Altre Economie
A Scampia per carnevale con il Gridas
Se siete certi che la periferia (aggiungete magari “famigerata”) di una grande città debba essere abbinata ai concetti di “brutto” e “individualistico”, fermatevi pure qui nella lettura; se invece avete anche il vago sospetto che proprio l’arte, i colori, la fantasia e l’allegria possano essere uno strumento per trasformare gli spazi urbani, vi consigliamo un giro a Napoli il 19 febbraio quando riparte -per il trentesimo anno consecutivo- il carnevale organizzato a Scampia dal Gruppo risveglio dal sonno; 30 anni, dunque una tradizione: già questa sarebbe una notizia per un quartiere in genere descritto come un “non-luogo”.
Ma quale è allora il “trucco” di quest’appuntamento, che non solo è stato capace di proseguire dopo la scomparsa, nel 2004, di Felice Pignataro, muralista e fondatore del Gridas, ma addirittura negli ultimi anni di crescere in partecipazione e coinvolgimento, attirando la partecipazione di gruppi, associazioni, bande musicali, murghe un po’ da tutta Italia ?
La ricetta del Gridas è sempre la stessa, che si parli dei murales che hanno reso più allegre le scuole e le giornate a tanti bambini, oppure sculture, quadri, striscioni, o infine le maschere costruite per la sfilata del carnevale: liberare la fantasia per metterla a servizio della denuncia sociale, sbugiardare ciò che ci opprime e immaginare quello che vorremmo vedere cambiato (non importa se è il quartiere, la città o il mondo intero); e fare tutto questo “mediandolo” con la creatività e la manualità (“l’uomo ha avuto in dono l’inestimabile dono della mano”, recita una frase di Giordano Bruno ripetuta spesso da Felice).
Il Carnevale funziona proprio così: ogni anno viene scelto un tema, legato ad un fatto di attualità (in quest’anno di spread e saliscendi azionari si è scelto “O la borsa o la vita, ovverossia dove va il mondo”) e viene stesa una filastrocca che diventerà poi l’inno della giornata; partono quindi i laboratori, che vedono coinvolte classi di ragazzi, associazioni, i bambini del vicino campo rom, singoli individui e chiunque abbia voglia di dare una mano: dapprima ci si chiede cosa quel tema significa nella propria esperienza, e poi si pensa insieme a come rappresentarlo.
A questo punto protagonisti diventano i pennelli, la colla, il filo di ferro, il polistirolo, carcasse di legno, e progressivamente i pensieri prendono forma sia negli aspetti di denuncia (il “male” che ci opprime) sia in quelli di speranza (il “bene” che si vuole costruire); il giorno della sfilata tutte queste creazioni convergono alla sede del Gridas, e da lì si parte per il corteo, che per un giorno si riappropria delle strade di Scampia, costruite così larghe che nei giorni normali devi stare attento quando attraversi, ed il suono dei partecipanti insieme al battere dell’immancabile rullante costringe anche quelli che sono più restii a scendere per strada quanto meno ad affacciarsi dai balconi dei palazzoni che riempiono questo popoloso quartieredi circa 40.000 abitanti, praticamente una cittadina italianamedio-piccola.
Il carnevale ridiventa una festa popolare com’era nelle sue origini, sottratta alla logica del consumismo e del premio per la maschera più bella, e si riappropria di una funzione di denuncia rappresentata dal falò finale nel corso del quale i carri rappresentanti il “male” vengono bruciati per esorcizzare paure e miserie.
E che tutto questo capiti proprio a Scampia, non è appunto un caso, visto che è qui che il Gridas ha sede, e che da alcuni anni è partito un percorso fortissimo di riappropriazione degli spazi pubblici, che ha visto coinvolte le tantissime esperienze che animano il quartiere da anni a questa parte, dai gruppi che lavorano su educazione e pedagogica ai centri di formazione professionale, dalle esperienze teatrali e cinematografiche alle scuole di calcio, alle esperienze editoriali etc. etc. etc.
Un lavoro prezioso e quotidiano, fatto generalmente lontano dalla luce dei riflettori (che generalmente hanno bisogno di cose più “eclatanti” per direzionare i loro fari).
È anche per questo che, quando la settimana scorsa Scampia è tornata improvvisamente alle cronache nazionalia causa di un presunto “coprifuoco” imposto dai clan, ed è stato propostodi conseguenza una “OccupyScampia”, praticamente tutti questi gruppi hanno lamentato che più che “occupare” qui ci sarebbe bisogno di sostenere e partecipare alle mille iniziative in essere, e invece di denunciare un coprifuoco che non esiste (il che non vuol dire che non sia risalita la tensione nelle ultime settimane a causa di un aumento del numero degli omicidi e questo chi opera sul territorio lo sapeva già da tempo…) ma che rischia di alimentare il timore della “città insicura” opposta alla “città per bene” occorre creare ponti e legami; e infine, più che di iniziative mediatiche, c’è bisogno di riappropriarsi degli spazi di vita quotidiani e più vicini.
Alcuni anni fa (si era agli albori dell’era internet), alla presentazione di una grande sala telematica (i progetti istituzionali a Scampia sono sempre stati “mega-progetti”, poi da gestire), al responsabile che orgogliosamente esclamava “pensate, ora potrete comunicare facilmente pure con il Giappone !” Felice con un sorriso rispose “la ringrazio, è molto bello ma il mio problema domani è parlare con l’inquilino del palazzo a fianco…”; un corteo colorato a Carnevale è un bellissimo modo per invitarlo a scendere per strada.