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Esteri / Intervista

Hamas sotto la lente d’ingrandimento. Intervista a Paola Caridi

© Mahmoud Issa / SOPA Images / ipa-agency.net / Fotogramma

Che cos’è oggi l’organizzazione responsabile dell’attacco terroristico del 7 ottobre 2023 e perché resta operativa nonostante l’uccisione dei suoi leader e la devastazione totale inflitta alla Striscia di Gaza? Intervista alla scrittrice e giornalista che da vent’anni si occupa di storia politica contemporanea del mondo arabo. “La distruzione di Gaza non può portare a quella di Hamas, l’obiettivo di Israele è un altro”

Paola Caridi è scrittrice e giornalista, presidente dell’associazione Lettera22. Da oltre venti anni si occupa di storia politica contemporanea del mondo arabo collaborando con alcune delle maggiori testate italiane. I suoi lavori più recenti sono Il gelso di Gerusalemme (ed. Feltrinelli, 2024) e la nuova edizione di Hamas. Dalla resistenza al regime (ed. Feltrinelli, 2023).

L’abbiamo intervistata per chiarire origini, caratteristiche e trasformazioni dell’organizzazione responsabile dell’attacco terroristico del 7 ottobre.

Caridi, qual è la cosa più importante da capire di Hamas?
PC
Che è un prodotto della società nazionale palestinese, non un progetto calato dall’esterno. Spesso la narrazione israeliana ha paragonato Hamas all’Isis o ad Al Qaeda, ma è improprio mettere tutto insieme nella galassia islamista. Hamas è il braccio politico del ramo palestinese della Fratellanza musulmana, un’organizzazione socio-religiosa fondata nel 1922 in Egitto, ancora prima della creazione di Israele (1948). Hamas nasce nel 1987, quando scoppia la prima Intifada, in una società già frammentata, soprattutto a causa del fenomeno dei rifugiati, che vivono non solo in Palestina ma anche in Libano, Giordania e Siria. Nel mondo del rifugio Hamas trova la sua dimensione nazionale, riunendo palestinesi espulsi da città come Giaffa o Majdal e che fuggirono a Gaza dopo la Nakba del 1948. La dimensione islamista implica che la religione influenzi la pratica politica e sociale. Ci sono sempre state fazioni più laiche o più religiose in quella società. Sono divisioni inevitabili, su cui hanno pesato -soprattutto nei primi anni Duemila- le accuse di corruzione verso l’Autorità nazionale palestinese (Anp). Quindi la protesta spiega almeno in parte il successo della proposta islamista, che vince con un programma considerato più convincente. Non dimentichiamo, poi, che parliamo di un territorio dove si esercita la politica senza la libertà, in quanto posto sotto il totale controllo dell’occupazione civile e militare israeliana da oltre mezzo secolo.

Nel 2006 Hamas vinse le elezioni per il rinnovo del Consiglio legislativo palestinese tramite un voto giudicato legittimo. L’Occidente reagì non riconoscendola come un interlocutore e accettando l’embargo israeliano su Gaza, una sorta di punizione collettiva. Perché?
PC
Fu una reazione miope e contraddittoria. Prima che si votasse i Paesi occidentali non avevano chiesto ad Hamas una scelta pregiudiziale, cioè di partecipare alle elezioni solo se si fosse riconosciuto lo Stato d’Israele. Tutti i governi con voce in capitolo avevano deciso di sostenere quelle elezioni, compreso quello israeliano, che però poi non ha più concesso agli elettori palestinesi di Gerusalemme Est di esercitare il loro diritto di voto. Fino ad allora Hamas era stata fuori e contro le istituzioni dell’Anp, nate dagli accordi di Oslo del 1993. Poi nel 2005 sospende gli attentati suicidi e subito dopo partecipa alle elezioni a livello sia municipale sia politico. Vincendo, contro le previsioni che davano favorita Fatah, ottiene un risultato storico. Forse i governi occidentali speravano che a partire da queste basi l’organizzazione si sarebbe “moderata” nel tempo. Ma il suo successo elettorale ha spinto Israele, Stati Uniti e Unione europea a reagire dicendo che non avrebbero accettato il risultato se Hamas non avesse riconosciuto Israele. In seguito, le cose non sono cambiate, anche se tale riconoscimento, per quanto implicito, c’è stato: nel suo Documento dei principi e delle politiche generali, adottato nel 2017, Hamas afferma di considerare “una formula di consenso nazionale” l’istituzione di uno Stato palestinese lungo i confini del 1967.

