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Il consumo di suolo in Italia non è ancora una priorità

© Andrej Lišakov - Unsplash

Anche nel 2023 sono stati trasformati 20 ettari al giorno: cantieri e logistica sono i problemi principali. Si continua a costruire anche nelle aree a pericolosità idraulica e tra i Comuni più “trasformati” del 2023 c’è anche Forlì, la città romagnola andate due volte sott’acqua nel maggio di quell’anno. I dati del nuovo Rapporto sul consumo di suolo presentato dal Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente

Il nuovo Rapporto sul consumo di suolo in Italia pubblicato inizio dicembre certifica l’inazione di chi governa e amministra il nostro Paese, di una classe politica che continua a disegnare politiche e ad autorizzare interventi che trasformano in peggio e in modo permanente e irreversibile l’ambiente in cui viviamo.

I dati, presentati a Roma dal Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente alla vigilia del World soil day del 5 dicembre, evidenziano come anche nel 2023 le nuove coperture artificiali abbiano riguardato altri 72,5 chilometri quadrati, che significa in media circa 20 ettari al giorno: l’incremento del suolo consumato, pur “inferiore rispetto al dato dello scorso anno” spiega il rapporto, “si conferma al di sopra della media dell’ultimo decennio (2012-2022), pari a 68,7 chilometri quadrati annuali”.

Tradotto: passato un periodo che risentiva ancora degli effetti negativi sul mattone e sulle infrastrutture della crisi economica che ha chiuso il primo decennio degli anni Duemila, nel nostro Paese si è tornati a costruire senza freni, senza considerare (la definizione è della Commissione europea) che “terreni e suoli sono risorse fragili e limitate, soggette alla pressione di una sempre crescente ricerca di spazio” e che “l’espansione urbana e l’impermeabilizzazione del suolo consumano la natura e trasformano preziosi ecosistemi in deserti di cemento”.

I deserti di cemento nel 2023 sono avanzati al ritmo di 2,3 metri quadrati ogni secondo, lo hanno fatto a prescindere dal dato relativo alla popolazione, che continua a diminuire (“L’indicatore di consumo di suolo marginale ci rivela come, negli ultimi dodici mesi, per ogni abitante in meno si sia consumato suolo per 1.955 metri quadrati, quasi un quinto di ettaro” spiega il rapporto), lo hanno fatto in particolare in quelle aree dove già si concentra un maggiore consumo di suolo, e cioè il Nord (in testa Lombardia e Veneto, seguite dall’Emilia-Romagna) e lungo le coste, dove in particolare in alcune regioni come Liguria e Marche il consumo di suolo sfiora il 50% entro i 300 metri dal mare, mentre occupa un terzo della superficie della fascia anche in altre tre delle 15 Regioni bagnate dal mare (Emilia-Romagna, Abruzzo e Campania).

Mentre la media nazionale si attesta al 7,16% di suolo consumato, in 15 Regioni il suolo consumato stimato al 2023 supera il 5%, con l’Abruzzo ultima a superare la soglia appena citata. I valori percentuali più elevati rimangono quelli della Lombardia (12,19%), del Veneto (11,86%) e della Campania (10,57%). Gli incrementi maggiori, espressi in ettari, si sono invece verificati in Veneto (+891), Emilia-Romagna (+815), Lombardia (+780), Campania (+643) e Piemonte (+553).


Nel corso delle rilevazioni nel periodo 2022-2023, i tre Comuni che hanno registrato i livelli più elevati di consumo di suolo sono Uta (meno di diecimila abitanti nella città metropolitana di Cagliari), Ravenna e Roma.

Il caso di Uta è interessante: raggiunge 106 ettari di suolo consumato, una crescita -spiega il rapporto- “in gran parte attribuibile all’installazione di impianti fotovoltaici a terra concentrati nella zona industriale a Sud del centro abitato, ma anche a opere di espansione dell’area industriale, comprese strade di accesso e nuovo edificato”.

Sul podio c’è anche Ravenna, che “incrementa la sua superficie consumata di altri 89 ettari, con diverse trasformazioni che hanno interessato la zona portuale, attraverso l’apertura di zone di cantiere per oltre 20 ettari” (a Ravenna è aperto il cantiere per il metanodotto di 32 chilometri che collegherà alla rete nazionale l’inutile rigassificatore offshore voluto da Snam).

Scendendo a livello comunale, il rapporto è in grado di individuare ed evidenziare tutte le tendenze più problematiche degli ultimi anni. Ad esempio, segnala l’analisi, “tra gli altri Comuni con un elevato consumo di suolo nell’ultimo anno spicca Alessandria, che con un incremento di 62 ettari si discosta dai valori rilevati negli anni precedenti e si avvicina al numero della capitale. Questo aumento è dovuto principalmente alla realizzazione di due grandi poli logistici: uno dedicato all’e-commerce, che occupa circa 27 ettari, e un’altra area di cantiere di circa 12 ettari, con destinazione ancora da identificare”.

