Diritti / Attualità
“Il nuovo campo di Lipa in Bosnia è un fallimento”. Il report di RiVolti ai Balcani
La rete di organizzazioni e singoli a difesa dei diritti lungo la rotta balcanica pubblica un approfondito lavoro sul centro di confinamento per i migranti in Bosnia ed Erzegovina, da poco inaugurato. Finanziato dall’Ue (e dall’Italia) è isolato dai servizi di base ed è un luogo “dove la dignità umana viene calpestata”
Chi vuole vedere da vicino la “strategia” dell’Unione europea in atto verso le persone migranti deve andare a Lipa, l’isolato altopiano nella municipalità di Bihać, nel Nord-Ovest della Bosnia ed Erzegovina.
È qui, nel cuore dei Balcani e dell’Europa, a 800 metri di altitudine e a quasi 25 chilometri dal primo ospedale, che a metà novembre 2021 ha riaperto il nuovo “Temporary reception centre” per le persone “in transito” da 1.500 posti. Una “inedita forma di segregazione senza base giuridica […] dove la dignità umana viene calpestata”, come denuncia la rete RiVolti ai Balcani nel suo nuovo report in uscita il 27 dicembre e intitolato “Lipa, il campo dove fallisce l’Europa” (alle 18.30 si terrà la presentazione online sui canali della rete e di Altreconomia).
A un anno dal terribile incendio che proprio a Lipa -nel cantone di Una-sana, dove il 21 aprile 2020 era stato ufficialmente aperto il “primo” campo come risposta preventiva alla pandemia da Covid-19 per ospitare fino a 1.000 uomini soli- lasciava oltre 1.200 persone all’addiaccio e al gelo, RiVolti ai Balcani ha realizzato un approfondimento di denuncia e informazione (liberamente scaricabile anche dal nuovo sito della rete) che ricostruisce il contesto in cui si inserisce il nuovo campo -costato 3 milioni di euro-, fa il punto dei transiti in Bosnia ed Erzegovina e della mancata protezione, traccia un bilancio (anche economico), mette in fila e descrive gli attori in gioco nella non-gestione della migrazione e dell’asilo nel Paese e soprattutto mostra perché la “strategia Lipa” -che si lega a doppio filo con i respingimenti e il mancato accesso alla protezione in Croazia- è un fallimento.
Il punto di partenza del report è un’utile panoramica sull’Europa sempre più “spinata” e su come nel 2021 si siano rafforzate le politiche di controllo e militarizzazione per mare, terra e cielo dei confini dell’Ue. Dalla Polonia alla Grecia, dalla Croazia alla Romania, passando per Stati chiave come Turchia, Libia e Serbia, i “muri” non si contano. Ciò nonostante nei primi 11 mesi del 2021 gli “attraversamenti irregolari” delle frontiere secondo l’agenzia Frontex sarebbero stati oltre 184mila, il 60% in più rispetto al 2020 e il 45% in più rispetto al 2019; 55.310 di questi riguardano proprio i Balcani occidentali, più 138% rispetto al 2020, più 387% rispetto al 2019.
La Bosnia ed Erzegovina resta quindi uno snodo importante. Tra il gennaio 2018 e l’ottobre 2021 sono state infatti circa 84mila le persone migranti, rifugiate e richiedenti asilo di cui sia stato registrato il transito nel Paese. “Pressoché nessuno intende cercare protezione in Bosnia ed Erzegovina e, quando lo fa, questa gli viene negata nell’ambito di una evidente strategia che mira a scoraggiare ogni tentativo di permanenza”, ricordano i curatori del report -Anna Clementi, Duccio Facchini, Diego Saccora e Gianfranco Schiavone-. “Appena sette richiedenti in quattro anni si sono visti riconoscere lo status di rifugiato (lo 0,25% degli ‘applicanti’). In 109 quello di protezione sussidiaria”.
È in questo quadro che il 19 novembre 2021 è stato inaugurato il nuovo Trc di Lipa, costato come detto 3 milioni di euro e del quale l’Ue è stato il principale finanziatore (tra gli attori intervenuti c’è anche il ministero degli Esteri italiano). La capienza totale del campo è di 1.500 persone suddivise tra 1.000 posti dedicati a uomini singoli, 300 posti per persone appartenenti a nuclei familiari, 200 posti per minori non accompagnati. Al 6 dicembre 2021 le persone dislocate all’interno sono 382. Alla cerimonia di inaugurazione di Lipa il rappresentante Ue in Bosnia ed Erzegovina Johann Sattler l’ha definito un “centro migranti all’avanguardia”. È davvero così?, si è chiesta RiVolti ai Balcani.
La risposta è no. “La scelta di costruire un campo di grandi dimensioni destinato a ospitare anche famiglie e minori non accompagnati in una località totalmente isolata […] non regge al minimo vaglio di razionalità e ancor meno al senso di umanità”. Tanto che ai “confinati” viene “sostanzialmente impedito di sviluppare una minima vita privata e di relazione”, considerando che non possono nemmeno recarsi in alcun centro abitato. “Al momento della pubblicazione del presente rapporto -si legge infatti-, rimane proibito nel Cantone di Una-sana dare passaggi in auto a cittadini stranieri se migranti, nonostante si tratti di una disposizione chiaramente illegittima”. La condizione di “radicale e persistente isolamento” colpisce anche i minori, tradendo quanto scritto nella Convenzione Onu sui diritti del fanciullo. “Si può forse ritenere normale una situazione nella quale, in via ordinaria, il minore viene sottoposto a un trasporto di circa 50 chilometri al giorno per raggiungere la scuola più vicina situata a Bihać?”.
Tutto ruota intorno a un equivoco brutale: di quale “transito” si può parlare in un contesto in cui la frontiera europea è illegalmente serrata e, per mano delle polizie croate, fonte di “sofferenze indicibili”, violenze, pestaggi, respingimenti? Nessuna evoluzione è possibile se non “con la sparizione della persona che riesce a ‘passare’ il confine” pagando un prezzo altissimo. Non c’è alcuna “avanguardia”, c’è un’altra pagina oscura per la storia europea. Lo “shadow game”, per citare lo splendido film diretto da Els van Driel e Eefje Blankevoort, continua.
Il report integrale è qui (e qui sul sito di RiVolti ai Balcani). Le attività di monitoraggio, documentazione e tutela dei diritti fondamentali svolte da “RiVolti ai Balcani” sono autofinanziate. È possibile sostenerle qui.
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