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Terra e cibo / Intervista

“Dal colonialismo alla cura, anche in agricoltura. Insieme ai contadini delle aree rurali”

© Kiyoshi - Unsplash

Quest’anno ha preso finalmente forma il Gruppo di lavoro che avrà il compito di monitorare il rispetto e denunciare le violazioni della Dichiarazione Onu sui diritti dei contadini e delle popolazioni rurali. Geneviève Savigny, a capo del Gruppo, racconta sfide e obiettivi. Dall’accesso alla terra al potere delle multinazionali alimentari, fino alle nuove forme di land grabbing

Ad aprile 2024 il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha nominato ufficialmente gli esperti che faranno parte del Gruppo di lavoro sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali.

“Nello specifico significa avere l’equivalente di un Relatore speciale, ma in questo caso attraverso un gruppo di cinque”, spiega ad Altreconomia Geneviève Savigny, appartenente all’organizzazione Via Campesina e contadina, a capo del Gruppo. Un passo in avanti verso l’attuazione dei diritti dei contadini perché il Gruppo avrà il compito di monitorare il rispetto e denunciare le violazioni della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali (Undrop, nell’acronimo inglese). Vale a dire di tutte le persone che vivono in contesti agricoli, siano essi agricoltori o meno: “Qualsiasi persona che, a livello artigianale o in piccola scala, operi nel settore agricolo, sia dedita alla coltivazione di terreni, all’allevamento di bestiame, alla pastorizia, alla pesca, alla selvicoltura, alla caccia o alla raccolta, e a tecniche artigianali relative all’agricoltura o a un’occupazione correlata in una zona rurale. Si applica inoltre ai membri a carico della famiglia di contadini e ai popoli indigeni”. Il nuovo Gruppo arriva dopo un lungo processo avviato dalle organizzazioni dei contadini, e per Savigny è “un risultato molto importante perché è stato avviato e ottenuto dal basso”.

Savigny, perché e in che modo le organizzazioni dei contadini hanno lavorato per ottenere un gruppo di lavoro alle Nazioni Unite che si occupi dei diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali?
GS Il nuovo gruppo di lavoro è il risultato di un lungo processo avviato dalle organizzazioni dei contadini, e in particolare dalla Via Campesina, che avevano l’esigenza di trovare un modo per tutelare meglio i loro diritti di fronte alle espropriazioni forzate delle loro terre giustificate dalla spinta all’industrializzazione. Dopo lunghe negoziazioni all’interno e all’esterno del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, nel dicembre 2018, l’Assemblea generale ha adottato la Dichiarazione dei diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali. Un documento fondamentale perché raccoglie i loro diritti universali in un unico testo. La costituzione del Gruppo di lavoro è il naturale proseguimento di questo processo. Nello specifico significa avere l’equivalente di un Relatore speciale, in questo caso in un gruppo di cinque, perché la richiesta delle organizzazioni dei contadini era avere più persone provenienti da diverse parti del mondo e la possibilità di includere tra gli esperti anche contadini e rappresentanti di organizzazioni rurali. Io stessa, per esempio, ho seguito in prima persona tutto il processo dell’Undrop in quanto membro dell’organizzazione Via campesina e come contadina. Il gruppo di lavoro è stato così istituito nell’autunno del 2023. Ci sono voluti cinque anni per raggiungere l’accordo nel Consiglio per i diritti umani, ma è un risultato molto importante perché è stato avviato e ottenuto dal basso, dall’impegno e dalla lotta dei contadini. 

