Interni / Reportage
Il “sistema Fincantieri”: appaltare il lavoro a operai sottopagati
La “paga globale” è un meccanismo che aggira contratti e accordi sindacali. La multinazionale controllata dal governo mette il marchio ma a costruire le navi sono migliaia di operai dal Bangladesh o dalla Romania. Reportage da Marghera
Il “condominio” si distingue da lontano. Con le lunghe balconate sovrapposte sembra davvero un edificio, invece è una struttura di lamiera ancora cava: dentro sono al lavoro centinaia di carpentieri, saldatori, molatori, addetti a pitturare, a tirare cavi e tubature. Gigantesche gru posano parti del tetto. Una nuova nave da crociera, diciannove ponti e 153mila tonnellate, sta prendendo forma nei cantieri navali Fincantieri di Marghera (VE).
Da quando vengono saldate le prime lamiere dello scafo a quando saranno sistemati gli arredi interni, non meno di mille persone lavorano a ogni nave. Pochi però sono dipendenti Fincantieri; i più sono reclutati da imprese che lavorano in appalto o subappalto. “Nel cantiere di Marghera i dipendenti diretti sono 1.052, di cui circa 650 quadri e impiegati, mentre i dipendenti di ditte in appalto sono intorno a 4.200-4.500, a secondo del momento”, spiega Michele Valentini, segretario generale della Fiom di Venezia, la federazione dei lavoratori metalmeccanici della Cgil. Meno di uno su quattro.
Così in tutti i cantieri della società triestina. Fincantieri è un’azienda di diritto privato ma è controllata al 71% dal ministero dell’Economia e finanze attraverso Cassa depositi e prestiti. A settembre 2023 dichiarava quasi 21mila dipendenti, di cui poco meno di metà in Italia (suddivisi tra Marghera, Monfalcone, Sestri Ponente, Riva Trigoso, Muggiano, Castellammare, Palermo, Ancona) e gli altri tra Norvegia, Romania, Vietnam, Brasile e Stati Uniti. Nella relazione di bilancio 2022 si leggeva che in Italia Fincantieri impiega diecimila dipendenti “e attiva circa 90mila posti di lavoro, che raddoppiano su scala mondiale in una rete produttiva di 18 stabilimenti”.
“Ormai Fincantieri è poco più che un marchio”, osserva Fabio Querin, già dipendente Fincantieri, poi segretario Fiom con delega agli appalti, oggi segretario organizzativo della Cgil metropolitana di Venezia: “I dipendenti diretti si limitano a controllare e fornire supporto, pochissimi sono in produzione: questa è appaltata a centinaia di aziende esterne che si servono di lavoro sottopagato e super sfruttato”. Questo sistema di appalti oggi è sotto accusa.
Nel giugno 2023 il tribunale di Venezia ha rinviato a giudizio 26 persone, tra cui 12 funzionari di Fincantieri e i titolari di diverse ditte di appalti, con imputazioni che vanno da sfruttamento a truffa e corruzione. Esaurita la fase preliminare, la prima udienza era prevista il 28 febbraio: il processo entrerà nel vivo nelle prossime settimane.
Ma per capire come il “sistema Fincantieri” sia arrivato in tribunale, facciamo un passo indietro. “Funziona così: quando lavori sei pagato altrimenti nulla, niente ferie o malattia”, spiega M.A., operaio saldatore di una ditta in appalto che ha chiesto l’anonimato: lo incontro nella Camera del lavoro veneziana, edificio che la Cgil condivide con la Cisl a Mestre, non lontano dai cantieri: il carro-ponte di Fincantieri riempie le finestre. Originario del Bangladesh, M.A. è stato assunto sei anni fa come aiuto carpentiere: “Prendevo cinque euro l’ora”, ricorda. Era alle dipendenze di un connazionale che lavorava in subappalto per una ditta italiana: “Per arrivare a mille euro dovevo fare almeno 200 ore al mese. Ma ho dovuto accettare, avevo bisogno del contratto per rinnovare il permesso di soggiorno”.
