Diritti / Attualità
Reato di tortura. Interviene il board di Amnesty International
“La legge italiana sulla tortura è benvenuta ma difettosa. E la linea della sezione italiana è condivisa da tutta l’organizzazione”. Nicole Bieske, presidente del consiglio direttivo di AI, prende parola a seguito del voto definitivo del Parlamento italiano. Enrico Zucca, già pm del processo Diaz, riflette però sulla linea del compromesso. “Che ne è della assolutezza di questi diritti?”
“La legge italiana sulla tortura è benvenuta ma difettosa. E la posizione espressa da Amnesty International Italia è quella di tutto il movimento e quindi del board internazionale”. Con queste parole, Nicole Bieske, presidente dell’organo direttivo di Amnesty International, ha risposto ad Altreconomia commentando la contestata introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano, a pochi giorni dal voto definitivo della Camera dei deputati dello scorso 5 luglio.
La presa di posizione di Bieske -sollecitata a iter legislativo ancora in corso- è giunta dopo che la sezione italiana presieduta dal professor Antonio Marchesi, a discussione parlamentare aperta, aveva auspicato l’approvazione in tempi brevi di una proposta in realtà contraria alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, alle raccomandazioni della Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti (CPT) e alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura (UNCAT). La riflessione di Marchesi era più politica che tecnica: scrivere la parola “tortura” nel codice penale, a suo dire, sarebbe stato di per sé un atto “apprezzabile”. Una contropartita accettabile.
Anche il Commissario per i diritti umani presso il Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, era intervenuto pubblicamente. L’aveva fatto con una lettera indirizzata il 16 giugno ai presidenti del Senato e della Camera. Ma l’invito era l’esatto opposto rispetto a quello di Amnesty Italia: cambiate rotta. Muižnieks, infatti, aveva ritenuto la proposta di legge non “pienamente conforme agli standard internazionali in materia di diritti umani”. Confermando così la bontà delle critiche mosse da operatori del diritto -compresi i magistrati dei processi di Genova 2001-, testimoni e vittime della tortura.
“La legge è benvenuta -ha spiegato Bieske- perché, dopo quasi trent’anni dalla ratifica dell’Italia della Convenzione contro la tortura (CAT), la tortura è ora definita come un reato specifico ai sensi del codice penale italiano. L’assenza di un determinato reato di tortura in Italia ha portato, nel corso degli anni, a casi di impunità”. Ma la definizione “non è chiara e non è soddisfacente in molti aspetti”. In particolare, “sembra adottare un approccio restrittivo rispetto alla tortura mentale e potrebbe limitare la tortura a casi che implicano più atti”. In ogni caso, “vorremmo vedere dei miglioramenti nella definizione della tortura e in altri aspetti della legge”.
Tra la risposta di Bieske e la posizione assunta da Amnesty Italia, però, c’è una differenza sostanziale. La prima, infatti, è giunta come detto a legge approvata, a cose fatte, mentre la seconda è intervenuta a sostegno del compromesso a procedimento legislativo ancora in corso. Non è un dettaglio, come sottolinea Enrico Zucca, sostituto procuratore generale di Genova e pubblico ministero nel processo per le torture della scuola Diaz.
“Quel via libera -commenta Zucca- ha contrastato e indebolito il monito a cambiare rotta che invece proveniva dagli organismi deputati alla garanzia delle convenzioni internazionali”: Commissario Muižnieks in testa. “Ed è la prima volta che Amnesty International, un gruppo di pressione che può e deve permettersi di essere intransigente, non si schiera per mera contingenza politica con la presa di posizione di organismi ufficiali, com’è la Corte europea dei diritti dell’uomo e le sue sentenze che dovevano essere eseguite e che invece sono state disattese. Il Parlamento italiano, infatti, non doveva soltanto eseguire la Convenzione Onu ratificata nel 1988. Doveva modificare il suo quadro normativo sulla base delle sentenze della Corte (da ultimo quella “Cestaro” e “Bartesaghi Gallo e altri”), le cui indicazioni, questa legge ‘benvenuta’ in realtà disattende macroscopicamente. Quelle sentenze imponevano per un’efficace repressione dei fatti di tortura e dei maltrattamenti, aggiustamenti fondamentali che non si esaurivano nella mera introduzione del reato di tortura, o della ‘parola’ indicibile nel nostro codice. Ed è il complesso di questi inadempimenti che nel concreto rende miope la realpolitik del professor Marchesi e di Amnesty Italia.”.
Quella di Zucca è una preoccupazione. “L’Italia è un Paese a democrazia matura, al quale si può richiedere molto di più rispetto a ciò che si richiede a una democrazia di recente formazione. Come si può non pretendere che solo lo standard convenzionale sia l’unica soluzione accettabile? Quale messaggio può dare una ‘tolleranza’ del genere? Che ne è della assolutezza di questi diritti, del rigore delle convenzioni con cui i giudici interpretano questi principi? Che cosa vogliono dire le parole ‘valore fondamentale assoluto’, che non può esser calpestato nemmeno in caso di guerra?”.
Amnesty Italia ha rivendicato una presa di posizione pragmatica. “Sul divieto di tortura, effetto di un diritto fondamentale assoluto e incomprimibile, non è ammesso alcun temperamento. Questo è un pericoloso deragliamento -spiega Zucca- è la perdita di quegli standard, di quegli orizzonti cui bisogna mirare”. Perché la legge non è “deficitaria”, non ha qualche “difetto”. “Quello è un eufemismo -riflette Zucca-. Il testo codifica esattamente l’interpretazione della Convenzione ONU che diedero i ‘giuristi della tortura’ all’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush nell’agosto 2002. Peccato che lo stesso Senato americano ha riconosciuto che quell’interpretazione legittimasse la tortura. Ricordo a me stesso che allora Amnesty chiese con fermezza e senza compromessi l’incriminazione dei funzionari ai massimi livelli che autorizzarono in quei modi pratiche di tortura, denunciando in maniera intransigente il ‘realismo’ dell’ex presidente Obama. Come ha potuto oggi Amnesty International Italia dire invece che era benvenuta una legge che codificava quel principio?”.
È una contraddizione lacerante.
“A questo punto dovranno essere le vittime di tortura a spronare Amnesty International perché non ceda alla rassegnazione -conclude Zucca-. È del tutto opinabile infatti il giudizio sulla impossibilità di evoluzione di un quadro politico parlamentare. Com’è ovvio che gli operatori del diritto cercheranno di utilizzare al meglio la norma comunque approvata. Ma la sua approvazione, lungi dal risolvere un po’ di problemi, ne apre di maggiori. Non è un’arma spuntata, ma è un’arma pericolosa che può ferire il sistema dei valori più della sua assenza. Ecco perché volevamo avere Amnesty, come sempre, in testa e in sintonia con le preoccupazioni degli organismi internazionali garanti delle Convenzioni”.
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