Padova, dove nell’ultimo anno è stato approvato il controverso progetto per il nuovo hub logistico del marchio della grande distribuzione Alì, ha superato quest’anno il 50% di suolo consumato: eppure, non pare destinata a fermarsi.

Ancora, nella top ten 2023, con 36 ettari, figura Forlì, la città romagnola che proprio nel 2023 con le due alluvioni di maggio è stata investita dagli effetti più negativi dell’impermeabilizzazione del suolo in un contesto di cambiamento climatico. “Nel caso di Forlì, circa la metà del consumo di suolo è attribuibile a due interventi principali: la costruzione di una nuova area commerciale, che occupa 12 ettari, e un polo logistico di quasi 10 ettari”.

Del resto, si continua a costruire ovunque anche nelle aree a pericolosità idraulica media, pur consapevoli che ormai i modelli che le definivano “allagabili in caso di eventi con tempo di ritorno tra 100 e 200 anni” non sono più adeguati. Così, si scopre che il nuovo consumo di suolo in queste aree ha interessato 1.107,5 ettari tra il 2022 e il 2023, dei quali quasi due terzi tra Emilia-Romagna (577,4 ettari) e Toscana (148,4 ettari).

Michele Munafò di Ispra, il “regista” del Rapporto sul consumo di suolo, aiuta a muoversi dentro questo scrigno di dati da cui è possibile ogni anno trarre insegnamenti e spunti di approfondimento. A partire dal fatto che un quinto del consumo di suolo è legato ai cantieri, che tra i primi Comuni italiani per consumo di suolo a livello nazionale e regionale figurano molti Comuni in cui sono in corso interventi per “grandi opere” e infrastrutture considerate strategiche (Sulmona, Ravenna).

“I dati sui nuovi cantieri, in buona parte legati a opere infrastrutturali, mostrano che l’impatto di queste trasformazioni è particolarmente significativo e maggiore delle nuove edificazioni osserva Munafò-. Rispetto al 2006, oggi abbiamo presenti sul territorio quasi 28mila ettari di cantieri in più, escludendo quelli dove le opere sono terminate. Solo nell’ultimo anno abbiamo rilevato, grazie alle immagini satellitari che utilizziamo per il monitoraggio, 4.756 ettari di nuove aree di cantiere. Che la strategia debba essere diversa ce lo dice anche l’Unione europea, quando ci chiede di rivedere l’approccio alla gestione del territorio per arrivare all’arresto del consumo di suolo netto, ovvero a puntare sulla manutenzione e sul recupero dell’esistente, più che su nuove costruzioni realizzate su aree agricole e naturali”.

La logistica si conferma inoltre un driver importante del consumo di suolo. Ma la sensibilità delle amministrazioni appare debole. “Le trasformazioni riconducibili alla logistica e alla grande distribuzione figurano tra le cause principali dell’incremento di superficie consumata in Italia -riprende Munafò-. Solo nell’ultimo anno sono 504 gli ettari consumati con questa destinazione d’uso, soprattutto nel Nord del Paese. Si assiste sicuramente a una maggiore sensibilità delle amministrazioni su questo problema nelle regioni più colpite, ma a mio avviso non è ancora sufficiente, soprattutto a livello locale, dove i Comuni hanno spesso pochi strumenti per evitare l’impatto di queste pressioni e dove anche i cittadini non sempre sono pienamente consapevoli delle conseguenze”.

I curatori del Rapporto analizzano dati su base cumulata dal 2006. Una modalità più efficace di quella puntuale, come fa notare Munafò. “Il dato annuale risente di oscillazioni fisiologiche, dovute, ad esempio, all’avvio di cantieri legati a opere infrastrutturali che possono incidere sulle statistiche di singoli territori in modo significativo. Quello che rileviamo oggi sul territorio, inoltre, è spesso l’esito di scelte effettuate nel passato: per questo è importante vedere l’andamento del consumo di suolo su un periodo più lungo, la cui analisi ci permette di valutare l’efficacia delle azioni avviate negli anni precedenti. In tal modo possiamo anche rilevare gli effetti della crisi economica, particolarmente evidenti nei nostri dati fino al 2016, e analizzare, invece, la progressiva e significativa ripresa del consumo di suolo degli ultimi anni, che mostra come gli interventi normativi approvati non abbiano finora avuto risultati efficaci nella gran parte del territorio nazionale”.

È un dato di fatto: una legge contro il consumo di suolo non c’è, nonostante se ne parli in Parlamento almeno dal 2012.

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