Ambiente / Approfondimento
I finti crediti di carbonio acquistati da Eni per compensare le emissioni
Nel 2019 la società fossile italiana è entrata nel Luangwa community forests project in Zambia che, contrastando la deforestazione, dovrebbe evitare l’emissione di tre milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Ma i conti non tornano
Il Redd+ è uno dei tanti acronimi un po’ misteriosi che in teoria dovrebbero rappresentare una delle ancore di salvezza per limitare i devastanti effetti della crisi climatica. In inglese sta per Reducing emissions from deforestation and forest degradation, ovvero ridurre le emissioni evitando la deforestazione e il degrado forestale. Si tratta di 624 progetti in tutto il mondo di cui 169 in Africa, dove il più grande è il Luangwa community forests project (Lcfp). Istituito nel 2014, si estende su un’area di 943.646 ettari di terre comunitarie, comprende due “Game management areas” (di fatto equiparabili ai nostri parchi nazionali) e due aree safari private: ne abbiamo incrociata una durante la nostra permanenza in Zambia, pochi mesi fa, proprio per saperne di più dell’Lcfp. La carcassa decapitata di un leone a pochi metri dal resort per cacciatori facoltosi, sulla sponda meridionale del fiume Luanwga, è uno dei ricordi più crudi di quei giorni.
La ratio del Luangwa community forests project è evitare la deforestazione causata dall’ipotetica espansione delle attività agricole delle comunità locali e dalla crescita demografica. Alcuni dei villaggi presenti nell’area sono molto poveri e ulteriori obiettivi del progetto riguardano il miglioramento delle condizioni di vita per almeno diecimila famiglie, la promozione dello sviluppo di infrastrutture e l’accesso all’acqua. Come raccontato anche dalla trasmissione giornalistica d’inchiesta Report, molti abitanti dell’area si lamentano però per un “piano” calato dall’alto, di cui non capiscono la logica e le cui infrastrutture non sono sempre adeguate alle loro esigenze. Come, ad esempio, il complesso scolastico che abbiamo visitato: l’edificio, nuovo di zecca, era privo di banchi, sedie e lavagne; di conseguenza i ragazzi dovevano continuare a fare lezione nelle fatiscenti strutture preesistenti.
Ma se le incertezze sulle reali ricadute positive sulle popolazioni locali del Luangwa community forests project non mancano, sono invece ben oltre i livelli di guardia i dubbi sui possibili benefici per la lotta ai cambiamenti climatici. Con i progetti Redd+ viene portato avanti un conteggio di crediti di carbonio -quindi di ipotetiche “riduzioni” virtuali di emissioni- che piace tanto alle multinazionali fossili.
Eni è entrata nel Luangwa community forests project nel 2019 e due anni dopo, nel 2021, ha conteggiato crediti pari a 1,4 milioni di tonnellate, mentre per il 2022 si è arrivati a 1,7 milioni, una cifra che dovrebbe rimanere tale anche per il 2023. La strategia di decarbonizzazione di Eni prevede di compensare attraverso questi progetti milioni di tonnellate di CO2 per arrivare nel 2050 a emissioni pari a zero, senza dover rinunciare al proprio business fossile. Il problema però si pone quando si fanno bene i conti.
Stando ai documenti ufficiali della Biocarbon partners (Bcp), organizzazione creata nel 2012 la cui missione è “ridurre la deforestazione nelle regioni più ricche di biodiversità” che ha promosso l’Lcfp, la riduzione delle emissioni stimata per questo progetto è di 80 milioni di tonnellate di CO2 lungo un arco di tempo di trent’anni, ovvero circa tre milioni di tonnellate all’anno. Sulla carta un ottimo risultato, che è valso il riconoscimento “Triple gold” e l’accreditamento sulla base del Verified carbon standard per la certificazione dei crediti di carbonio.
La strategia di decarbonizzazione di Eni prevede di compensare milioni di tonnellate di CO2 per arrivare nel 2050 a emissioni pari a zero, senza rinunciare al proprio business fossile
Ma l’oggetto del contendere è proprio questo: chi le fa e le gestisce è Verra, una società ingaggiata e pagata dagli stessi proponenti del progetto e da buona parte di altri Redd+ sparsi per il mondo. A gennaio 2023 un’inchiesta congiunta di Guardian, Die Zeit e della testata investigativa SourceMaterial ha rivelato come i conteggi di Verra siano spesso vere e proprie bufale.
Anche il Luangwa community forests project non esce per niente bene dall’analisi: esaminando i documenti ufficiali, abbiamo riscontrato che i proponenti hanno scelto un’area di riferimento ben diversa da quella del progetto. La differenza più rilevante riguarda la densità abitativa, che è molto più alta rispetto a quella interessata dall’Lcfp. Questo criterio influenza notevolmente il tasso di deforestazione, rischiando di sovrastimare di molto la riduzione della distruzione delle foreste promessa.
Altre differenze riguardano l’area media coltivata per famiglia nelle due aree, che anche in questo caso è più alta in quella di riferimento. Ma sono diverse anche le tipologie di foreste prese in considerazione e, ancor più sorprendente, è il tasso di deforestazione assunto in assenza del progetto, pari a circa il 4%. Un valore estremamente elevato, considerato che quello stimato dalla maggior parte della letteratura scientifica sullo Zambia è di circa l’1%. Sovrastimare questo fattore significa esagerare di conseguenza anche la riduzione delle emissioni e quindi la quantità di crediti generata. Secondo lo specialista Elias Ayrey, l’Lcfp genera crediti otto volte superiori a quelli reali. Ciò significa che su nove tonnellate di carbonio che Eni afferma di aver compensato attraverso il progetto otto non sono reali. Nel novembre del 2022, l’Agenzia di rating BeZero carbon aveva declassato il progetto da AAA- a AA-.
Seri dubbi su Redd+ emergono anche da un’inchiesta pubblicata a ottobre 2023 sul New Yorker che rivela una scellerata gestione finanziaria e pratiche di caccia ai trofei nel progetto Kariba in Zimbabwe, che dovrebbe proteggere l’habitat e reinvestire i proventi dei crediti a favore delle comunità.
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