Diritti / Approfondimento
Crisi umanitaria in Bosnia. La commissaria europea per i diritti umani scrive a Sarajevo
Nel cantone di Una-Sana e in altre parti del Paese almeno 3.500 migranti dormono all’aperto o in edifici abbandonati. Subiscono violenze da parte delle forze dell’ordine e non sono supportati nelle procedure per l’accesso all’asilo. La commissaria europea per i diritti umani Dunja Mijatović ha scritto al governo per denunciare la catastrofe in atto e sollecitarlo ad agire
“Vorrei richiamare la vostra attenzione su una serie di questioni relative alla migrazione e al diritto di asilo in Bosnia ed Erzegovina che devono essere affrontate con urgenza. Se la pandemia da Covid-19 ha aggravato le sfide per il sistema di accoglienza, credo che esse possano essere affrontate nel rispetto dei diritti umani, risolvendo alcune carenze strutturali nel trattamento dei migranti e dei richiedenti asilo e migliorando la collaborazione tra le diverse autorità del Paese”. Con queste parole Dunja Mijatović, commissaria europea per i diritti umani, inizia una durissima lettera indirizzata il 7 dicembre al presidente del Consiglio bosniaco Zoran Tegeltija e al ministro della Sicurezza Selmo Cikotić.
A spingere la commissaria a rivolgersi direttamente al governo di Sarajevo è la catastrofica situazione umanitaria che stanno vivendo i circa 10mila migranti e richiedenti asilo presenti nel Paese: nel cantone di Una-Sana, al confine con la Croazia, e in altre parti del Paese un numero compreso tra le duemila e le 3.500 persone dormono all’aperto o in edifici abbandonati; altre 6.770 persone (dati aggiornati ad ottobre 2020) si trovano invece nel sistema di accoglienza dove la situazione non è necessariamente migliore. Nella tendopoli di emergenza allestita a Lipa “le condizioni di vita sono gravemente inferiori agli standard umanitari”, scrive Mijatović: mancano l’elettricità e l’acqua corrente, il centro è sovraffollato da quando il campo di Bira è stato chiuso e i migranti lì ospitati sono stati trasferiti.
“La chiusura del centro di Bira e il divieto di nuovi ingressi al centro di accoglienza temporaneo di Miral imposta dalle autorità di Una-Sana hanno avuto gravi conseguenze umanitarie per centinaia di migranti e richiedenti asilo, comprese famiglie con bambini, che sono rimasti senza alloggio, cibo e cure mediche. Le restrizioni alla circolazione dei migranti imposte dalle autorità cantonali hanno ulteriormente aggravato la difficile situazione dei gruppi più vulnerabili, in particolare i minori stranieri non accompagnati, le donne incinte e gli anziani”, si legge ancora. La commissaria è molto chiara: “Le autorità della Bosnia ed Erzegovina devono garantire subito che i bisogni fondamentali come un alloggio adeguato, l’accesso all’assistenza sanitaria, al cibo, all’acqua e ai vestiti, siano soddisfatti indipendentemente dallo status giuridico delle persone coinvolte o dal fatto che siano considerate in transito o che intendano rimanere nel Paese”. Per raggiungere questo obiettivo però tutte le autorità devono collaborare e condividere la responsabilità dell’accoglienza dei migranti: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, la Republika Srpska e il distretto di Brčko da un lato, tutti i cantoni dall’altro.
Un’altra responsabilità che Mijatović individua in capo alla politica è quella della violenza usata dalla polizia -e non solo- sui migranti e del razzismo dilagante che si è diffuso nel Paese: “Sono a conoscenza delle accuse di un uso eccessivo della forza da parte della polizia durante gli sfratti dei migranti dagli squat di Una-Sana e durante i trasferimenti dal campo di Bira al campo di Lipa. Ho avuto anche segnalazioni di gruppi di ‘vigilanti locali’ che hanno attaccato i migranti e distrutto i loro beni personali in varie parti del Paese. Queste azioni sono avvenute nel contesto di una retorica anti-migranti diffusa da politici e media, che dipinge i migranti come criminali, terroristi e portatori di gravi rischi per la salute. I migranti che commettono un reato devono ovviamente fare i conti con la giustizia, ma accusare tutti i migranti di essere criminali alimenta solo il sentimento anti-migranti e aumenta il rischio di violenza xenofoba. Invito i politici ad astenersi da discorsi stigmatizzanti e dalle generalizzazioni sui rifugiati e i migranti e a contrastare il fenomeno delle ronde”.
