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Necessità di deroghe e omologazioni: ecco il parere del Coni sull’Arena “olimpica” di Milano

Alla cerimonia di inizio dei lavori dell'Arena Santa Giulia a Milano a fine novembre 2023 © Duilio Piaggesi / Fotogramma

L’impianto in costruzione a Santa Giulia e chiamato a ospitare le gare di hockey su ghiaccio dei Giochi del 2026 non rispetta paradossalmente i requisiti di legge per la disciplina sportiva e dovrà perciò ottenere specifiche “deroghe” per le gare. Ed è stato pure “declassato” al livello “silver” per la pallacanestro, ospitando partite fino ad appena 3.499 spettatori. Il giudizio del Coni. Che non si voleva rendere pubblico

Ecco perché non doveva saltar fuori il parere del Coni sulla Arena “olimpica” di Santa Giulia in costruzione a Milano.

L’impianto chiamato a ospitare le gare di hockey su ghiaccio dei prossimi Giochi invernali del 2026, e proprio per questo dichiarato d’interesse pubblico dal Comune di Milano con rilevantissimi “sconti” concessi allo sviluppatore privato, non rispetta i requisiti fissati dalla legge in tema di visibilità degli spettatori per l’attività di hockey, e dovrà perciò ottenere specifiche “deroghe” da parte della prefettura di Milano per lo svolgimento delle gare oltreché le necessarie “omologazioni da parte delle Federazione sportiva nazionale e internazionale per gli eventi considerati”.

Lo ha (clamorosamente) scritto la commissione Impianti sportivi del Coni nel parere “favorevole” ma “condizionato al rispetto integrale delle prescrizioni” rilasciato nel marzo 2023 allo sviluppatore privato dell’impianto, la Evd Milan Srl, controllata dal colosso tedesco degli eventi dal vivo Cts Eventim (TicketOne).

Quello stesso parere che il Coni ha tentato di sottrarre alla conoscenza pubblica, opponendo il diniego all’accesso civico di Altreconomia con la tesi, non vera, che in quelle pagine fossero custoditi “riferimenti a dati ed elementi progettuali che consistono in soluzioni strutturali e tipologiche protette da segreto industriale, commerciale ed economico”, e addirittura il “patrimonio aziendale” di Evd.

Il problema di quel parere del Coni a firma dall’ingegner Vincenzo Scionti non è affatto un segreto che non c’è –come si può leggere consultando direttamente l’atto integrale che Altreconomia ha recuperato da fonti comunali e ha deciso di pubblicare– quanto semmai il suo contenuto.

Scrive infatti il Coni che “la Commissione (impianti sportivi, ndr), rilevato che il progetto (dell’Arena, ndr) non appare rispondente all’art. 6 del DM 18/3/1996 […], relativamente al rispetto delle condizioni di visibilità degli spettatori, in particolare per quanto riguarda l’attività di hockey su ghiaccio, dichiarata come temporanea e limitata ad alcuni eventi sportivi, prescrive di ottenere le relative deroghe da parte della prefettura competente, nonché le necessarie omologazioni da parte delle Federazione sportiva nazionale e internazionale per gli eventi considerati”.

Ma come? L’opera valutata d’interesse pubblico dal Comune di Milano proprio per la dichiarata funzionalità all’hockey su ghiaccio dei Giochi olimpici -con rilevantissimi sconti al privato, a spese della collettività, su oneri di urbanizzazione e monetizzazioni-, parte nel segno della “mancata rispondenza”, delle “difformità” e delle “deroghe” ad hoc (anche) per l’hockey?

Non solo. L’impianto, dal costo iniziale di 176,4 milioni di euro, è stato “declassato” al livello “silver” per quanto riguarda l’attività della pallacanestro. Regolamento della Federazione italiana pallacanestro alla mano significa che è idoneo a ospitare “attività agonistica, sia maschile sia femminile, con presenza di pubblico” fino a solo 3.499 spettatori. Altro che le gare della Pallacanestro Olimpia Milano.

Il parterre da 60 metri per 32, alto circa 27, potrà ospitare oltre al basket anche “tennis e pallavolo”, per il quale l’omologazione è di livello “internazionale” (almeno questo). Ma nell’elenco delle discipline spicca l’assenza dell’hockey, per le ragioni dette prima.

Il Coni ribadisce poi che per il basket “dovranno essere esclusi dalla capienza i posti con limitata visibilità”. E “conferma” la “mancata rispondenza” alle norme che riguardano la “presenza di separazioni fisse tra i settori di capienza superiore a numero 4.000 posti”. Un’altra “difformità” che dovrà essere oggetto di “specifica deroga da parte dell’autorità competente”.

È paradossale: l’opera da 16mila posti “risultata essenziale ai fini dell’assegnazione delle Olimpiadi 2026” -per citare il Consiglio comunale di Milano-, a favore della quale il pubblico (Regione Lombardia) si è già fatto carico anche della connessione stradale tra la tangenziale Est (A51) e la statale 415, proprio a servizio dell’Arena, dal costo di oltre 12 milioni di euro, l’opera che avrebbe dovuto segnare per i promotori la legacy di Milano-Cortina 2026, lasciando in dote al capoluogo lombardo un’Arena sportiva di livello internazionale, zoppica e non di poco sullo sport.

Il Comune di Milano ha in mano quel parere da un anno e mezzo eppure il sindaco Giuseppe Sala continua pubblicamente a chiedere al governo di provvedere con fondi pubblici a coprire almeno la metà dei 150 milioni di euro di “extra-costi” lamentati da Eventim. Altrimenti, si dice, saltano le Olimpiadi.

Ma l’Arena così progettata ha il dna del palazzetto dei concerti, il vero business di Milano, mica dell’arena olimpica. Tanto che l’hockey è citato sbrigativamente dal Coni quale “attività […] temporanea e limitata ad alcuni eventi sportivi”. Ne potrebbe nascere uno slogan efficace, “Milano-Cortina 2026: alcuni eventi sportivi”.

Sta di fatto che a fine settembre, intervenendo a un evento promosso da Il Giornale, Sala ha detto chiaro e tondo ciò che per lui andrebbe fatto per salvare l’Arena e il piano economico e finanziario degli sviluppatori tedeschi: “I privati hanno bisogno che ci mettiamo qualcosa. Siamo arrivati al punto che io e il governatore Attilio Fontana siamo disponibili a pensarci noi, ma basta che diano una modalità per cui non rischiamo con la Corte dei conti se affidiamo fondi per un bene privato. Serve una legge che ci permetta di tutelare noi e i nostri dirigenti”. Chiedere deroghe e manleve è ormai una disciplina olimpica. E Milano ha vinto l’oro.

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