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Ambiente / Attualità

A Ravenna i produttori di gesso fanno ricorso contro il riconoscimento Unesco

Una vista aerea della cava di Monte Tondo © Federazione Speleologica Regionale dell'Emilia-Romagna

La filiale italiana della multinazionale francese Saint-Gobain ha presentato ricorso al Tar di Bologna per chiedere l’annullamento di tutti gli atti amministrativi che lo scorso settembre hanno portato all’inserimento di un nuovo sito tra i Patrimoni dell’umanità. Al centro della contesa la cava di Monte Tondo, in attività dagli anni Cinquanta

A poco più di due mesi dalla decisione dell’Unesco di inserire il “Carsismo nelle evaporiti e grotte dell’Appennino settentrionale” dell’Emilia-Romagna tra i Patrimoni dell’umanità, la Saint-Gobain Italia Spa, filiale italiana del gruppo industriale francese che produce e distribuisce materiali per l’edilizia, ha presentato un ricorso al Tar di Bologna per chiedere l’annullamento degli atti e delle delibere che hanno portato al riconoscimento del Patrimonio Unesco e un risarcimento “dei danni che derivano in capo alla ricorrente dagli effetti dei provvedimenti impugnati”.

Destinatari del provvedimento, datato 17 novembre, sono la Regione Emilia-Romagna, i ministeri degli Esteri, della Cultura e dell’Ambiente, l’Unione della Romagna faentina, la Provincia di Ravenna, l’Ente parchi della Romagna, i Comuni di Riolo Terme e Casola Valsenio, la Federazione speleologica dell’Emilia-Romagna. Ovvero tutti gli enti che, a vario titolo, hanno contribuito all’iter che ha portato al riconoscimento da parte dell’agenzia delle Nazioni Unite per la cultura. Saint-Gobain chiede di annullare, complessivamente, 18 atti amministrativi tra delibere della Giunta regionale e dei due Consigli comunali, protocolli e documenti vari approvati dai ministeri citati in giudizio: dal primo via libera alla candidatura formalizzato nel dicembre 2016, fino alla delibera di gennaio 2022 del consiglio direttivo di Unesco Italia.

Per comprendere la vicenda occorre fare un passo indietro: a settembre 2023, in occasione della 45esima sessione dell’Unesco world heritage committee, il “Carsismo nelle evaporiti e nelle grotte dell’Appennino settentrionale” è stato riconosciuto tra i patrimoni dell’umanità. Esteso su un’area di oltre 3.600 ettari, in cui sono presenti più di mille grotte, è un bene seriale, composto cioè da sette siti distribuiti tra le province di Reggio Emilia, Bologna, Ravenna e Rimini: l’Alta valle del fiume Secchia, la Bassa collina reggiana, i Gessi di Zola Predosa, i Gessi bolognesi, le evaporiti di San Leo e i Gessi della Romagna orientale e la Vena del gesso romagnola.

Proprio quest’ultimo sito è al centro della battaglia legale. Qui, infatti, si trova la cava di Monte Tondo, situata al confine tra i Comuni di Riolo Terme e Casola Valsenio (RA), di proprietà della Saint-Gobain: l’attività ha avuto inizio già negli anni Cinquanta e il materiale estratto viene lavorato nel vicino stabilimento per la produzione di cartongesso impiegando, secondo le stime dell’azienda, circa 90 dipendenti.

Ma l’attività di “coltivazione” del gesso ha già causato e potrebbe continuare a provocare danni a due importanti sistemi carsici oggi riconosciuti da Unesco: quello dei Crivellari e quello del Re Tiberio. Proprio per preservarli, nel dossier di candidatura redatto dall’International union for the conservation of nature (Iucn) si raccomanda all’Italia di non estendere il permesso all’estrazione del gesso e a iniziare le attività di ripristino ambientali il prima possibile.

