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Esteri / Attualità

Sui giacimenti di Eni nelle acque palestinesi

© Nathan- Forbes, unsplash

Il 29 ottobre 2023 la multinazionale ha firmato un accordo con il ministero dell’Energia di Tel Aviv per avviare l’esplorazione di giacimenti di gas nelle acque antistanti Gaza. La diffida di uno studio legale statunitense: la giurisdizione sarebbe dello Stato palestinese. ReCommon fa il punto della situazione

Il 29 ottobre 2023, a tre settimane dall’inizio della nuova operazione militare di Israele contro Gaza -a seguito degli attacchi di Hamas del 7 ottobre-, il ministero dell’Energia di Tel Aviv ha concesso varie licenze per l’esplorazione di giacimenti di gas nelle acqua antistanti la Striscia. Tra i beneficiari figurano l’inglese Dana petroleum (una filiale della South Korean national petroleum company), l’israeliana Ratio petroleum ed Eni.

Un provvedimento controverso, cui ha fatto seguito nei primi giorni di febbraio una diffida recapitata alle tre società da parte dello studio legale statunitense Foley Hoag per conto di alcune organizzazioni umanitarie (Al-Haq, Al Mezan center for ruman rights e Palestine center for human rights) in cui si chiede di “desistere dall’intraprendere qualsiasi attività nelle aree della ‘Zona G’ che ricadono nelle aree marittime dello Stato di Palestina”. Sottolineando che tali attività costituirebbero una flagrante violazione del diritto internazionale.

La notizia ha avuto una discreta eco nel nostro Paese. All’interrogazione parlamentare presentata dal deputato Angelo Bonelli dell’Alleanza Verdi Sinistra, il ministero degli Esteri Antonio Tajani ha risposto affermando che “da quanto riferisce Eni il contratto è ancora in via di finalizzazione e il consorzio non ha titolarità sull’area, né sono in corso operazioni che avrebbero comunque natura esplorativa. Non è al momento in corso alcuno sfruttamento di risorse”.

Insomma, per ora è tutto fermo, probabilmente in attesa di “tempi migliori”, ma ciò non toglie che le grandi manovre sul gas tra governo di Israele ed Eni siano effettivamente in corso. E rappresentano un’ulteriore conferma di come il cane a sei zampe stia rafforzando la propria posizione nel Mediterraneo, area storicamente molto rilevante per la società fondata da Enrico Mattei.

Dal 2015, in particolare, la multinazionale fossile italiana è molto attiva nel quadrante orientale del “Mare Nostrum” con la scoperta e il successivo avvio delle attività estrattive (nel 2017) del giacimento di Zohr -considerato la più grande riserva di gas “naturale” del Mediterraneo, con riserve stimate in 850 miliardi di metri cubi- all’interno della Zona economica esclusiva (Zee) dell’Egitto. A questo si sono poi aggiunte varie assegnazioni per l’esplorazione nelle altre Zee cipriote e libanesi, fino a quelle recenti assegnate da Israele.

Per comprendere meglio il contesto, va evidenziato come, negli ultimi due anni, l’Egitto sia stato il Paese chiave per l’esportazione di gas israeliano verso l’Europa. Nel giugno 2022, l’Unione europea ha siglato un accordo trilaterale orientato alla sicurezza energetica con Egitto e Israele. Accordo di cui Eni ha beneficiato grazie proprio terminal egiziano (Damietta Lng): l’infrastruttura era rimasta ferma dal 2012 fino a febbraio 2021 per un contenzioso tra Eni e la società spagnola Union Fenosa Gas. Ma anche negli anni successivi era rimasto sottoutilizzato fino allo scoppio della guerra in Ucraina.

Anche Snam, altro grande player dell’industria fossile italiana, ha tratto un grosso vantaggio economico dall’intesa: è infatti azionista del gasdotto al Arish-Askhelon che permette di esportare il gas estratto nei giacimenti sottomarini verso l’Egitto.

Gli ultimi incontri tra i vertici del governo italiano con quelli israeliani hanno “agevolato” la presenza di Eni. Il primo meeting ufficiale si è svolto a marzo 2023, in quell’occasione Benjamin Netanyahu ha portato a casa un’importante intesa commerciale con Leonardo per lo sviluppo di un nuovo sistema laser ed è stata occasione per iniziare a discutere di una possibile collaborazione con Eni. Ma è nel corso dell’ultimo incontro, datato fine ottobre 2023, quindi già in pieno conflitto, che il ministro dell’Energia di Netanyahu ha concesso le tanto contestate licenze.

I giacimenti, infatti, si trovano in acqua profonde all’interno dei confini marittimi dichiarati dallo Stato palestinese nel 2019 in conformità con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) del 1982 firmata dalla Palestina nel 2015. Più precisamente, lo studio legale Foley Hoag sostiene che il 62% della cosiddetta “Zona G” sia di competenza palestinese. Da qui la richiesta a Eni di di fermare qualunque attività nell’area per evitare la possibile complicità in violazione di normative internazionali.

Se l’attività di esplorazione dovesse dare i frutti sperati, la multinazionale fossile italiana potrebbe richiedere delle licenze di estrazione. Con un ulteriore effetto paradossale: dovrebbe pagare le royalties per l’estrazione di gas allo Stato con cui ha siglato un accordo commerciale (Israele), ignorando però completamente il secondo interlocutore: l’Autorità nazionale palestinese che, in base a quanto previsto dagli Accordi di Oslo, è competente anche sul territorio della Striscia di Gaza.

Filippo Taglieri è campaigner energia e infrastrutture di ReCommon

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