Diritti / Opinioni
Per un’insurrezione contro l’apatia democratica
L’Italia non legge, non interpreta, non vota. C’è bisogno di una chiamata al dissenso per riportare i cittadini alla partecipazione. Come insegna Pertini. La rubrica di Tomaso Montanari
L’astensione di massa alle ultime elezioni è un drammatico segnale d’allarme che sembra non turbare nessuno. Eppure, se la maggioranza degli italiani non vota, la nostra non è più democrazia e abbiamo reciso il filo che ci legava alla Resistenza e alla fondazione della Repubblica. In un Paese che non ha conosciuto rivoluzioni, la festa nazionale degli italiani celebra il giorno in cui un pugno di cittadini chiamò tutti gli altri all’insurrezione. Il 25 aprile del 1945 Sandro Pertini lesse a Radio Milano Libera il proclama del Comitato di Liberazione Nazionale: “Cittadini, lavoratori: sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”.
Non si sbaglia se si dice che il significato più alto e più attuale della festa della Liberazione è dunque la chiamata alla partecipazione. Di lì a poco, l’articolo tre della Costituzione trasformò quel che era successo il 25 aprile nello scopo stesso dell’Italia che rinasceva: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Oggi, 75 anni dopo, chiamare all’insurrezione significa costruire concreti strumenti culturali per una partecipazione vera. L’Italia di oggi ha un analfabetismo funzionale del 47% (in Messico è al 43,2%, negli Stati Uniti al 20%, in Svizzera al 15,9%). Metà del Paese non legge, non interpreta, non si difende: non sa o non vuole più farlo. E non vota. E ai vertici della Repubblica non manca chi giudica con indulgenza, anzi con interesse, quest’eclissi di cittadinanza: siamo davvero molto lontani dallo spirito con cui Pertini lesse quel proclama, il 25 aprile del 1945.
Allora è importante che dal basso siano i cittadini a chiamare a una pacifica, operosa insurrezione contro l’apatia democratica. È il dissenso ciò che oggi ci serve come il pane. Oggi alla radio avremmo bisogno di sentire un messaggio così: “Cittadini, lavoratori, sciopero generale contro la dittatura totalitaria del Mercato, contro ogni espropriazione di sovranità popolare, contro l’uomo solo al comando, contro il presidenzialismo di fatto, contro ogni furto di democrazia: per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Ponete la vostra stessa pigrizia, il vostro disincanto, il vostro minuto interesse privato di fronte al dilemma: arrendersi o perire”.
Oggi una democrazia non vive senza una vera partecipazione: se i cittadini non si occupano della res publica gli interessi delle lobbies sostituiscono il bene comune; le ragioni di uno sviluppo insostenibile prevalgono su quelli della salute e della sopravvivenza stessa del Pianeta; una paura primitiva del diverso ci impedisce di accogliere e integrare i nuovi italiani che arrivano sulle nostre coste; una narrazione ossessiva ravvisa il nemico in tutti quelli che non accettano il pensiero unico (che abbiamo torto o ragione poco importa); un martellante storytelling può nascondere la corruzione di un potere che ha come unico scopo se stesso.
Riportare al voto l’Italia che non ha più fiducia nella democrazia è l’unico modo per salvare la democrazia stessa. Questo il paradosso che ci inchioda, questo il rebus da risolvere.
Tomaso Montanari è storico dell’arte e saggista. Dal 2021 è rettore presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra
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