Nel ricorso, Saint-Gobain Italia sostiene di non essere mai stata coinvolta nel procedimento per la proposta di candidatura del sito a Patrimonio Unesco e di aver potuto prendere visione degli atti solo in una fase già molto avanzata dell’iter. In questo modo avrebbe inoltre appreso che nei documenti veniva indicato il divieto assoluto di estrazione dalla cava e l’impegno delle pubbliche amministrazioni a non concedere ulteriori estensioni delle autorizzazioni.

“La ricorrente è di conseguenza costretta, al fine di salvaguardare l’attività produttiva nonché i livelli occupazionali, a impugnare i relativi atti e provvedimenti per chiederne l’annullamento (parziale)”, si legge nel ricorso. L’azienda afferma che il suo obiettivo non è “far decadere l’intera candidatura del sito ai fini dell’inserimento nel Patrimonio Unesco” ma ottenere un annullamento parziale delle delibere approvate al fine di “consentire il prosieguo delle attività di coltivazione della cava di gesso, con una prospettiva temporale in linea con le logiche di investimento industriale e nel rispetto della normativa vigente”.

Contattata da Altreconomia, Saint-Gobain Italia non ha voluto rilasciare dichiarazioni, limitandosi a condividere il testo di un’intervista pubblicata su una testata locale all’amministratore delegato Gaetano Terrasini secondo cui “l’attività industriale e il riconoscimento possono convivere secondo i principi stessi dell’Unesco, nel rispetto del contesto naturale e paesaggistico, tutelando gli equilibri socio-economici del territorio”. Analogamente, anche Unesco non ha voluto commentare la vicenda, così come l’Ente parco dell’Emilia-Romagna.

Chi contesta il ricorso è invece Massimo Ercolani, ex presidente della Federazione speleologica dell’Emilia-Romagna, l’ente che nel 2016 ha avuto l’intuizione di proporre alla Regione la candidatura: “Troviamo fuori luogo questa citazione, non siamo noi il soggetto che ha assunto delibere di giunta e atti ministeriali. Il ricorso in sé, invece, è inqualificabile: l’azienda prima afferma che l’attività di cava è compatibile con il riconoscimento Unesco, ma poi avvia un’azione legale per poterla ampliare. Noi siamo invece convinti che sia arrivato il momento di fare una scelta: dopo più di sessant’anni è arrivata l’ora di avviare un percorso per mettere la parola fine alla distruzione dell’ambiente”.

Di tutt’altro avviso il sindaco di Casola Valsenio, Giorgio Sagrini: “Chiediamo che venga consentita la prosecuzione dell’attività estrattiva e che vengano mantenuti gli attuali livelli occupazionali nello stabilimento di lavorazione del cartongesso che sorge sul nostro territorio”, dice ad Altreconomia. Nonostante il sostegno all’attività estrattiva, anche il piccolo Comune è stato citato da Saint-Gobain perché ha dato il via libera a delibere fondamentali per il riconoscimento Unesco: “Lo abbiamo fatto nella convinzione che la candidatura Unesco coincidesse con i limiti del parco e che non sarebbero stati allargati”, spiega Sagrini. A oggi, infatti, l’area in cui è situata la cava di Monte Tondo non si trova all’interno dei confini del Parco regionale della Vena del gesso romagnola, ma nell’area contigua in cui sono permesse le attività estrattive: “Invece la commissione che ha trasferito la documentazione a Unesco ha allargato il perimetro della cosiddetta core zone”, conclude.

È importante però ricordare che non è previsto uno stop immediato alle attività della cava. Il 24 novembre, infatti, la Provincia di Ravenna ha approvato due documenti fondamentali per il futuro del territorio e il destino di Monte Tondo: il Piano territoriale del Parco regionale della Vena del gesso romagnola (a 18 anni dall’istituzione del parco stesso) e il nuovo Piano delle attività estrattive (Piae) che prende il posto di quello scaduto nel 2021.

