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“Così il codice di condotta per le Ong produrrà più morti in mare”
La denuncia di Amnesty e Human Rights Watch: se venisse messo in pratica, “molte migliaia di migranti e rifugiati potrebbero rischiare di morire in mare”. Inoltre un report del Parlamento inglese boccia l’Operazione Sophia di contrasto in mare degli scafisti promossa dall’Ue: non ha raggiunto l’obiettivo di bloccare i trafficanti, ma ha fatto aumentare i morti
Se il “codice di condotta” per le Ong messo a punto dal ministro dell’Interno Marco Minniti venisse messo in pratica “molte migliaia di migranti e rifugiati potrebbero rischiare di morire in mare”. La denuncia arriva da Human Rights Watch e da Amnesty International che, con un comunicato stampa congiunto, evidenziano come “qualsiasi codice di condotta, se necessario, dovrebbe avere come obiettivo quello di rendere più efficace il salvataggio in mare”, evidenziano le due associazioni. Puntualizzando che l’adozione del codice di condotta “non dovrebbe essere collegato allo sbarco”.
Il testo del codice di condotta è stato diffuso ieri da Statewatch, ong indipendente che dal 1991 è attiva nel monitoraggio civico delle attività degli Stati e dell’Unione europea sui temi della giustizia sociale. Il documento, così come è formulato ora, prevede il divieto assoluto per le navi delle Ong di entrare in acque libiche, il divieto di inviare segnali luminosi, l’obbligo “di non effettuare trasbordi su altre navi, italiane o appartenenti a dispositivi internazionali”, l’obbligo di non ostacolare le operazioni di search and rescue della Guardia costiera libica.
Infine l’obbligo pubblicare le fonti di finanziamento e quello di ricevere a bordo ufficiali di polizia giudiziaria (per svolgere le indagini preliminari per individuare scafisti e trafficanti) oltre che di trasmettere alla polizia tutte le informazioni potenzialmente interessanti per l’attività investigativa. “Il rifiuto di sottoscrivere il codice di condotta o il fatto di non adempiere a questi obblighi – conclude il documento – potrebbe portare al rifiuto da parte dello Stato Italiano di autorizzare l’accesso ai porti”.
“Le Ong sono impegnate nel Mediterraneo a salvare vite umane perché l’Europa non lo sta facendo” commenta Judith Sunderland, direttore associato di Human Rights Watch per l’Europa e l’Asia Centrale. “Di fronte alle dimensioni di questa tragedia e agli orribili abusi cui sono vittime i migranti in Libia, l’Unione europea dovrebbe lavorare con l’Italia per mettere in atto una robusta attività di search and rescue nelle acque di fronte alla Libia, non limitarla”.
Alle voci critiche nei confronti del codice di condotta si è aggiunta oggi quella dell’europarlamentare Barbara Spinelli durante un dibattito sulle attività di ricerca e soccorso promosso dalla Commissione Libe (Libertà civili, giustizia e affari interni) del Parlamento europeo. Spinelli ha ricordato che “un codice di condotta volontario era già stato sottoscritto dalla maggior parte delle Ong impegnate nel Mediterraneo” e ha stigmatizzato come “alcuni paragrafi siano stati concepiti solo per rendere impossibile il salvataggio di vite umane”. Per Spinelli i punti critici sono soprattutto il divieto assoluto di operare in acque libiche “dove Triton non è presente e dove muoiono tantissime persone anche perché la Libia non è in grado di gestire un’area SAR” e la presenza della polizia giudiziaria a bordo delle imbarcazioni, in violazione del principio di neutralità delle Ong stesse.
Intanto, dal parlamento inglese arriva una secca bocciatura all’operazione navale “Sophia” promossa dall’Unione Europea per contrastare il traffico di esseri umani: non solo non avrebbe raggiunto i risultati prefissi, ma la strategia di affondare le imbarcazioni dei trafficanti avrebbe spinto questi ultimi a usare sempre più spesso gommoni insicuri e sovraccarichi. Provocando così “un aumento delle morti in mare”, come si legge nell’inchiesta pubblicata dalla Camera dei Lord.
Al 19 giugno 2017 erano stati arrestati 110 smugglers (che però “appartengono agli ultimi anelli della catena criminale”) e distrutte 452 imbarcazioni. La prassi di distruggere le imbarcazioni avrebbe spinto i trafficanti a cambiare strategia: abbandonare i pescherecci, capaci di trasportare 500-600 persone e di raggiungere il centro del Mediterraneo, per sostituirli con gommoni gonfiabili, più economici e facili da reperire. “Questo cambiamento nel modello di business ha reso l’attraversamento molto più pericoloso per i migranti -si legge nel documento inglese-. Il fatto che oggi il 70% delle imbarcazioni in partenza dalla Libia siano gommoni ha provocato un aumento delle morti in mare”.
La conclusione a cui giunge la Camera dei Lord è secca: l’Operazione Sophia ha alterato il modello di business, ma non ha in alcun modo ridotto i flussi dei migranti. “Una missione navale non è lo strumento corretto per contrastare l’immigrazione nel Mediterraneo Centrale – concludono i Lord-. Vi è poca giustificazione per il dispiegamento di asset navali e arei di alta fascia per i compiti svolti dall’operazione Sophia nella fase 2A (il contrasto in mare degli scafisti)”. Il contrasto ai trafficanti non può essere fatto in alto mare, mentre “ci sono imbarcazioni molto più piccole e più adatte a svolgere l’essenziale compito di ricerca e soccorso, che può essere messo in atto al posto della missione (Sophia, ndr) per continuare a salvare vite”.
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