Cultura e scienza / Intervista
Emmanuele Curti. Il potere trasformativo delle parole
L’Alfabeto Pandemico è un progetto nato per spiegare lo stato di eccezione che viviamo. Una riflessione collettiva che rende la cultura uno strumento di cura per la comunità
L’Alfabeto Pandemico è “una sorta di diario del momento” spiega Emmanuele Curti. Archeologo, manager culturale, collabora con La Scuola Open Source (istituto didattico, centro di ricerca e consulenza artistica e tecnologica per l’industria, il commercio e l’artigianato, lascuolaopensource.xyz) ed è uno degli animatori de “Lo Stato dei luoghi”, la rete nazionale di rigenerazione urbana a base culturale (vedi Ae 223). La costituzione formale avrebbe dovuto tenersi a Milano, a fine febbraio, ma l’emergenza Coronavirus ne ha posticipato la data. “Lo spunto per l’Alfabeto lo ha offerto Ilda Curti (filosofa, al Comune di Torino è stata assessore con deleghe a periferie, progetti di integrazione, arredo urbano e riqualificazione dello spazio pubblico, ndr) con un post su Facebook che invitava a ricercare insieme le ‘parole’, i mutamenti nel loro significato”, continua Curti. L’idea di farne un Alfabeto -on line su lostatodeiluoghi.com/alfabeto-pandemico– vorrebbe aiutare a comprendere “che non si tornerà alla ‘normalità’, che qualcosa è profondamente cambiato, e farlo a partire da una riflessione collettiva e condivisa, in cui le idee circolano a dispetto del distanziamento sociale”. Lanciato a fine marzo, l’Alfabeto Pandemico conta già a metà aprile 550 voci, tra parole e immagini, frutto della collaborazione di almeno cinquecento persone. Dalla a di abbraccio alla z di zoo.
Che obiettivo si dà questo Alfabeto?
EC Uno riguarda la nostra rete: avremmo dovuto costituirci ma la data è rimandata di almeno tre mesi. Insieme vogliamo cogliere rispetto a ciò che stiamo vivendo quello che ci servirà nel nostro percorso, che è legato alla rigenerazione urbana e alla cultura. È un progetto “pandemico”, ma invito a non considerare questa parola con un’accezione negativa: pan demos significa che raccoglie tutto il popolo, che è un aspetto che riguarda tutta la comunità. L’alfabeto offre le fondamenta della costruzione delle parole. Ho scritto io la voce “parola” del nostro Alfabeto per ricordare che questo termine nasce nel periodo Medievale e viene da parabola: sono racconti e si portano dietro metafore e visioni. Ecco che l’Alfabeto Pandemico è un modo per ri-codificare, ri-semantizzare le parole stesse. E sono convinto che aiuti anche a mettere ordine, importante durante l’emergenza. Non dimentichiamo che l’alfabeto, l’ordine dei codici, è la prima cosa che impariamo alle elementari: quando vediamo un alfabeto scatta in noi un riconoscimento che entra nel vivo delle carni, è un bene, elemento di prima connessione e condivisione, una grammatica di base.
Teatri, cinema, mostre ed eventi, gli spazi rigenerati della vostra rete sono chiusi. In che modo questo Alfabeto accompagna la riflessione del mondo della cultura?
EC Nei primi giorni di epidemia in Italia, la cultura “classica” mostrava paura per ciò che stava avvenendo. Con Giacomo Giossi di CheFare, abbiamo riflettuto sull’esigenza di superare la logica di riassestarci su un sistema e un modello culturale vecchio (che-fare.com/cultura-comunita-altrove). Dobbiamo capire come agire sulla base di dinamiche nuove, nel cambiamento indotto dal Coronavirus riteniamo che ci siano i termini per avviare una riflessione sul tema del welfare culturale: la cultura non è “tempo libero” ma un elemento che racchiude economia e politica. E welfare culturale è un elemento in cui la cultura si rimette in gioco come elemento di cura della comunità e agisce in particolare dopo devastazioni come quella che stiamo vivendo. A Taranto, nel quartiere Tamburi, i fondi Asl vengono usati per realizzare attività teatrali che intervengano su questioni sociali, alimentando processi di comunità che per prassi erano pagati dai dipartimenti cultura. Avvertiamo che questo è il momento di una profonda cura da preparare per quando usciremo dalle nostre case. E non per poter rientrare in teatri, cinema o musei, secondo movimenti che eravamo abituati a fare.
Chi partecipa alla costruzione dell’Alfabeto?
EC A curare le voci siamo ogni giorno in cinque persone e tutti facciamo parte de Lo Stato dei Luoghi. Alcuni contributi sono chiesti da noi, coinvolgendo quelli che Cristina (Alga di Mare Memoria Viva a Palermo, ndr) chiama i gatekeepers, persone di cui abbiamo stima e ci aprono ad altri mondi: penso ad Annamaria Testa, pubblicitaria ed editorialista di Internazionale.it, a Giovanni Boccia Altieri, sociologo che insegna Scienze della Comunicazione a Urbino, o al gruppo Parole Ostili (paroleostili.it) che lavora sulla comunicazione digitale per ridefinire lo stile con cui le persone stanno in Rete. Grazie ai social network (Facebook, Instagram), però, la partecipazione sta crescendo: ognuno è libero di compilare il form e di sottoporre la propria voce per l’Alfabeto. Non c’è censura, abbiamo pubblicato quasi tutto.
Francesco Zuccaro, materano, medico dell’Azienda sanitaria di Matera, (storico) abbonato e socio di Altreconomia, ha scritto la voce cura: “La Cura un vettore di orgoglio, di dignità per attraversare questi momenti. La Cura, la maniacale, paranoica attenzione ai particolari quando è Cura intensiva. La Cura una improvvisazione quasi teatrale di fronte a un virus sconosciuto. In latino l’avverbio Cur è perché…”
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