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Ambiente / Opinioni

Un pacco al Pianeta: perché l’ultimo miglio delle consegne (e non solo) ci riguarda

Il colosso della logistica Amazon nel 2020 ha emesso 60 milioni di tonnellate di CO2. Tra il 2018 e il 2020 la società fondata da Jeff Bezos ha visto crescere il proprio contributo emissivo del 30% © shutterstock.com

Le imprese della logistica producono impatti sensibili sia in termini ambientali sia sociali. Una ricerca indipendente ha esaminato gli “impegni climatici” delle prime sei multinazionali e fatto il punto sui veicoli elettrici. Il bilancio è negativo. L’editoriale del direttore di Altreconomia, Duccio Facchini

Tratto da Altreconomia 244 — Gennaio 2022

Amazon, Dhl, FedEx, Flipkart, Ups e Walmart remano a favore o contro la transizione ecologica?, si sono chiesti i ricercatori del centro indipendente SOMO. Per rispondere a questa domanda hanno messo sotto la lente gli annunci “climatici” delle multinazionali della consegna a domicilio, misurato il loro parco mezzi, analizzato il cosiddetto “ultimo miglio” della catena distributiva, quello che arriva fino alla porta di casa. Il reportParcel delivery on a warming Planet” del dicembre scorso offre uno spaccato illuminante. Nelle 100 città più popolose del Pianeta, ogni anno, i veicoli dei corrieri emettono 19 milioni di tonnellate di CO2, senza considerare gli impatti sul consumo di suolo, sul congestionamento del traffico o sull’inquinamento dell’aria. A questi folli ritmi di consumo da qui al 2030 i mezzi delle consegne cresceranno del 36% (fonte World economic forum) ed entro il 2050 il settore dei trasporti diventerà il principale “emettitore” globale di gas climalteranti (oggi pesa per l’11,9%). Delle sei aziende analizzate solo Flipkart (con sede a Bangalore, in India, per il 77% in mano a Walmart) non pubblica i dati sulle proprie emissioni. Le altre sì: Amazon guida la classifica con 60 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti nel 2020, seguita da Ups (38), Dhl (29), FedEx (19), Walmart (18). Tra 2018 e 2020 la società fondata da Jeff Bezos ha visto esplodere il proprio contributo emissivo del 30%. Shopping online frenetico, restrizioni da Covid-19 e paradisi fiscali hanno trascinato i profitti (386,1 miliardi di dollari di fatturato nel 2020 per un utile netto di 21,3 miliardi).

Per tentare di raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi del 2015 e limitare il riscaldamento globale entro 1,5 °C, è necessario dunque occuparsi anche di questo pezzo della logistica. Le scelte individuali di consumo fanno la differenza -dal boicottaggio alla riduzione di futili quanto impattanti acquisti online– ma disinteressarsi dei comportamenti delle imprese o delle regole del gioco è rischioso. Non fosse altro per la “moda” della sostenibilità che ha contagiato anche il linguaggio pubblicitario dei sei colossi della parcel delivery. Walmart (559,1 miliardi di dollari di ricavi nel 2020, profitti a quota 13,7 miliardi) sostiene di voler raggiungere il target di “emissioni zero” entro il 2040, escludendo però dal proprio computo le emissioni “indirette” riferite alle aziende cui subappalta i servizi (che sappiamo invece rappresentare una caratteristica tipica della filiera).

Amazon e Dhl parlano di “emissioni nette zero” (la prima entro il 2040, la seconda al 2050), continuando quindi a emettere gas climalteranti ma dicendo di “compensarli” con iniziative discutibili (rinnovabili o riforestazione). FedEx e Ups promuovono invece la “neutralità carbonica”, rimuovendo dall’agenda qualsiasi limitazione relativa a protossido di azoto (N2O) o metano (CH4). Troppo poco, denuncia SOMO, evidenziando il paradosso della timida elettrificazione del parco veicoli. Al momento Amazon conta appena 1.800 mezzi elettrici (EV) e si rifiuta di comunicare il numero totale dei veicoli impiegati su strada. È quindi impossibile stabilire la portata dell’annunciato acquisto di 111.840 EV in consegna tra 2022 e 2030. FedEx ne ha 3.078 su oltre 200mila mezzi motorizzati. Ups ha un parco veicoli di 127mila unità di cui solo 13mila a “basse emissioni”. Walmart promette che al 2040 avrà il 100% dei veicoli elettrici ma non fornisce alcun dato a supporto dell’ambizione. Non è “la” soluzione in ogni caso, ricorda SOMO, che agli impatti socio-ambientali legati all’estrazione di litio, cobalto, nichel, grafite, manganese ha dedicato lucidi approfondimenti.

E mentre tutte e sei le imprese investono ingenti risorse su robot e droni concependo solo la crescita dei consumi, domina la retorica dei “combustibili alternativi” come il gas naturale liquefatto, il biometano o il metano compresso. Un vicolo cieco, ammonisce SOMO. E le istituzioni dove sono? “Il ruolo delle città e degli enti locali è fondamentale”, si legge nel report che dà conto delle iniziative messe in campo con esiti diversi da Delhi (la quarta città più inquinata del mondo), Londra e Los Angeles. L’ultimo miglio ci riguarda.

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