La commissaria manifesta nella sua missiva anche la preoccupazione per le minacce ai difensori dei diritti umani che svolgono attività di sostegno ai migranti. Come la campagna diffamatoria contro Zehida Bihorac, un’insegnante delle elementari che nel 2018 ha iniziato a fornire medicine, vestiti, cibo e sacchi a pelo negli squat di Velika-Kladusa e ha portato avanti un’azione di informazione e denuncia sulle violazioni dei diritti umani che subiscono i migranti nella zona di Una-Sana da parte della polizia e dei residenti e che per questo ha subìto ritorsioni e minacce di morte. Il caso ha suscitato la condanna pubblica da parte della relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla Situazione dei difensori dei diritti umani, Mary Lawlor, che ha invitato le autorità a promuovere un’indagine rapida, indipendente e imparziale su questi attacchi e a consegnare i responsabili alla giustizia.
La commissaria europea ha voluto soffermarsi anche sul tema delle procedure per l’accesso all’asilo e alla domanda di protezione in Bosnia ed Erzegovina. Secondo i dati forniti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) aggiornati a novembre 2020, le richieste di asilo al vaglio delle autorità sono 295, mentre 400 persone stanno aspettando di poter registrare la propria domanda presso il ministero della Sicurezza. “Dai resoconti che ho ricevuto i richiedenti asilo continuano a trovare molti ostacoli nell’accesso alla procedura per la richiesta e nell’ottenere una risposta. Molti migranti hanno difficoltà ad ottenere la conferma della loro intenzione di chiedere asilo, indispensabile per la registrazione della domanda”. In più i tempi per la decisione sono molto lunghi: secondo l’Unhcr ci vogliono 313 giorni per ottenere una risposta, a cui va aggiunto il tempo necessario per registrare la domanda, che può richiedere mesi. Una difficoltà che si somma a quella linguistica: per l’assenza di interpreti che parlino la lingua dei migranti, molti aspiranti richiedenti asilo non riescono a capire quali sono i passaggi che devono fare per ricevere la protezione internazionale una volta che hanno ottenuto la conferma della loro intenzione di presentare domanda. “Le autorità della Bosnia ed Erzegovina devono accorciare i tempi del sistema di asilo in stretta collaborazione con l’Unhcr, con le altre organizzazioni internazionali e con le Ong che lavorano nel campo”, ammonisce Mijatović, prima di affrontare un altro tema cruciale: il principio del non-refoulement.
Il governo bosniaco ha infatti promosso accordi bilaterali per le riammissioni con molti dei Paesi d’origine dei migranti in transito nel Paese. “Vorrei sottolineare che, in virtù dell’obbligo di non respingimento, la Bosnia-Erzegovina deve garantire che tutte le persone che desiderano chiedere protezione internazionale nel Paese abbiano la possibilità di farlo. Tutte le richieste di asilo devono essere esaminate nel merito nell’ambito di procedure di asilo eque ed efficienti che tengano conto delle circostanze individuali e di informazioni aggiornate sui Paesi di origine”, scrive con chiarezza la commissaria ricordando anche che in attesa dell’esito della procedura, i richiedenti devono avere tutti i mezzi necessari a un’esistenza dignitosa. “Qualsiasi procedura di espulsione dovrebbe essere conforme a quanto previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, compreso il divieto di espulsioni collettive, l’obbligo di fornire adeguate garanzie procedurali e il rispetto del diritto alla libertà delle persone coinvolte”.
Un ultimo delicato nodo toccato da Mijatović nella sua lettera riguarda i minori stranieri non accompagnati presenti nel Paese: nei centri di accoglienza a novembre se ne contavano 480. “Sembra che le autorità si trovino ad affrontare una serie di sfide quando si tratta di rispettare l’interesse di questi bambini e ragazzi come la loro identificazione come minori non accompagnati, la valutazione dell’età, il diritto all’alloggio e l’accesso alla protezione internazionale. A causa di questi problemi e della carenza sistematica di alloggi adeguati, molti minori stranieri non accompagnati vivono in condizioni disastrose, spesso insieme ad adulti e famiglie estranee che possono mettere a rischio il loro benessere”. La maggior parte di loro non avrebbe un tutore legale nominato dalle autorità, come è successo nel mese di novembre ai 130 minori ospitati nel centro di accoglienza temporanea di Ušivak, vicino a Sarajevo.
“La mancanza di capacità dei centri di fornire assistenza sociale e una formazione adeguata sulla tutela legale dei minori sono anch’esse questioni che devono essere affrontate con urgenza dalle autorità”, ammonisce la commissaria aggiungendo anche la preoccupazione per il fatto che l’accesso all’istruzione non sia garantito a bambini e ragazzi in modo uniforme in tutto il Paese. