abbiamo discusso con An Cliquet, professoressa di Diritto europeo dell’ambiente dell’Università di Gent, in Belgio, tra le prime in Europa a occuparsi di ecological restoration.

Professoressa Cliquet, l’idea di ripristinare gli ecosistemi degradati è piuttosto semplice ma una proposta di legge è arrivata solo nel 2022, perché?
AC Non è del tutto corretto, alcuni obblighi di ripristino di aree degradate si potevano già ravvisare nella normativa precedente al 2022. Erano però poco chiari ed essenzialmente si applicavano solo alle aree protette, con una portata limitata. Nel 2020 poi l’Agenzia europea per l’ambiente ha fatto presente che l’81% degli habitat protetti si trova in cattivo stato di conservazione e che ben 1.677 specie sono a rischio estinzione nel solo continente europeo. Insomma, la normativa sviluppata in questi anni non è stata in grado di fare da argine alla perdita di biodiversità, è evidente quindi che oltre a proteggere quello che abbiamo occorre ripristinare quello che abbiamo perso. Accanto alla spinta scientifica, la Commissione europea si è anche trovata a fare i conti con la pressione dei diversi impegni presi a livello internazionale sia in tema di clima sia di biodiversità. Da qui il senso della proposta: se vogliamo davvero un Green Deal, cioè un patto europeo sull’ambiente, non basta proteggerlo e imporre limiti alle emissioni, occorre ripristinare gli ecosistemi.

Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente l’81% degli habitat protetti si trova in cattivo stato di conservazione. Ben 1.677 specie sono a rischio estinzione nel solo continente europeo

I detrattori della “Restoration law” sostengono che questa metterebbe a rischio la sicurezza alimentare e sarebbe un freno alla transizione energetica, imponendo limiti all’estrazione di minerali critici. È così?
AC Queste posizioni sono assurde sotto diversi punti di vista: per produrre cibo abbiamo bisogno di ecosistemi sani, se continuiamo con una produzione intensiva avremo terreni sempre più poveri. La “Restoration law” dovrebbe essere invece benvenuta, proprio perché va nella direzione di aumentare il numero di impollinatori e quindi portare maggiore produttività. Certo, questo può portare a uno stop delle pratiche agricole più dannose per l’ambiente, ma l’effetto catastrofico pronosticato è del tutto infondato. Non lo dico solo io, ma lo sostengono anche più di seimila ricercatori e scienziati che a ridosso del voto hanno scritto una lettera al Parlamento per supportare la legge. L’argomento sulla transizione energetica è ancora più assurdo: sono previsti specifici riferimenti nella normativa a eccezioni che permetterebbero agli Stati, in fase di pianificazione, di non vincolare determinate aree per ragioni di importanza strategica, come l’estrazione di minerali per la transizione. Occorre anche ricordare che diverse associazioni di categoria, come Wind Europe, si sono espresse a favore della legge, segno che parte dell’opposizione ha costruito i propri argomenti su ragioni di interessi economici e politici particolari, più che di sostanza.

An Cliquet insegna Diritto europeo dell’ambiente all’Università di Gent in Belgio

È anche vero però che non abbiamo certezze rispetto all’efficacia immediata di ripristinare gli ecosistemi, no?
AC Dipende dal tipo di ecosistema, in alcuni casi si vedono risultati immediati, in altri serve più tempo. Ma è una ragione in più a supporto di questa legge: si tratta di un unicum nel suo ambito, per la prima volta abbiamo il testo di una normativa dedicata solo al ripristino ecologico, che dà definizioni chiare e stabilisce obiettivi certi. Inoltre, la proposta chiede agli Stati membri di iniziare a pianificare e agire, riconoscendo che si tratta di un processo graduale, che può e deve essere adattato nel tempo. È vero, ci sono delle considerazioni socioeconomiche che avrebbero dovuto essere discusse e affrontate con più attenzione, ma si tratta in ogni caso di valutazioni da farsi a livello statale, non europeo. Secondo le stime della Commissione il costo per raggiungere gli obiettivi della proposta è di circa 8,2 miliardi di euro annui, che potrebbero essere in gran parte coperti dai fondi destinati all’implementazione della la Strategia Ue sulla biodiversità 2030. Occorrerebbe discutere di come utilizzarli.

“Dal punto di vista strettamente giuridico, l’ultima versione della legge è così indebolita che potrebbe essere addirittura dannosa per l’ambiente, se dovesse passare”

A questo punto sappiamo che Parlamento, Consiglio e Commissione si dovranno riunire e negoziare il testo definitivo in autunno. Che cosa possiamo aspettarci?
AC Non è facile prevedere che cosa succederà, il numero di emendamenti presentati in questi mesi è stato esorbitante, a riprova del fatto che l’opposizione è organizzata e continuerà a farsi sentire. Spero che vengano reintrodotti alcuni degli elementi originali della proposta, poi eliminati dal Parlamento, come ad esempio gli obiettivi di ripristino delle aree agricole e in particolare delle zone umide che, quando drenate, sono responsabili del 7% delle emissioni in Europa e che invece hanno forte capacità di cattura di CO2. Dal punto di vista strettamente giuridico, l’ultima versione della legge è così indebolita che potrebbe essere addirittura dannosa per l’ambiente, se dovesse passare così com’è. Se però i negoziati dovessero andare bene avremmo un risultato molto positivo, perché ci metteremmo tutti nell’ottica di pianificare la rigenerazione di aree degradate e utilizzare le risorse in modo più sostenibile.

La sessione plenaria del Parlamento europeo del 12 luglio 2023 in cui è stata respinta la richiesta di annullamento del disegno di legge “Nature restoration law”, ora in fase di discussione © European Union 2023 – Philippe Stirnweiss

Questi passaggi sono osservati con molto interesse anche fuori dall’Europa.
AC Sì, durante i negoziati per il “Global Biodiversity Framework” (un patto internazionale per la protezione della biodiversità) che si sono svolti lo scorso dicembre a Montreal i delegati europei sono riusciti a strappare l’appoggio e l’impegno a limitare la deforestazione di Paesi nel Sud del mondo proprio sostenendo che anche nel vecchio continente si stesse lavorando per la biodiversità, ripristinando gli ecosistemi. Con che coraggio possiamo chiedere agli altri di impegnarsi se poi noi a casa nostra non lo facciamo? Ne va della nostra credibilità come attori internazionali. Inoltre, sul piano strettamente giuridico questa legge è guardata con molto interesse in Paesi al di fuori dell’Ue, se dovesse funzionare potrebbe essere d’esempio e proposta anche in altri ordinamenti.

Non mancano le difficoltà e anche i quesiti tecnici su come implementare pratiche di ripristino in diversi ecosistemici oltre che domande sulle conseguenze economiche che ci potranno essere. Per questo occorre andare oltre a un approccio protettivo e rimediare ai danni fatti, coinvolgendo tutti gli attori possibili: dalle istituzioni ai privati, dagli agricoltori alle aziende, con un ruolo chiave dato alla società civile. È possibile che una grande onda di ripristino e ricostruzione dell’ambiente naturale avvenga nei prossimi anni, è il momento però di spingere ora.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati