Ambiente / Attualità
L’analisi degli impegni climatici delle prime 25 multinazionali al mondo
Le grandi imprese -da Amazon a Ikea, da Nestlé a Unilever- taglieranno le emissioni in media del 40%. E anche quelle che stanno facendo “relativamente bene”, esagerano i loro risultati. L’analisi di NewClimate Institute e Carbon Market Watch
Le 25 più grandi multinazionali del mondo si sono date obiettivi ambiziosi (“emissioni zero” e “neutralità climatica” entro il 2040 o il 2050) per presentarsi il più “green” possibile ai propri consumatori. Ma i piani per la decarbonizzazione della loro attività permetterebbero di ottenere una riduzione media delle emissioni inquinanti del 40% e non del 100% come promesso. È quanto emerge dal “Corporate climate responsibility monitor 2022“, un’analisi condotta da NewClimate Institute e Carbon Market Watch, che ha messo sotto la lente d’ingrandimento aziende multinazionali che operano in diversi settori (da Google ad Amazon, da Ikea a Nestlé) per valutare la trasparenza e serietà dei loro piani per tagliare le emissioni di gas climalteranti.
Solo un’azienda ha ricevuto una valutazione moderatamente positiva: l’impegno della danese Maersk (il più grande armatore di navi mercantili al mondo) è stato valutato “ragionevolmente adeguato”. Sufficienza per i piani di decarbonizzazione di Apple, Vodafone e Sony, che sono stati giudicati “moderatamente adeguati”. Mentre il livello di impegno di Amazon, Deutsche Telekom, Ikea, Walmart, Enel, Volkswagen ed Enel è stato giudicato “basso”. A chiudere la classifica, con una valutazione “molto bassa” in merito alla trasparenza e alla serietà degli impegni per portare a zero le proprie emissioni entro il 2050, ci sono Unilever, Carrefour, Nestlé, Novartis, Accenture, BMW Group.
“L’obiettivo della ricerca era quello di individuare il maggior numero possibile di buone pratiche replicabili per la riduzione delle emissioni. Ma, onestamente, siamo rimasti sorpresi e delusi dal livello degli impegni assunti dalle aziende -ha commentato Thomas Day del NewClimate Institute, uno degli autori dello studio-. Mentre da un lato cresce la pressione sulle aziende affinché prendano azioni concrete contro il cambiamento climatico, i loro impegni ambiziosi troppo spesso mancano di sostanza, il che può trarre in inganno sia i consumatori sia i regolatori. E anche le aziende che stanno facendo relativamente bene, in realtà esagerano i loro risultati”.
Le 25 società valutate nel rapporto hanno un “peso” importante in termini di emissioni di gas serra: nel 2019 hanno prodotto -in base ai dati forniti dalle stesse società- 2,7 giga tonnellate di CO2 (il 5% delle emissioni globali). Una quantità che tiene conto anche delle emissioni generate dai processi che si svolgono lungo tutta la catena di valore: dalla produzione delle materie prime allo smaltimento di rifiuti e scorie. Tutte si sono impegnate, in qualche forma, a raggiungere l’obiettivo “emissioni zero”, ma solo tre su 25 (Maersk, Vodafone e Deutsche Telekom) si sono nettamente impegnate a ridurre le emissioni di almeno il 90% lungo tutta la propria catena di valore. Al contrario, gli obiettivi di decarbonizzazione fissati da cinque aziende porteranno a un taglio e delle emissioni di appena il 15%, spesso escludendo proprio legate alla produzione delle materie prime (upstream emissions), al trasporto, alla distribuzione e allo stoccaggio (downstream emissions). Mentre gli impegni assunti da altre 13 società, che pure hanno definito strategie precise, porteranno a una riduzione delle emissioni di CO2 di appena il 40%. Le restanti 12, infine, non hanno accompagnato i loro impegni con alcun obiettivo specifico.
“Gli obiettivi per il 2030 sono ben al di sotto dell’ambizione richiesta per allinearsi con quelli fissati dall’Accordo di Parigi del 2015 per evitare gli effetti più dannosi del cambiamento climatico -si legge nel report-. Tra le aziende che abbiamo valutato, solo 15 su 25 hanno fissato in maniera chiara obiettivi provvisori. Tuttavia, secondo la nostra analisi, l’impegno medio di riduzione delle emissioni dell’intera catena del valore nel 2030 sarà solo del 23% rispetto al 2019″.
Proprio l’esclusione delle emissioni “a monte” e “a valle” rappresenta una delle principali criticità degli impegni di decarbonizzazione analizzati dai ricercatori di NewClimate Institute e Carbon Market Watch: “Solo sette compagnie su 25 hanno fornito informazioni complete su tutte queste emissioni -si legge nel report-. Le aziende fanno una selezione, mostrando solo le fonti di emissioni minori e, in molti casi, offrendo un’immagine fuorviante della quantità complessiva”. La catena francese di supermercati Carrefour, ad esempio, ha escluso dal computo della CO2 emessa la maggior parte dei suoi punti vendita così come le emissioni upstream e downstream (che pesano per il 98% sulla sua impronta di carbonio) dal suo report annuale. Il report inoltre definisce “particolarmente controversi” i piani di molte aziende (19 su 25) che mirano a compensare o “neutralizzare” le proprie emissioni di CO2 attraverso la piantumazione di nuove foreste. Questi approcci, si legge nel report, sono inadatti “poiché lo stoccaggio di carbonio (da parte delle piante, ndr) può essere invertito: ad esempio quando le foreste vengono tagliate o scoppiano incendi”.
“Le pubblicità ingannevoli delle aziende hanno un impatto reale sui consumatori e sui politici. Nel pensare che queste compagnie stiano prendendo misure sufficienti, quando invece la realtà è ben diversa, veniamo imbrogliati -ha detto Gilles Dufrasne di Carbon Market Watch-. Senza una maggiore regolamentazione, questa situazione continuerà. Abbiamo bisogno che i governi e gli organismi di regolamentazione si facciano avanti e mettano fine a questo greenwashing“. Gli autori del report denunciano una serie di pratiche con cui le multinazionali si presentano come sostenibili agli occhi dei consumatori senza, di fatto, intervenire realmente sulla quantità di CO2 prodotta: ad esempio presentando alcuni specifici prodotti o servizi a “emissioni zero”, senza però precisare che questi incidono solo in minima parte sulle emissioni complessive. Inducendo in questo modo i clienti e i consumatori a pensare che l’intera società, nel suo complesso, sia sostenibile. Deutsche Post, ad esempio, afferma di avere azzerato le emissioni delle attività di consegna dei pacchi in Germania, mentre “meno dell’1% delle emissioni complessive dell’azienda sono compensate -si legge nel report-. Sebbene DP sia trasparente sul fatto che l’azienda compensa solo una quota delle sue emissioni, il rilievo di questa dichiarazione di neutralità nelle comunicazioni pubbliche non è proporzionata alla quantità molto piccola di emissioni di gas serra effettivamente compensate”.
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