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A più di un anno dalla guerra, gli occhi dei media internazionali non hanno visto Gaza

Deir al Balah, Gaza, alla fine di novembre 2024 © APAImages/Shutterstock / ipa-agency.net / Fotogramma

I giornalisti stranieri non possono ancora entrare nella Striscia. In oltre quattromila avrebbero chiesto a Israele di poterlo fare dopo il 7 ottobre 2023, senza risultato. La denuncia del sindacato dei giornalisti palestinesi, che cita a confronto i 1.500 professionisti dell’informazione andati in Ucraina. E mentre Tel Aviv organizza tour per inviati rigorosamente embedded, i reporter gazawi affrontano condizioni letali

A più di un anno dall’inizio dell’offensiva israeliana contro Gaza -in risposta all’attacco del 7 ottobre 2023 compiuto da Hamas e altri gruppi armati palestinesi- i giornalisti stranieri non possono ancora entrare nella Striscia.

In oltre quattromila avrebbero chiesto a Israele, che ora controlla tutti i valichi di Gaza, di poterlo fare, ma senza risultato. È solo uno dei dati contenuti nel report “A più di un anno dalla guerra, gli occhi dei media internazionali non hanno visto Gaza”, presentato dal giornalista Ahmed Fayyad, in un incontro organizzato dal sindacato dei giornalisti palestinesi, in collegamento col Solidarity media center di Khan Yunis, un centro attrezzato per permettere ai giornalisti di lavorare nonostante tutto, nel Sud della Striscia di Gaza.  

L’interesse mondiale per la guerra di Gaza ha superato quello per la guerra in Ucraina -scrive Fayyad- e i giornalisti stranieri andati in Ucraina sono stati ‘solo’ 1.500, a differenza degli oltre quattromila arrivati in Israele. A tutti è stato rifiutato l’ingresso a Gaza e la loro copertura della guerra si è limitata alla loro presenza in Israele”.  

Ma, mentre vietava l’ingresso nella Striscia, il Gpo -l’ufficio stampa governativo israeliano che rilascia gli accrediti e i permessi per la stampa, necessari da sempre per entrare a Gaza da Israele- non ha perso tempo. Secondo il direttore, Nitzan Chen, “a partire dalla prima settimana di guerra, sono stati organizzati quasi cento tour, eventi e proiezioni del film sulle ‘atrocità’ (commesse da Hamas), in collaborazione con il portavoce delle forze armate israeliane”. E migliaia di giornalisti stranieri, nella vana attesa di entrare nella Striscia, hanno partecipato ai tour, che si sono svolti tra Sderot, la cittadina al confine con Gaza, i kibbutz attaccati da Hamas e gli altri gruppi armati e il sito del Nova festival, dove sono state uccise oltre 360 persone, soprattutto giovani. 

Secondo i dati del Gpo, oltre il 60% dei corrispondenti stranieri accreditati in Israele proviene dagli Stati Uniti, seguiti da quelli del Regno Unito, di Francia e Germania.  

La copertura mediatica globale degli eventi dal 7 ottobre 2023 “è stata senza precedenti -si legge ancora nel sito governativo- nell’ultimo anno sono state rilasciate 5.530 tessere a corrispondenti, fotografi e personale dei media di tutto il mondo, venuti in Israele per coprire la guerra, trasformandola nell’evento più raccontato dalla fondazione dello Stato”.  

Nonostante questo, il giornalista palestinese Fayyad sottolinea il tentativo israeliano di “nascondere” quello che succede a Gaza, impedendo per l’appunto l’ingresso indipendente dei giornalisti stranieri e cercando, invece, di fornire un’unica versione dei fatti.

Alcuni giornalisti, soprattutto israeliani, in realtà, sono potuti entrare nella Striscia, ma embedded, cioè a seguito dell’esercito israeliano, senza potersi muovere liberamente, circondati da militari, né poter intervistare civili palestinesi. 

Fayyad passa in rassegna anche le petizioni che l’Associazione stampa estera ha presentato alla Corte suprema israeliana, per chiedere l’accesso dei giornalisti stranieri a Gaza, senza ottenere però alcun risultato. Il primo tentativo è della fine del 2023: “I giudici della Corte -racconta il giornalista- hanno accettato la tesi dello Stato, secondo cui l’ingresso di giornalisti stranieri a Gaza rappresenta un pericolo per la loro vita e ha respinto integralmente il ricorso, sostenendo che la direttiva del governo israeliano fosse ‘equilibrata e logica’”.

Nel settembre 2024 l’Associazione stampa estera ha presentato una seconda petizione, affermando che le circostanze nella Striscia erano cambiate, compreso il calo dell’intensità della guerra e che quindi doveva essere consentito l’ingresso ai giornalisti indipendenti. 

A quel punto il giudice della Corte suprema ha imposto al governo israeliano di rispondere entro un mese, ma da allora -riferisce Fayyad- l’esecutivo ha chiesto e ottenuto delle proroghe, che l’Associazione dei giornalisti stranieri ha respinto come “inaccettabili”, definendole la dimostrazione di “un grande disprezzo per l’istanza presentata”. 

Ma se da un lato i giornalisti internazionali da oltre un anno non possono entrare liberamente a Gaza, è dentro la Striscia, in realtà, che la situazione per i giornalisti ha superato ogni linea rossa. Per il Committee to protect journalists, infatti, la guerra di Gaza è la più letale di tutti i conflitti degli ultimi 30 anni per i professionisti dell’informazione.  

Secondo i dati del sindacato dei giornalisti palestinesi, i professionisti che lavorano a Gaza e che sono registrati presso il sindacato, sono 1.300. Di questi, dal 7 ottobre 2023, ne sono stati uccisi 181, feriti 394 e arrestati 54. Come raccontato nel nostro podcast “La guerra dei giornalisti”, non possiamo affermare che siano tutte uccisioni mirate, ma in decine di casi, e molti sono ancora sotto esame, sì.  

Sono circa 200, invece, i giornalisti che hanno lasciato Gaza e che sono emigrati in Egitto o in altri Paesi. I pochi rimasti, circa 450 -conclude Fayyad- soffrono una vita di sfollamento, tra tende e macerie, sopportando l’amarezza e la mancanza di cibo”, come tutti gli abitanti di Gaza, il 90% dei quali sono stati sfollati anche più volte. Come se non bastasse, i giornalisti devono fare i conti con la mancanza di attrezzature e le difficoltà di comunicazione con i loro datori di lavoro all’estero, a causa dei problemi nella connessione internet e delle sue frequenti interruzioni provocate da Israele.  

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