Diritti / Intervista
“L’autoregolamentazione non basta per ridurre l’influenza delle case farmaceutiche”
Il recente caso dei farmaci della Novo Nordisk contro l’obesità autorizzati nel Regno Unito mostra tutte le falle di un sistema di controllo inefficace. Lo spiega Adriano Cattaneo, epidemiologo esperto di salute materna e infantile, impegnato da tempo per rendere la ricerca e la pratica medica indipendenti da interessi commerciali
La rivista statunitense Science ha nominato “scoperta dell’anno” i nuovi farmaci contro l’obesità e il sovrappeso. Originariamente sviluppati per il diabete e approvati già alla fine del 2014 dalla Food and drug administration (Fda) per il trattamento dell’obesità, questi medicinali hanno preso piede però solo due anni fa, quando una nuova versione sviluppata dalla casa farmaceutica danese Novo Nordisk, la Semaglutide, è stata autorizzata per la gestione di problemi di peso negli Stati Uniti. Di recente, oltre che per i successi scientifici, l’azienda danese è stata però al centro dell’attenzione anche per altri motivi.
A marzo di quest’anno il settimanale britannico Observer ha rivelato infatti i dettagli di una campagna di pubbliche relazioni dell’azienda, dal valore di 21,7 milioni di sterline, per finanziare donazioni, sponsorizzazioni di eventi, corsi di formazione sanitaria, progetti di beneficenza, onorari di consulenza e altri pagamenti per aumentare la propria influenza nel Regno Unito. A questo si aggiunge la recente decisione dell’Associazione dell’industria farmaceutica britannica (Abpi) di sospendere per due anni e multare Novo Nordisk a causa di una serie di violazioni del codice di condotta che riguardano una campagna promozionale di un altro dei suoi farmaci per la perdita di peso mascherata attraverso webinar online per gli operatori sanitari.
Secondo Adriano Cattaneo, epidemiologo esperto di salute materna e infantile, la vicenda Novo Nordisk è emblematica perché mostra come le attuali regole sui legami tra industria e medici, operatori sanitari, pazienti e politici non funzionino. Ed evidenzia inoltre quanto scarsa sia la consapevolezza del problema da parte dei professionisti della sanità. Fin dalla sua fondazione nel 2004, Cattaneo fa parte del movimento NoGrazie, un gruppo informale di lavoratori del settore della sanità, che propone iniziative e progetti finalizzati a rendere la ricerca e la pratica medica indipendenti da interessi commerciali, anche denunciando pratiche di marketing ingannevole, conflitti di interesse, politiche di assistenza sanitaria e ricerca dannose.
Dottor Cattaneo, che cosa è successo con Novo Nordisk nel Regno Unito?
AC Le regole per la registrazione di un farmaco sono relativamente rigorose e di solito rispettate: il farmaco può essere registrato solo se l’azienda presenta una serie di documenti che ne dimostrano l’efficacia e la sicurezza. Sicuramente per quanto riguarda la registrazione sono state seguite. Non sempre però chi fa parte delle commissioni nominate dalle agenzie regolatorie, tipo la nostra Aifa, è completamente indipendente. In parte è un problema di numero perché a volte non ci sono abbastanza esperti e alcuni di questi magari hanno lavorato allo sviluppo del farmaco all’interno dell’azienda produttrice. Altre volte invece gli esperti non rendono trasparenti tutti i pagamenti ricevuti dai privati e i loro conflitti di interesse. Questo è esattamente quello che è successo in Gran Bretagna: alcuni degli esperti che hanno avuto rapporti economici con Novo Nordisk hanno anche fornito pareri sul farmaco all’ente inglese incaricato di redigere le linee guida sull’uso dei medicinali nella pratica clinica, il National institute for health and care excellence (Nice). Nonostante i potenziali conflitti di interesse, i legami finanziari non erano stati dichiarati. Secondo i giornali britannici, sia per influenzare chi di dovere, comprese associazioni di medici e pazienti, sia per fare promozione commerciale, Novo Nordisk avrebbe speso milioni.
Non è vietato, per un professionista della sanità, collaborare con il settore privato e anche con quello pubblico.
AC La legge interviene, per esempio, in situazioni di corruzione, ma non quando si tratta semplicemente di gestione dei rapporti anche allo scopo di volgere le regole a proprio favore. È molto difficile provare che ci sia una relazione diretta tra un regalo e un consiglio o una raccomandazione fornita da parte di esperti. Questo rientra nell’ambito regolato dai codici di autodisciplina che si danno le varie associazioni di industrie farmaceutiche, ma che non funzionano veramente.
Proprio nel Regno Unito però l’Abpi ha sospeso e sanzionato Novo Nordisk per violazioni del codice. Perché quindi, secondo lei, i codici non funzionano?
AC Prima di tutto perché sono scritti da chi deve controllare e allo stesso tempo è anche controllato. C’è quindi una contraddizione interna che li rende molto deboli, perché chi li scrive in qualche modo cerca di evitare che siano troppo rigorosi. La seconda ragione è che, per definizione, sono volontari. Il caso britannico è tipico. Ci sono più di 700 aziende farmaceutiche nel Regno Unito, quelle che però fanno parte della federazione e hanno sottoscritto il codice volontario sono 70, più altre 60 non associate. Tutte le altre non sono tenute a rispettare le regole del codice. Terzo, anche quando applicate, le sanzioni e i provvedimenti sono veramente piccoli. Le multinazionali sono ben contente di pagare una multa infinitesimale a fronte di guadagni multimilionari. E anche quando invece della multa c’è la sospensione, questa non comporta grossi problemi, al massimo un po’ di perdita di reputazione. Se un codice di condotta, per esempio, proibisce i congressi in resort turistici ma non le sponsorizzazioni di ogni tipo, questo non fa nessuna differenza dal punto di vista dell’influenza che ciò può comportare sulla promozione di certi farmaci, di certi prodotti.
La situazione è differente in Europa e Italia?
AC Più o meno le cose sono molto simili alla Gran Bretagna per quel che riguarda la registrazione del farmaco e nell’Unione europea se ne occupa l’Agenzia europea per i medicinali (Ema). Quello che invece può essere diverso sono i comitati o i gruppi di esperti che redigono le raccomandazioni sull’uso. Mentre la Gran Bretagna ha il Nice appunto, in Italia esiste qualcosa di simile all’interno del ministero della Salute, il Sistema nazionale per le Linee guida – Snlg, ma non è molto operativo e fa poche linee guida perché ha un mandato ristretto e scarsi finanziamenti. L’elaborazione delle raccomandazioni viene svolta sostanzialmente dalle associazioni mediche specialistiche, per tipo di patologia. Non esiste quasi nessuna associazione medica che non faccia congressi, ricerche, eventi educativi di vario tipo sponsorizzati dalle aziende farmaceutiche. C’è un pervasivo conflitto di interesse.
Questo che cosa comporta?
AC Le aziende hanno un grande vantaggio se riescono a convincere le figure di riferimento, i cosiddetti key opinion leader, perché queste a loro volta influenzeranno centinaia, migliaia o decine di migliaia di loro colleghi a fare quello che loro propongono. Quindi la quantità di pressione a cui vengono sottoposti gli accademici è molto più alta rispetto a quella del povero medico di famiglia di periferia. Secondo me c’è poca consapevolezza di questo e quando parlo con i miei colleghi non sanno niente dei determinanti commerciali di salute, vale a dire tutti quei sistemi, pratiche e percorsi attraverso i quali gli attori commerciali influenzano la salute. I ricercatori hanno poi un altro grosso problema, e cioè che i fondi italiani per la ricerca sono scarsissimi. E se un accademico vuole fare ricerca e pubblicare, quasi inevitabilmente dovrà accettare proposte di lavoro in cui la ricerca è in parte o del tutto finanziata da privati.
Può aiutare maggiore trasparenza nel fornire tutte le informazioni sui rapporti tra esperti e i privati?
AC La dichiarazione di conflitti di interesse è necessaria ma non sufficiente perché se uno ha un conflitto di interesse e lo dichiara questo non è annullato. Resta e lavora in sottofondo, nell’inconscio, non lavora mai in superficie.
Quali sono le soluzioni alternative?
AC Una soluzione ovvia sarebbe che la maggioranza dei finanziamenti venga da fondi pubblici. Fondi dal ministero della Salute, dalle Regioni, dall’Unione europea oppure fondi non provenienti dal settore farmaceutico, ma da privati diversi. Si possono rendere inoltre i finanziamenti ciechi. Un qualsiasi ente, a livello nazionale e locale, può creare un fondo dove confluiscono anche somme di denaro da aziende farmaceutiche che hanno interesse a finanziare la ricerca o altre attività. Chi riceverà i finanziamenti non potrà avere nessun tipo di rapporto con il privato perché non saprà da dove arrivano i soldi.
Secondo lei è veramente possibile che le case farmaceutiche non abbiano contatti con le persone che poi dovranno utilizzare i farmaci o i dispositivi da loro prodotti?
AC Si possono cambiare i tipi di contatti. Ci sono ospedali in Italia che proibiscono che i cosiddetti informatori scientifici abbiano interazioni individuali con i medici. Quindi il rappresentante delle aziende, se vuole presentare un nuovo farmaco o una nuova indicazione per un vecchio farmaco, lo fa in una riunione collettiva con i medici. Il fatto che i medici si controllino l’un l’altro è molto vantaggioso perché il rappresentante che è di fronte a 20 medici dello stesso reparto non può instaurare un rapporto stretto, di finta amicizia, individualmente con ciascuno di loro. Qualsiasi medico può rifiutare di vedere i rappresentanti farmaceutici in incontri individuali. Queste non sono soluzioni “complessive”, però sono iniziative che si possono prendere.
© riproduzione riservata