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Diritti / Reportage

La tomba del fratello e i corpi dei migranti finiti nei fiumi dei Balcani

Vidak Simić, patologo forense, nell’area del cimitero di Bijeljina, in Bosnia ed Erzegovina, dove sono sepolti i corpi di parte dei quaranta migranti annegati nella Drina e ritrovati dal 2016 ad oggi. © Max Hirzel

Lungo la Drina, tra Bosnia e Serbia, o la Sava, tra Bosnia e Croazia, sono decine le persone che hanno perso la vita in questi anni nel tentativo di attraversare la frontiera, verso l’Europa. Chi si batte per custodirne la dignità

Tratto da Altreconomia 273 — Settembre 2024

"Io non uso mai la parola ‘cadavere’, questi sono corpi, corpi umani, ognuno con un’anima e pensieri prima di morire, e una famiglia”. Da trent’anni Vidak Simić è medico legale a Bijeljina, città della Repubblica Serba nel Nord-Est della Bosnia ed Erzegovina, affacciata sulla riva Ovest del fiume che oggi segna il confine tra la Bosnia e la Serbia.

È la Drina, fiume leggendario e fatale, secondo qualcuno maledetto, con le sue acque verdi che paiono scorrere tranquille. Linea di demarcazione tra gli Imperi Romano d’Oriente e d’Occidente prima, Austroungarico e Ottomano poi, nei secoli ha accolto la morte di molte genti, spesso non uccise dal fiume, non da meno è stata l’ultima guerra balcanica che l’ha reso di nuovo frontiera ufficiale. Oggi a morire sono i giovani migranti che provano ad attraversarla.

Il volto del dottor Simić è gioviale, lo sguardo acuto, un filo d’ironia sotto i folti baffi. “Risale al 2016 il primo ritrovamento nella Drina del corpo di un migrante -raccon

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