La Provincia ha scelto di adottare quello che veniva indicato come “scenario B” da un articolato studio del 2021 commissionato dalle amministrazioni locali e finanziato dalla Regione Emilia-Romagna. Questo prevede la possibilità, come imposto dalle norme di tutela riferite al sito Rete Natura 2000, di contenere l’area di estrazione della cava entro i confini del precedente Piae (il cosiddetto “limite invalicabile” fissato già nel 2001) dando a Saint-Gobain Italia la possibilità di estrarre un massimo di 1,7 milioni di metri cubi di materiale.

Commentando l’approvazione della “Variante del polo estrattivo cava di Monte Tondo del Piae”, il presidente della Provincia di Ravenna, Michele De Pascale, aveva spiegato che con questo atto è stata consentita “l’estrazione di tutto il materiale che era ambientalmente e giuridicamente possibile all’interno del perimetro pre-autorizzato, per dare alla cava ancora un periodo di vita e per poter mantenere l’occupazione”. Intervistata da Il resto del Carlino Barbara Lori, assessora all’Ambiente della Regione Emilia-Romagna, stima che all’interno dell’attuale perimetro di cava la società possa ancora estrarre “grandi quantità di gesso, per circa dieci anni. In linea con i quantitativi stabiliti anni fa dalla legge”.

Secondo Ercolani, però, il Piano territoriale del parco “pur affermando che non deve essere ampliata la superficie della cava, ne determina la possibile espansione in un’area interdetta all’attività mineraria. Infatti, in tale sottozona viene riconosciuto che le attività estrattive sono consentite, anche se di fatto per effetto di norme sovraordinate non può essere esercitata. Inoltre, concede la deroga al divieto di distruggere o alterare i fenomeni carsici: per intenderci quelli Patrimonio Unesco. Con questo piano si va ad agevolare l’attività estrattiva a Monte Tondo determinando le condizioni affinché in futuro se ne possa autorizzare l’espansione”.

Inoltre, durante la lunga fase di confronto con gli enti locali, la Federazione speleologica e le organizzazioni ambientaliste avevano chiesto alla Provincia che all’interno del Piae venisse indicata chiaramente una data ultima per la cessazione dell’attività estrattiva. Un punto ribadito anche nello studio del 2021 che raccomandava di “considerare il nuovo periodo di attività come l’ultimo possibile e concedibile” e di “utilizzare il decennio di ulteriore di attività mineraria per attuare adatte politiche di uscita dal lavoro degli addetti a oggi impiegato, in modo da minimizzare il problema al momento della cessazione delle attività”. Una raccomandazione disattesa.

Un ulteriore paradosso sta nel fatto che né il sistema carsico del Re Tiberio né quello dei Crivellari -siti di particolare pregio speleologico e geologico- sono stati inseriti all’interno della “zona B” del Parco regionale della Vena del gesso romagnola (dove è vietata l’attività mineraria e come richiesto dalla Federazione speleologica) ma sono rimasti nella “zona contigua” al di fuori dello stesso. Eppure il Piano indica tra le aree e percorsi attrezzati per la fruizione del Parco tre percorsi speleologici tra cui quello alla scoperta delle grotte del Re Tiberio.

L’approvazione dei due provvedimenti ora al vaglio del Comitato urbanistico regionale e Ufficio di piano regionale (Cur) solleva diversi interrogativi sullo sviluppo futuro del territorio e soprattutto sulla possibilità che le attività della cava possano realmente “convivere” con il riconoscimento dell’Unesco.

A Monte Tondo, infatti, si continua a rimuovere il gesso facendo ricorso agli esplosivi: un’attività che ha già causato e continuerebbe provocare gravi danni non solo alle grotte del Re Tiberio ma anche all’intera Vena del Gesso. Del resto, ribadisce la Federazione speleologica, è il Parco steso a dichiarare che “l’attività estrattiva ha determinato una forte modifica dell’assetto geomorfologico e idrogeologico dell’area interessate all’interno di Rete Natura 2000” che “l’attività estrattiva non è ecosostenibile in quanto si asporta la formazione gessosa che non ha più possibilità di rigenerarsi” di conseguenza non è possibile alcun recupero o ripristino dell’area di cava”.

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