Come lui, centinaia di persone lavorano per cinque, sei, se va bene sette euro l’ora, senza ferie, malattia, tredicesima o straordinari: come se non esistessero contratti e accordi sindacali. Lavoratori in prevalenza del Bangladesh o della Romania, ma anche kosovari, albanesi, tunisini, filippini e altri. Negli ultimi anni, alla Fiom sono arrivate persone che lavorano dieci o dodici ore al giorno per meno di mille euro mensili. O che non venivano pagate da due o tre mesi. Lavoratori trasferiti d’ufficio; altri che figuravano in cassa integrazione benché fossero in cantiere.
I dipendenti diretti di Fincantieri nel cantiere di Marghera (VE) sono 1.052. Di questi, 650 quadri e impiegati, contro i 4.200/4.500 operai di ditte in appalto. Meno di uno su quattro
Alcune cause civili hanno permesso di recuperare un po’ di arretrati. “Intanto guardavamo quelle buste paga piene di voci inspiegabili”, dice Valentini. “Era chiaro che non si trattava di singoli casi ma di un vero e proprio sistema fondato sul lavoro sottopagato. E Fincantieri non poteva non saperlo -continua il segretario della Fiom veneziana-. Così nel 2018 abbiamo presentato un esposto in Procura”.
Fabio Querin spiega che il sistema si basa su quella che qui chiamano “paga globale”: una somma forfettaria tutto incluso. “Le ditte in appalto devono applicare il contratto nazionale dei metalmeccanici. Ma nelle buste paga segnano meno ore di quelle lavorate, senza maggiorazioni per straordinari o turni notturni. Poi mettono trattenute per assenze non giustificate, permessi non retribuiti, o recupero di acconti del trattamento di fine rapporto o della tredicesima, in realtà mai erogati. Così appare tutto in regola: ma non corrisponde al vero”. Alla fine restano novecento o mille euro mensili. A volte la ditta versa un salario quasi regolare, ma costringe il lavoratore a restituirne parte in contanti. “Il titolare diceva: firma la busta paga e vattene, se non ti sta bene ti licenzio”, ricorda M. A.
“Scrivono che ti hanno dato tredicesima, tfr, un sacco di cose: ma prendi sempre sei euro l’ora -aggiunge A. M., anche lui originario del Bangladesh-. Segnano 160 ore, ma io ne ho fatte almeno dieci al giorno”. Mostra l’ultima busta paga, con un elenco di trattenute: “Approfittano che non capiamo cosa significa”.
La paga globale “è un sistema di evasione contributiva e fiscale, e un furto ai danni del lavoratore”, continua Querin: “Gli rubano salario, anzianità, pensione, riconoscimento delle qualifiche, anche la possibilità di avere la Naspi, cioè la disoccupazione quando finisce il contratto”. Dalle denunce dei lavoratori emerge anche altro.
L’uso di prestanome: “Il titolare aveva proposto a mio fratello di versare diecimila euro e diventare suo socio -racconta M.A-. Lui aveva accettato ma non gestiva nulla, continuava a fare il carpentiere. Poi mio fratello ha avuto da ridire e si è licenziato; allora il titolare ha chiesto a me di firmare le carte al posto suo, tanto i nomi si assomigliano. Così ho capito che mio fratello figurava come amministratore di una nuova ditta, e io dovevo firmare le buste paga. Ho rifiutato, e quello per quattro mesi non mi ha pagato”.
È allora che M. A. si è rivolto alla Fiom, poi ai carabinieri. Per questo è stato addirittura minacciato da alcuni compagni di lavoro che lo accusavano di fargli perdere il posto. C’è poi il problema dei contratti precari: “Mi hanno assunto per tre mesi, poi sei, poi ancora tre, e quando dovevano farmi il contratto lungo mi hanno lasciato a casa per settimane -spiega M. D.- Senza un contratto indeterminato non posso fare il mutuo. Presto arriverà mia moglie, devo trovare casa: ma a noi bangladesi pochi affittano, ci dicono piuttosto di comprare”.
