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Il precariato nei musei della Capitale italiana della cultura. Il caso della Val Camonica

Ingresso al Parco nazionale di Naquane © Di Luca Giarelli - Opera propria, CC BY-SA 3.0 via Flickr

L’apertura al pubblico di tre importanti poli culturali del territorio -incluso il Parco nazionale delle incisioni rupestri di Naquane- è garantita dalla presenza di 11 lavoratori “esterni” il cui contratto prevede una paga oraria lorda di 6,25 euro l’ora. Dalla loro protesta è nato un collettivo che punta a creare dibattito

Hanno scelto di chiamarsi “Collettivo 5.37”. Un numero che, tradotto in euro, indica la paga oraria (lorda) del contratto applicato ai lavoratori del Polo museale della Lombardia, che comprende in tutto 11 realtà, tra cui tre importanti poli museali della Val Camonica: il Parco nazionale delle incisioni rupestri di Naquane a Capo di Ponte, il Museo archeologico nazionale di Cividate Camuno e il Museo nazionale della preistoria. Luoghi visitati ogni anno da migliaia di persone interessate ad ammirare e scoprire le incisioni rupestri, riconosciute nel 1979 dall’Unesco come Patrimonio dell’umanità.

“Il nostro obiettivo è creare sul territorio un dibattito pubblico e critico sul lavoro povero e precario -spiega ad Altreconomia Elisa, che fa parte del collettivo-. Siamo partiti dalla cultura perché l’iniziativa è nata dalla mobilitazione dei lavoratori esterni dei musei della Valle Camonica, ma vogliamo allargarci a tutte le sfere lavorative”.

La principale finalità del “Collettivo 5.37” è far conoscere a quante più persone possibili le condizioni di chi ha a che fare con un lavoro precario e povero. E il fatto che questa mobilitazione nasca all’interno di un gruppo di professionisti la cui presenza è fondamentale per il funzionamento di tre importanti poli museali è particolarmente significativa nell’anno in cui la città di Brescia (insieme a Bergamo) è stata nominata capitale della cultura italiana.

La mobilitazione dei dipendenti dei musei della Val Camonica è iniziata il primo dicembre dello scorso anno con uno sciopero che ha portato alla chiusura del Parco nazionale delle incisioni rupestri di Naquane e del Museo archeologico. “Questi siti fanno capo al ministero della Cultura e al loro interno è presente personale ministeriale al quale sono affiancati 11 lavoratori esterni, assunti da ditte o cooperative, che periodicamente partecipano alle gare d’appalto -racconta Elisa-. Le nostre mansioni attività in molti casi si sovrappongono perfettamente a quelle svolte dai dipendenti ministeriali. A volte siamo chiamati anche a svolgere le attività di apertura e chiusura dei siti, cosa che dovrebbe competere esclusivamente al personale interno”.

Proprio in occasione dell’ultimo rinnovo dell’appalto, appunto a fine 2022, i lavoratori si sono visti sottoporre un contratto peggiorativo rispetto a quello precedente da parte della cooperativa che si era aggiudicata il bando regionale. Ovvero una proposta iniziale fissata a 5,37 euro lordi all’ora. Inoltre, le organizzazioni sindacali sono state coinvolte nella trattativa con la ditta aggiudicataria solo alle 15.30 del 30 novembre 2022, quando il nuovo contratto avrebbe dovuto entrare in vigore il primo dicembre. I lavoratori, invece, sono stati contattati dal rappresentante della ditta tre ore più tardi per firmare i contratti di lavoro “tra l’altro nei pressi del parcheggio di un centro commerciale”, come si legge nella nota diffusa da Cgil e Cisl in quei giorni. Dopo aver atteso per due ore inutilmente, non essendosi presentato nessuno, i lavoratori sono tornati a casa senza contratto, che è stato inviato via mail alle 21.15 con la richiesta da parte della ditta di firmarlo entro le prime ore della mattina successiva. Una farsa.

“Da quel momento è iniziata la contrattazione sindacale che è durata una settimana e ha permesso di ottenere dei miglioramenti -continua Elisa-. Abbiamo raggiunto un accordo per 6,25 euro lordi all’ora, leggermente migliore rispetto a quello che avevamo in precedenza. Ma non abbiamo mai considerato questo risultato come un successo: siamo rientrati al lavoro anche per senso di responsabilità verso i visitatori, dal momento che senza di noi i siti sarebbero rimasti chiusi”.

Da anni i lavoratori dei poli museali del bresciano chiedono che venga loro applicato il contratto di Federculture: “Ci permetterebbe di avere maggiori garanzie, pur restando lavoratori esternalizzati. Invece ci viene proposto quello del settore Servizi fiduciari, che si applica ad esempio per i servizi di portierato”, aggiunge Elisa.

La vicenda dei lavoratori bresciani è stata sollevata anche dalla deputata Valentina Barzotti il 16 aprile di quest’anno in un’interpellanza per chiedere al ministero della Cultura “se non ritenga utile e urgente imporre nelle procedure di gara previste per l’appalto di servizi afferenti alle strutture museali nazionali il contratto collettivo nazionale Federculture per il pieno riconoscimento di tutte le professioni culturali”.

“Da quasi dieci anni noi lavoratori precari siamo essenziali per l’apertura e la gestione di questi importanti poli museali e culturali del bresciano, eppure veniamo ancora considerati come lavoratori stagionali con un monte ore minimo di 16 ore a settimana, ma le ore effettive di lavoro aumentano molto durante l’estate o se dobbiamo fare fronte a imprevisti, ad esempio se i colleghi assunti alle dipendenze del ministero si ammalano -continua Elisa-. Ci viene richiesta la massima flessibilità e queste condizioni, unite alla mancanza di sicurezza, rendono difficile anche gestire un secondo lavoro, essenziale per riuscire a raggiungere uno stipendio mensile decente”.

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