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Diritti / Opinioni

Le forme di apartheid nell’Europa alla deriva

© Patrick Hendry - Unsplash

“Il nuovo populismo fa leva sull’istigazione all’odio e sulla penalizzazione di condotte non solo lecite ma eroiche”, osserva Ferrajoli. Per terra e per mare. La rubrica di Lorenzo Guadagnucci

Tratto da Altreconomia 258 — Aprile 2023

Quando il partito ungherese Fidesz e quello polacco Diritto e giustizia presero la scena con posizioni nazionaliste, autoritarie e xenofobe, nel resto d’Europa suonarono i campanelli d’allarme. Si parlò di estremismo da contrastare, di democrazia in pericolo, di sanzioni da concordare per indurre i reprobi a tornare sulla retta via. Oggi sappiamo che i vari Viktor Orbán e Jarosław Kaczyński -per citare solo i due esponenti più in vista della destra sovranista e illiberale europea- più che dei reprobi erano degli anticipatori.

Su molti temi chiave, dalle politiche migratorie al senso stesso dell’Europa unita, hanno finito per fare scuola. I muri che si alzano in Finlandia al confine con la Russia, i fili spinati stesi fra Grecia e Turchia, la retorica bellicista sulla “difesa dei confini” al cospetto di persone pacifiche e inermi, sono fatti e circostanze che oggi parlano di noi, di quel siamo diventati. Parlano della nostra crisi di civiltà.

Il giurista Luigi Ferrajoli, all’indomani della strage di Cutro del 26 febbraio 2023, con decine di persone annegate senza soccorso a poca distanza dalla costa, ha scritto che “il nuovo populismo fa leva sull’istigazione all’odio e sulla penalizzazione di condotte non solo lecite ma eroiche, come i soccorsi in mare, al fine di ottenere consenso a misure esse stesse illegali, criminose e criminogene, come la chiusura dei porti più accessibili e la procurata omissione di soccorso”.

Ha poi aggiunto che si capisce “come il razzismo sia l’effetto, più che la causa, delle stragi in mare: è la ‘condizione’, scrisse lucidamente Michel Foucault, che rende accettabile ‘la messa a morte’ di una parte dell’umanità. Giacché solo il razzismo rende tollerabile che migliaia di persone affoghino ogni anno nel Mediterraneo”.

La nostra Europa, nata sul principio che tutte le vite contano, mentre il Novecento aveva fin lì affermato che “le vite degli altri” (gli ebrei, i rom, i dissidenti, i nemici…) possono essere annientate senza rimorso, sta rinnegando sé stessa. E approdando a una sua forma di apartheid.

L’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di farvi ritorno”

Dovremmo cominciare a usare questa parola, che pure tanto ci spaventa. Forse capiremmo meglio quello che sta avvenendo e riusciremmo ad affrontare la nostra crisi di civiltà, mettendoci di fronte alle nostre colpe, alla nostra ignavia, alla nostra indifferenza. Diciamocelo: stiamo creando una nuova forma di apartheid, con una sub-umanità abbandonata fino a morire lungo i nostri confini e un’umanità declassata anche all’interno delle nostre (a questo punto) pseudo-democrazie. Perché chi è venuto da fuori o ne discende, chi è tra noi per concessione e non perché sta esercitando il diritto umano a espatriare, è destinato a non essere mai davvero come i cittadini “autoctoni”, nel nome dei quali si costruiscono muri, si deporta, si imprigiona, si lascia morire.

Nel Mediterraneo, molto vicino a noi, c’è un altro Paese, Israele, che sta facendo dimestichezza con la nozione di apartheid, così infamante e disturbante, ma ormai utilizzata dalle maggiori organizzazioni (anche israeliane) di tutela dei diritti umani per descrivere la condizione giuridica e materiale della popolazione palestinese.

In Israele la nozione è rifiutata con sdegno dall’establishment politico, che sta però scivolando fuori dallo stato di diritto, suscitando, per fortuna, la reazione di moltissimi cittadini, consci del rischio ormai conclamato di trasformarsi in una ex democrazia. Dovremmo cominciare anche noi europei a pensarci come cittadini di Paesi, di un’intera Unione, che stanno andando alla deriva.

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”

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