Quale prospettiva specifica porterà ciascuno degli esperti al gruppo? E in che modo contribuirà al rispetto e all’attuazione della Dichiarazione?
GS Come ho detto, io stessa sono una contadina. Sono appena andata in pensione, ma lo sono stata per tutta la vita. Abbiamo inoltre due esperti di diritto: Davit Hakobyan che viene dall’Armenia, dall’Europa dell’Est, è un avvocato; mentre Uche Ewelukwa Ofodile, originaria della Nigeria, Africa, è un’insegnante di Diritto negli Stati Uniti. Carlo Duarte, dalla Colombia, è un antropologo quindi si occuperà di tutti gli aspetti della vita contadina. E Shalmali Guttal, dall’India, proviene da una Ong che si occupa di sviluppo. Grazie a questa diversità potremo portare ognuna di queste prospettive specifiche nel nostro lavoro. Il primo compito del gruppo sarà quello di sensibilizzare e condividere le migliori pratiche possibili. Inoltre, con le cosiddette “comunicazioni sui casi”, singole situazioni che ci vengono segnalate, potremo agire su specifiche violazioni e usare l’Undrop come documento di supporto per le denunce. Oppure, ancora, possiamo avere un ruolo di consulenza per legislatori dei Paesi che stiano preparando una legge che riguarda i contadini. Per il momento si tratta di un diritto in costruzione, non è fissato nella pietra in quanto si tratta di una dichiarazione. Ma è già stata utilizzata in alcune legislazioni e questo è importante.

Ci sarà uno sforzo per portare la Dichiarazione a diventare una Convenzione?
GS Questo non lo sappiamo. È davvero una questione che dipende da quali Paesi vorranno spingere in questa direzione, o di quali parti interessate entrerebbero in gioco. In ogni caso il nostro ruolo è quello di implementare ciò che esiste, la Dichiarazione, e di assicurarci che sia pienamente rispettato e porti davvero un miglioramento. Sarà anche parte del nostro lavoro, attraverso le visite nei Paesi, capire e monitorare quali sono le condizioni di vita dei contadini in tutto il mondo. Dalla mia esperienza posso dire che molti conflitti derivano proprio dall’accesso alla terra causati da progetti del settore privato, per esempio di estrazione mineraria, o dalla costruzione di grandi infrastrutture da parte anche degli Stati. Sono tutti casi in cui la prospettiva dei contadini non viene presa sufficientemente in considerazione. Esistono poi le violazioni che riguardano i lavoratori migranti, i loro diritti fondamentali ad avere un alloggio dignitoso, una retribuzione, condizioni di lavoro sicure. Dovremo inoltre porre attenzione alla vita delle popolazioni rurali sotto occupazione, alla condizione delle donne e dei giovani.

Ci sono Paesi che hanno implementato la Dichiarazione nel loro quadro giuridico nazionale?
GS Alcuni Stati, come il Nepal e la Bolivia, l’hanno inserita nella loro Costituzione come base di partenza. Anche questo è un aspetto che monitoreremo per vedere come funziona, come viene usata all’interno delle loro leggi e regolamenti. E naturalmente come viene attuato e in che modo, concretamente, modifica l’accesso alla terra da parte dei contadini, la questione delle sementi, eccetera.

Geneviève Savigny © photographerBrussels.com

Michael Fakhri, Relatore speciale delle Nazioni unite sul diritto al cibo, ha affermato in un’intervista ad Altreconomia che il sistema alimentare nel suo complesso non funziona perché incentrato sulla produzione massiccia per il commercio, a scapito dei piccoli produttori locali. Inoltre, come denunciato dal gruppo di esperti Ipes-Food, le grandi aziende del settore alimentare, attraverso acquisizioni e fusioni societarie, aumentano le loro quote di mercato e sono in grado di influenzare i mercati dei prodotti che vendono. Questo permette loro anche di rivendicare la loro presenza nei processi e negli spazi di governance del sistema alimentare globale, sostenendo di avere un ruolo chiave da svolgere nella trasformazione. Il vostro lavoro e lo strumento dell’Undrop possono svolgere un ruolo di bilanciamento del potere delle grandi aziende alimentari?
GS La crescente concentrazione e il crescente potere delle grandi aziende è una caratteristica molto importante del sistema alimentare. Quello che vogliamo e possiamo fare con l’Undrop è sostenere i contadini e aiutarli a risolvere i problemi causati dai grandi gruppi del settore: che si tratti di concorrenza sleale per l’accesso al mercato o di regole e standard stabilite nei tavoli decisionali che non tengono conto delle specificità dei piccoli contadini. Le sedi istituzionali sono luoghi dove è importante esserci, ma ci rendiamo conto che il potere è spostato verso attori molto più grandi. Il diritto di essere rappresentati ai tavoli decisionali fa parte della Dichiarazione ed è importante garantire ai contadini la possibilità di poter difendere i propri diritti. L’Undrop è uno strumento che può essere utilizzato anche in questi casi.

C’è poi la questione legata alla terra e alla crisi climatica. L’ultimo rapporto Ipes-Food denuncia una nuova ondata di land grabbing attraverso la quale “governi, attori finanziari, speculatori e grandi aziende agroalimentari” stanno acquisendo il controllo di terre con l’obiettivo di riutilizzarle a favore di piantagioni di alberi per i meccanismi di compensazione del carbonio, di grandi progetti di coltivazione di colture adatte alla produzione di biocarburanti o di conservazione della natura, che escludono gli utilizzatori locali della terra e i produttori di cibo. Come affrontare questa nuova minaccia per i piccoli produttori?
GS Per noi è davvero una priorità affrontare il modo in cui vengono proposte e attuate queste false soluzioni alla crisi climatica: la compensazione del carbonio e della perdita di biodiversità attraverso progetti in Paesi terzi dove i contadini possono essere sfrattati in nome del clima. È una minaccia reale e dobbiamo denunciarla rapidamente perché in aumento. Gli stessi che hanno inquinato di più ora vogliono fare soldi per compensare la maggior parte delle emissioni sulle terre dei contadini o delle popolazioni indigene. Con il gruppo di lavoro monitoreremo qual è l’impatto di questi progetti sulle terre delle comunità rurali, come risolvere le controversie e come affrontare il problema. Si potrebbe dire che questa è una fase dello stesso sistema coloniale e capitalista che ha predominato finora. Non si tratta solo di compensare, ma anche di creare un mercato con la compensazione, di creare denaro con la promessa di salvare la biodiversità ed eliminare il carbonio. Affronteremo la questione attraverso l’approccio ai diritti umani, per comprendere quali conseguenze queste soluzioni hanno sui diritti umani dei pastori, delle popolazioni locali, delle popolazioni indigene, sul diritto alla produzione di cibo. Lavoreremo con altri Relatori speciali, come Michael Fakhri e il nuovo Relatore speciale sui diritti umani e il cambiamento climatico, Elisa Morgera, per creare sinergie, avere un campo d’azione più ampio ed essere più efficaci.

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Le comunità rurali, i popoli indigeni, i piccoli pescatori possono essere parte delle soluzioni alle diverse crisi, economica, climatica, politica? Che ruolo possono avere?
GS Un agricoltore locale ha una maggiore capacità di utilizzare specie locali, magari non enormemente produttive, ma adattate alla propria situazione e al territorio in cui vive. Questo vale per le piante e per gli animali. In questo modo si può trarre il meglio dalla terra che si ha a disposizione, con il minor impatto ambientale e un vantaggio per la biodiversità. Il piccolo produttore è anche un consumatore dei suoi prodotti e ha tutto l’interesse che siano buoni. Dal punto di vista sociale ed economico, la terrà inoltre è una possibilità di sviluppo umano. Alcune persone in Africa mi hanno spiegato che se un giovane ragazzo può guadagnare lavorando la terra allora molto probabilmente non sarà così attratto dall’essere un soldato, un terrorista. E poi c’è anche un discorso generale di aree rurali. Se si vuole evitare che queste zone si spopolino, che non siano occupate solo da distese di terra a reddito, allora bisogna promuovere le piccole aziende agricole come economia locale vitale per le comunità rurali. È un aspetto fondamentale della società quello di avere una popolazione rurale fiorente.
Non voglio dire con questo che quella dei piccoli produttori sia una situazione del tutto ideale. Conosco il sistema, l’approccio alla produzione industriale e le esigenze delle persone: cose che hanno un impatto anche sulle piccole produzioni che devono comunque competere con un mercato globale che propone prezzi sempre più bassi. Ma è importante avere un equilibrio tra queste parti e forse l’approccio che proponiamo, basato sui diritti umani e dei contadini, potrebbe essere utile all’intero sistema. Per questo penso che i Paesi occidentali abbiano una grande responsabilità. Questo sarà il mio contributo al gruppo: garantire che, come occidentali, passiamo da società colonialiste e orientate al business a una della cura dell’essere umano e del Pianeta. 

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