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“Le piazze vuote”. Per riprendere il contatto tra spazio, persone e democrazia

© Matteo Kutufa - Unsplash

Una dolorosa ferita del nostro tempo è la perdita degli spazi dell’interazione collettiva. Perché con loro è franata la capacità di pensare in avanti, immiserendo i progetti politici. C’è un’alternativa alla partecipazione cosmetica o strumentale. Ne discute il saggio di Filippo Barbera, letto per noi dal prof. Paolo Pileri

Partiamo dal titolo, bellissimo: “Le piazze vuote: Ritrovare gli spazi della politica” (pubblicato da Editori Laterza). È un libro molto ricco di argomenti che spaziano dalla crisi delle politiche alle sfide ambientali, a quelle sociali, all’economia fondamentale, alla lentezza, ai nostri paesi, al tema delle aree interne italiane, assai caro all’autore Filippo Barbera.

Ma c’è un particolare tema sul quale voglio soffermarmi e che da solo basterebbe a dar ragione di questo libro, ed è quello della perdita del punto di incontro tra la discussione civile che le persone dovrebbero sempre fare sulle loro condizioni, su quelle del loro ambiente di vita e sul futuro e lo spazio fisico dove questa discussione si può concretizzare. Un punto di incontro che per l’autore non può e non deve rinunciare alla sua fisicità. Uno spazio che non può essere delegato ai terreni informi del digitale. D’altronde, la commedia non esisterebbe senza le mura, il palco, il retropalco, la platea, il foyer del teatro e il teatro non esisterebbe senza la commedia.

Sembra ovvietà, ma non lo è affatto e Filippo Barbera è assai abile e acuto nell’individuare in questa perdita di contatto fisico tra spazio e discussione una ferita dolorosa del tempo attuale. Se gli spazi dell’interazione collettiva franano, frana la capacità di pensare il/al futuro. Se le nostre piazze sono sottratte all’uso sereno e libero delle persone perché occupate dal traffico; se le biblioteche spariscono o diventano a pagamento; se i parchi si restringono; se le mostre d’arte diventano esclusive esposizioni per pochi e pure ricchi; se gli spazi si banalizzano nella forma degli antri finti e rumorosi dei centri commerciali dove l’imperativo dell’acquisto ti condiziona. Se, se, se. Si dissolve e immiserisce la discussione pubblica, il progetto politico.

Mai come in questo momento di restrizioni delle libertà, in cui i manganelli sono tornati a sventolare cacciando i giovani scioperanti dalle università o dalle strade o impedendo ai comitati civici di incontrarsi per parlare del piano urbanistico, come accaduto a Pavia il 27 ottobre 2023, mettere l’attenzione sulla rivendicazione dello spazio fisico per la discussione pubblica è cruciale. Bene fa quindi Filippo Barbera a destare il nostro sguardo che si è distratto. Una tesi originale che diventa anche un appello alle forze politiche democratiche per non dimenticarsi più di quegli spazi pubblici nelle città o nei paesi. Costruire piazze, parchi, biblioteche, centri civici, case della cultura, bocciofile e centri socioculturali non è un fatto accessorio del compito di chi è al potere e ha a cuore la democrazia.

Tutt’altro: prendersi cura dei luoghi pubblici, significa difendere gli spazi dove la voce dei senza voce ha cittadinanza. E qui esce un altro pilastro del libro di Barbera che mi ha particolarmente colpito: agire per dare voce ai marginali senza cadere nella trappola della partecipazione cosmetica o strumentale; agire per indicare ai partiti e ai corpi intermedi una opzione per disfarsi della crisi in cui sono precipitati proprio per il contrarsi degli spazi fisici per l’elaborazione politica.

Le case delle parole, aperte a tutti e dove tutti si rispettano senza un copione dettato da qualche facilitatore: bella questa suggestiva provocazione con cui Filippo Barbera riesce ad affascinarci da un lato e a proporcelo come progetto sociale e politico serissimo, dall’altro. E credo davvero abbia centrato, perché quegli spazi ci mancano così tanto che neppur ce ne rendiamo conto, rapiti come siamo dal digitale dove pensiamo di discutere e incontrarci, ma in realtà collidiamo come particelle alla velocità della luce, senza ascoltare, elaborare, sedimentare e fissare. Senza conoscerci. Senza andare oltre la crosta di un soprannome usato per navigare anonimi sui social. Le piazze vuote ci attendono per tornare a essere pienamente cittadini capaci di fare domande: che cosa aspettiamo? 

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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