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Crisi climatica / Intervista

Tempi e percorso di ItaliaMeteo, l’Agenzia civile per la meteorologia e la climatologia

Cinque anni fa veniva istituita ItaliaMeteo, struttura pubblica chiamata a svolgere il servizio meteorologico e coordinare gli enti meteo già operanti a livello nazionale. Carlo Cacciamani, direttore dell’Agenzia, ci racconta a che punto siamo e perché la meteorologia è una disciplina centrale per comprendere e affrontare la crisi climatica

“Di solito i media italiani fanno parlare gli scienziati solo dopo un evento meteo estremo e per pochi secondi, poi non li invitano più. Così non c’è modo di far passare un messaggio scientifico e culturale di rilievo. Auspico che tramite ItaliaMeteo le cose cambino”. Per oltre vent’anni si è discusso della creazione di un servizio meteorologico nazionale, analogo a quello della maggior parte dei Paesi europei. Dopo due tentativi andati a vuoto, nel 1998 e nel 2012, la legge 205 del 2017 ha istituito ItaliaMeteo, l’Agenzia nazionale per la meteorologia e climatologia: in corso di allestimento, dovrebbe diventare operativa nei prossimi mesi. Altreconomia ha intervistato il suo direttore, Carlo Cacciamani, fisico, climatologo, ex direttore del Centro funzionale centrale della Protezione civile e fino a settembre 2021 responsabile della struttura IdroMeteoClima dell’Agenzia prevenzione ambiente ed energia (Arpae-Simc) dell’Emilia-Romagna.

Direttore Cacciamani, che cosa fa ItaliaMeteo e qual è il suo ruolo?
CC È sia un servizio meteorologico civile sia una struttura di coordinamento degli enti meteo già operanti a livello nazionale e regionale: il Servizio meteorologico dell’Aeronautica militare, il Dipartimento della protezione civile, le strutture meteo delle Regioni e le Arpa, l’Ispra, il Cnr e le fondazioni Cmcc e Cima. La collaborazione con questi enti verrà definita da convenzioni che si attueranno nei prossimi mesi. L’Agenzia dovrà gestire i dati meteorologici, effettuare previsioni e fare valutazioni sia sul clima osservato sia su quello futuro. Sarà essenziale uniformare le politiche di raccolta e distribuzione dei dati: attualmente ce ne sono tante quante sono le Regioni amministrative. Al suo interno ItaliaMeteo è organizzata in quattro aree: la prima svolge le attività operative e fornisce servizi come le previsioni meteo, l’osservazione e la diffusione dei dati; la seconda si occupa di ricerca e sviluppo, il che implica, tra le altre cose, lo sviluppo di progetti con istituti di ricerca e università; la terza fornisce il supporto informatico; la quarta è quella amministrativa, incaricata di gestire spese, personale, comunicazione, formazione e rapporti internazionali.

Perché il servizio meteo esistente oggi non basta più?
CC
Perché è svolto a macchia di leopardo. Alcune Regioni hanno strutture eccellenti, come l’Arpa Emilia-Romagna, il cui servizio meteo è attivo fin dagli anni Ottanta. Altrove questa informazione non c’è, oppure esiste ma è meno organizzata. Alcuni enti meteo sono in linea con gli standard internazionali, altri sono ancora lontani dal raggiungerli. Manca una visione nazionale coerente, che ItaliaMeteo dovrà assicurare. È piccola per una struttura centrale -circa 80 persone contro le oltre duemila dell’Agenzia meteo francese- ma avrà intorno un sistema che può assicurare un notevole valore aggiunto, a patto di saperlo coordinare in maniera omogenea. Le convenzioni con gli altri enti servono a proporre a livello nazionale servizi che altrimenti avrebbero avuto una portata più ridotta. Unendo le forze abbiamo solo da guadagnarci.

Come spiega il ritardo nella creazione dell’Agenzia?
CC Probabilmente finora le pubbliche amministrazioni non avevano avvertito la necessità di usufruire di un servizio di questo tipo. Oggi invece il tema dell’adattamento al cambiamento climatico è più noto, anche a causa del ripetersi di eventi meteo estremi: questo può avere influenzato la volontà politica. Inoltre, in ambito accademico la meteorologia è stata considerata per molto tempo una disciplina scientifica di serie B. In realtà, l’informazione ambientale, meteorologica e climatica ha un’importanza strategica.

Quali ambiti tocca?
CC Tantissimi. A chi si occupa di pianificazione energetica, se deve decidere dove installare pannelli fotovoltaici o parchi eolici, interessa accedere a dati quali irraggiamento solare o velocità del vento per ottimizzare l’investimento. La protezione civile deve sapere la valutazione ex ante del rischio indotto da forti piogge, in un territorio fragile e molto esposto come quello italiano. Per gestire correttamente il turismo bisogna conoscere il tempo in una data zona non solo nel giro di pochi giorni ma anche sul lungo periodo. L’ammontare delle riserve idriche disponibili per l’agricoltura dipende dalle precipitazioni e dalla temperatura, che vanno monitorate. La siccità di quest’estate, ad esempio, non mi ha stupito, considerato che da gennaio a maggio non aveva piovuto in maniera adeguata e che i ghiacciai alpini erano in gran parte fusi. E poi ci sono l’edilizia e la sanità: quanto saranno sensibili al rischio idraulico infrastrutture come i ponti? Quanto saranno probabili e intense le ondate di calore, e quante persone vulnerabili vi saranno esposte? Tutto questo e molto altro va molto al di là delle previsioni televisive, che rappresentano la meteorologia nell’immaginario collettivo.

A proposito dell’applicazione dei servizi meteorologici e climatologici: uno studio redatto da scienziati di Arpa Emilia-Romagna cui Altreconomia ha dedicato la copertina di ottobre dimostra che con una revisione delle zone climatiche all’interno delle quali sono classificati i Comuni della Regione si potrebbe posticipare l’accensione degli impianti di riscaldamento e così ridurre fabbisogno energetico e inquinamento. Come si è arrivati a questa conclusione?
CC Per capire il clima di una data zona servono almeno trent’anni di dati, da cui si ricavano indicatori statistici come media e varianza, oppure percentili e indicatori di estremi. Sappiamo che il clima è cambiato perché la funzione di distribuzione della temperatura si sposta nel tempo: in questo caso, la temperatura media del periodo 1990-2020 è aumentata di oltre 1 °C rispetto al periodo 1960-1990. Il che giustifica lo scopo dello studio. Questo non significa, ad esempio, che nel trentennio 1960-1990 non ci siano stati giorni con massime superiori a 35 °C: semplicemente ce ne sono stati molti meno che nel trentennio 1990-2020. E ricordiamo sempre che cambiamenti di questa portata in periodi così brevi non si possono spiegare se non con l’effetto delle emissioni di gas serra.

Spesso questi argomenti rimangono confinati nella comunità scientifica e non arrivano al grande pubblico. Che cosa serve per cambiare passo?
CC
 Serve più tempo per spiegare che cosa accade e perché. ItaliaMeteo può dare un contributo in questo senso: la comunicazione scientifica è una parte importante del lavoro dell’Agenzia. Non conta solo saper realizzare un servizio meteo: bisogna anche saperlo raccontare, e assicurarsi che il messaggio trasmesso venga capito. Per questo gli scienziati vanno affiancati da esperti di comunicazione in grado di rendere il loro lavoro comprensibile al pubblico senza snaturarlo o banalizzarlo. E poi occorre formare l’utenza, altrimenti il lavoro può risultare sterile. Nei servizi meteo del Nord Europa questa è la prassi da quarant’anni.

Quest’anno abbiamo assistito a una siccità senza precedenti, al crollo del ghiacciaio della Marmolada e all’alluvione nelle Marche. La percezione del cambiamento climatico è mutata?
CC Io sono ottimista e quindi credo e spero di sì, per quanto noti che gli esseri umani tendono a non imparare dai propri errori. Chi fa il mio mestiere però deve insistere, perché il messaggio da trasmettere è difficile e a tratti anche scomodo.

Perché la gravità della crisi in corso non viene compresa?
CC Perché il rischio climatico è percepito come lontano. In più, il modo in cui viene raccontata la crisi spesso non funziona, perché il linguaggio tecnico e scientifico non viene reso più accessibile. Ho fatto centinaia di seminari rivolti a un pubblico già sensibilizzato: questo rischia di rendere autoreferenziale il discorso. Bisogna rivolgersi a chi certe cose non le ha mai sentite. Per questo faccio anche divulgazione di altro tipo. Ho contribuito a ideare uno spettacolo teatrale, “La margherita di Adele”. Ho scritto un romanzo, “La giostra del tempo senza tempo”, da cui è stato tratto un cortometraggio, prodotto dal Green Social Festival. E ho cambiato le parole che adopero, mettendo una componente più personale nelle storie, per far capire che anch’io sono coinvolto, e tanto. Non dico più: “le future generazione subiranno”. Dico: “mia figlia subirà”. L’impatto su chi ascolta e legge è devastante.

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