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Ci stiamo perdendo Camerino. Otto anni dopo il terremoto la città universitaria è un fantasma

Il centro di Camerino nell'ottobre 2024, a otto anni dal terremoto © Riccardo Pensa

L’unica funzione pubblica rientrata nel centro storico marchigiano dopo la scossa di fine ottobre 2016 è il rettorato. Il professor Marco Giovagnoli, responsabile del corso di laurea in Scienze giuridiche per l’Innovazione organizzativa e la coesione sociale dell’Università, racconta l’indifferenza della tecnocrazia per lo scorrere del tempo. Ma oltre alle critiche alla ricostruzione invita a cogliere la sensibilità di un territorio spogliato

“Ecco Camerino. Sabato il sindaco aveva fatto intendere che una parte della zona rossa (cioè il centro storico) sarebbe potuta essere riaperta a breve. Poi è arrivata l’alba di domenica a ricacciare indietro le belle speranze e i buoni propositi. Quelli che ancora avevano una casa in cui dormire si sono trovati catapultati in strada, fianco a fianco con quelli che da mercoledì passano le notti in macchina”.

La cronaca di Renato Pezzini, pubblicata il 31 ottobre 2016 su il Messaggero, dà conto degli effetti del terremoto del giorno prima nella cittadina, tra le più importanti dell’Appennino marchigiano, anche perché dal 1336 ospita l’università.

Camerino, che era già stata colpita dal sisma il 26 ottobre, divenne un’unica “zona rossa”, la più grande dell’intero Cratere, un centro storico inaccessibile e svuotato delle sue funzioni.

Otto anni dopo, Camerino è un paese fantasma e dei settemila abitanti residenti ne restano poco più di seimila. I dati diffusi dal Commissario straordinario del governo alla vigilia di questo ottavo anniversario non rendono comprensibile lo stato della ricostruzione, mentre il quadro è chiaro a chi passeggia per la città: l’unica funzione pubblica rientrata nel centro storico è il rettorato e un solo ristorante ha scelto di abbandonare la nuova “piazza”, la centralità ricostruita al Sottocorte Village.

Il professor Marco Giovagnoli, responsabile del corso di laurea in Scienze giuridiche per l’Innovazione organizzativa e la coesione sociale dell’Università di Camerino, insegna qui dal 2002, quando “si stavano ultimando gli ultimi grandi aggiustamenti dopo il terremoto del 1997 -ricorda-, che aveva comportato danni assolutamente minori”.

Qual è il suo bilancio otto anni dopo?
MG La situazione per com’è oggi autorizzerebbe e autorizza qualsiasi analisi critica rispetto a ciò che è successo in questi otto anni. Credo però sia necessario cogliere una sensibilità del territorio. Entro frequentemente dentro il centro storico di Camerino, per mangiare nell’unico locale pubblico aperto, perché il nostro rettorato è coraggiosamente tornato all’ inizio del 2024 nell’edificio delle ex magistrali, in via Pieragostini. A me, che resto “straniero”, la città murata, completamente deserta, in uno scenario da ghost town del West, fa un effetto drammatico. Cerco così di mettermi nei panni dei camerti, di chi qui è nato e ha vissuto, di chi sente di abitare una città che non c’è più, che viveva di un centro pulsante. Do atto della buona volontà dell’amministrazione comunale, quella in carica e quella precedente. So quello che ha fatto l’università, che è stato il collante del territorio dopo il terremoto ed è la più grande impresa del territorio, per molti versi anche il centro pulsante economico. Ci sono anche tante associazioni, come “Io non crollo“, che finalmente a fine settembre ha avuto la sua cittadella delle associazioni, segnale di vitalità, per chi è rimasto.

Una veduta del centro storico di Camerino a ottobre 2024 © Riccardo Pensa

A fronte delle difficoltà oggettive della ricostruzione di un centro storico di case ed edifici gli uni addossati agli altri, che cosa denuncia la lentezza con cui si sta procedendo?
MG Riflettere su ciò che è successo può essere di grande utilità per il futuro. Il tema che vedo è legato al tempo: la tecnocrazia, che è quella politico-amministrativa e della burocrazia, ha dei tempi che non sono quelli “storici”. È indifferente allo scorrere del tempo: non importa che passino 10, 15 o 40 anni prima di rimettere in piedi un paese o una città; il tempo diventa una variabile che non conta, mentre conta per chi qui vive: ci sono bambini che stanno per uscire dal ciclo della primaria e non hanno mai visto Camerino; persone che alla prima scossa avevano una certa età e oggi sono morte; persone che abitavano da generazioni la propria casa, e oggi, ospiti delle “casette”, non hanno la prospettiva di tornarci da vivi, in quelle abitazioni; persone delocalizzate, a torto o a ragione, che non sono più tornate, né torneranno. Più tempo passa, più è difficile riprendere il filo di lungo periodo che aveva sempre animato Camerino. Il problema della tecnocrazia è che siamo qui a ricominciare sempre da zero. La complessità tecnica doveva esser chiara ed affrontata fin dal 31 ottobre 2016. Così non è stato. Sono passati inutilmente anni senza riuscire a capire che cosa si dovesse fare, finché non è arrivato il Commissario straordinario Giovanni Legnini (in carica dal febbraio del 2020 sino alla fine del 2022, ndr), con competenza normativa e grande disponibilità ha fatto in modo che la situazione potesse sbloccarsi. Sono meriti che oggi il nuovo commissario, il senatore Guido Castelli, si intesta, dimenticando di ricordare l’eredità di Legnini.

Perché la variabile “tempo”, in un contesto come quello di Camerino, è fondamentale?
MG Con il passare degli anni non verrà più riconosciuto questo territorio come riferimento. È questo un “peccato capitale” dell’azione del post terremoto. Sono un sociologo, non ho mai sopportato il concetto di “ricostruzione della comunità”, è tutt’altro discorso, perché le comunità non si costruiscono a tavolino. Non sono stati previsti strumenti metodologicamente corretti di partecipazione, tranne l’iniziativa dei Cantieri mobili di storia, promossi dall’Istituto storico della Resistenza di Macerata, unico spazio pensato per conoscere le persone, informarle, ascoltarle, raccoglierne i bisogni. Il mio timore è che l’affievolimento della discussione su quello che è accaduto faccia calare l’attenzione rispetto all’esigenza di rimettere in funzione un territorio, un pezzo di Regione che si rischia di perdere. Qui non nasce più nessuno. Il numero dei residenti all’anagrafe è formale. Molti hanno ancora la residenza ma non ci sono. Questa situazione non può reggere a lungo. Ci sono persone che vivono in questa regione e restano stupefatte del fatto che se tu vai a Camerino non c’è niente. E poi arrivano turisti a fare i selfie davanti ai palazzi “incatenati”. Probabilmente tra quattro o cinque anni il palazzo Ducale sarà a posto, lo stesso il municipio o il teatro. Che cosa resterà, però, oltre alle mura?

Le foto di Camerino sono state scattate da Riccardo Pensa, fotografo di Capannori (LU). Fanno parte di un lavoro di ricerca in corso nell’area dei Monti Sibillini e del Cratere dei terremoti del 2016 e 2017.

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