Emerge infine il ruolo di certi consulenti del lavoro. È agli atti il caso di Angelo e Bruno Di Corrado, che sbrigavano contabilità e buste paga per alcune ditte di appalto: non sono nel rinvio a giudizio perché hanno patteggiato durante l’istruttoria (fa riflettere, il nome Di Corrado era già comparso nelle indagini sulla ‘ndrangheta di Eraclea, in Veneto). Ci sono, infine, ditte accusate di aver pagato funzionari di Fincantieri per ottenere commesse favorevoli: da cui le imputazioni per corruzione.
Un operaio diretto costa in media 55mila euro annui, contro i 30-35mila di uno degli appalti. Almeno 20mila euro annui in meno per lavoratore, da moltiplicare per migliaia
Senza contare la salute, che però non è oggetto del processo. M.A. ha lavorato per mesi alla molatura, levigare e smussare lamiere in spazi angusti, nel doppio fondo dello scafo dove manca l’aria: “È il lavoro più duro e il meno pagato. Solleva molta polvere, al chiuso la respiri anche con la mascherina. La sera hai il naso nero. Ora faccio il saldatore e respiro il gas della saldatura -spiega-. Uno si consuma: se lavori così vent’anni, ci lasci la salute”. L’esposto della Fiom-Cgil e le querele degli operai hanno innescato l’istruttoria condotta dal sostituto procuratore di Venezia Giorgio Gava, che ha infine chiesto di processare 33 persone; in seguito alcune hanno patteggiato (i già citati consulenti del lavoro e alcuni cittadini bangladesi titolari di ditte in subappalto). L’accusa coinvolge Fincantieri e diverse aziende, ciascuna presente in più cantieri, con irregolarità ai danni di quasi duemila operai. Una trentina di lavoratori sono parte civile, oltre alla Fiom e alla Cgil metropolitana di Venezia. Spetta ora ai magistrati giudicare i singoli addebiti, e anche rispondere a una questione di fondo: Fincantieri sapeva? È corresponsabile? Secondo l’accusa, sì.
“Non poteva non sapere -dice Querin-, nel cantiere c’è un controllo ferreo. I lavoratori, anche degli appalti, hanno un tesserino magnetico per entrare in cantiere, accedere agli spogliatoi, nel settore di lavoro, in mensa: ogni pausa, ogni spostamento è registrato, l’azienda sa dov’è ciascuno e quante ore lavora”. Il sindacato, aggiunge, si è sempre battuto per diritti e garanzie anche negli appalti. Un accordo del 1999, tuttora valido, stabiliva che può entrare nel registro appalti di Fincantieri una ditta con un capitale sociale versato di 50mila euro, almeno 20 dipendenti, e una fideiussione del 20% del valore della commessa a garanzia dei salari (già: com’è che nascono nuove aziende con gli stessi titolari di vecchie ditte, o con operai che d’improvviso sono i titolari: con quali capitali, fideiussioni, garanzie?). Certo è che appaltare la produzione permette a Fincantieri di abbattere i costi.
Una ricerca di Matteo Gaddi per la fondazione Claudio Sabattini, commissionata dalla Cgil, fa notare che un operaio dipendente diretto Fincantieri costa in media 55mila euro annui, contro i 30-35mila di uno degli appalti. Un risparmio di almeno ventimila euro annui per lavoratore, da moltiplicare per migliaia. La ricerca, inoltre, analizza l’organizzazione del lavoro: “La casa madre sa in dettaglio quante ore servono per costruire ogni singola parte della nave, quindi quanto vale l’appalto. Se impone costi più bassi, è ovvio che l’appaltatore si rifà sugli operai”, continua Querin. Tanto più che spesso le ditte sono in regime di mono committenza con l’azienda triestina: se perdono la commessa sono finite.
Fincantieri respinge le accuse: al processo è imputata ma anche parte civile. A gennaio la multinazionale annunciava di aver ottenuto per il terzo anno consecutivo il titolo di top employer: un’azienda che cura il benessere dei suoi dipendenti. Ma il comunicato aziendale non fa menzione dei lavoratori degli appalti. Intanto gli affari vanno a gonfie vele, ricavi in aumento e un portafoglio di ordini pieno fino al 2030. Navi da crociera, imbarcazioni civili e militari: tutte costruite da una classe operaia transnazionale e super sfruttata.
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