Un filmato diffuso dall’esercito israeliano ritrae Yahya Sinwar, leader di Hamas ucciso il 16 ottobre 2024 © credito: dts News Agency Germany/Shutterstock / ipa-agency.net / Fotogramma

I governi guidati da Benjamin Netanyahu hanno sostenuto Hamas, ad esempio tollerando i finanziamenti che riceveva dal Qatar, per indebolire Fatah, dividere i palestinesi e ostacolare la soluzione dei due Stati. Questo quanto ha pesato?
PC
Sicuramente Netanyahu ha beneficiato della frattura tra Fatah e Hamas così come delle guerre che Israele ha scatenato su Gaza a partire dal 2008 a oggi. Inoltre, era inevitabile che la ricostruzione della Striscia dopo tali guerre sia sempre stata fatta da Paesi che avevano contatti diretti con Hamas in quanto non la consideravano un’organizzazione terroristica. Non l’ha fatto solo il Qatar ma molti altri Stati, non solo arabi. I flussi di denaro verso la Striscia vogliono dire anche questo. Il problema è che venivano ricostruiti edifici che si sapeva sarebbero stati bombardati e distrutti alla prima occasione poco tempo dopo. In un territorio minuscolo dove vivevano e vivono rinchiusi, senza poter scappare, due milioni di persone che fondano la loro sopravvivenza sugli aiuti forniti dall’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi dal 1949.

Che cosa voleva ottenere Hamas con il 7 ottobre?
PC
Servirà tempo per capirlo. Finora sono state fatte delle ricostruzioni giornalistiche serie, però mancano ancora degli elementi. Le cause dell’attacco sono da ricercarsi: nella situazione degli oltre 9.400 prigionieri palestinesi in Israele, di cui oltre 3.300 in detenzione amministrativa; nella questione di Gerusalemme (i partiti rappresentanti il sionismo messianico vorrebbe annettere la Spianata delle moschee); nell’occupazione e colonizzazione della Cisgiordania, dove circa 700mila coloni vivono in 300 insediamenti. L’attacco però è stato condotto non contro i militari bensì i civili, che rappresentano due terzi delle vittime e degli ostaggi: questo lo configura come azione terroristica. Senza dubbio il 7 ottobre è un prodotto del cambiamento negli equilibri interni di Hamas a Gaza prodottisi soprattutto a causa dell’influenza di Yahya Sinwar, liberato nel 2011 dopo 22 anni in carcere insieme ad altri prigionieri in cambio del rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit. Prima l’ala politica prendeva le decisioni e quella militare -le brigate al-Qassam- le eseguiva. Nel corso del decennio tra 2012 e 2023, invece, Sinwar ha rappresentato il ponte tra le due. La sua stessa rielezione come capo della circoscrizione di Gaza è stata ottenuta grazie al sostegno dell’ala militare. È stato un cambiamento epocale, e ancora non è possibile prevedere gli sviluppi futuri.Che cosa pensa dell’accordo di “unità nazionale” che 14 fazioni palestinesi tra cui Hamas e Fatah hanno firmato a Pechino lo scorso 23 luglio?
PC
È il frutto di un processo di riconciliazione che va avanti da diciassette anni, a cui la Cina ha dato un ulteriore, importante impulso. Sempre grazie alla sua mediazione si è anche raggiunta, nel 2023, un’eclatante normalizzazione dei rapporti tra Iran e Arabia Saudita, in ambito non solo diplomatico e commerciale ma addirittura militare, tant’è che di recente i due Paesi hanno svolto esercitazioni navali congiunte nel mare di Oman, e a novembre vi è stata una visita del capo di stato maggiore saudita al suo omologo iraniano a Teheran. Dopo l’accordo di Pechino, le fazioni palestinesi continuano i contatti per arrivare a un vero quadro di governance condivisa per poi, in qualche modo, presentarsi come soggetto unico. Ben sapendo però che finora Mahmud Abbas, presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e dell’Anp, è sempre stato contrario a un esito di questo tipo.

© Rouzbeh Fouladi/ZUMA Press Wire/Shutterstock / ipa-agency.net / Fotogramma

Nonostante la carneficina criminale in corso a Gaza da un anno, Hamas sopravvive all’uccisione dei suoi leader. Perché?
PC
I leader di Hamas sono nel mirino da decenni, fin dalla metà degli anni Novanta. Israele ha assassinato persino il fondatore dell’organizzazione Sheik Ahmed Yassin nel 2004, e a distanza di un mese la persona a lui più vicina, Abdel Aziz al Rantisi. Questa tattica non ha mai fermato Hamas perché si tratta -lo ripeto- di un movimento collettivo prodotto di una società nazionale, per giunta clandestino. Morto un leader, l’organizzazione ne sceglie un altro. Gaza non è Hamas, e Hamas non è Gaza: il movimento ha le sue circoscrizioni, oltre che nella Striscia, in Cisgiordania, all’estero e, almeno fino al 7 ottobre, nelle prigioni. Visto che la distruzione di Gaza non può portare alla distruzione di Hamas, evidentemente l’obiettivo di Israele è un altro, cioè la questione palestinese nel suo complesso. Come dimostra il fatto che l’attacco colpisce in modo indiscriminato i civili, l’Unrwa, i medici, i giornalisti. Difatti, Netanyahu è accusato da molti analisti israeliani e dalle stesse famiglie degli ostaggi di aver sacrificato questi ultimi e la loro incolumità all’obiettivo primario della guerra, cioè l’espulsione di palestinesi, il controllo di Gaza e persino la costruzione di colonie nella Striscia.

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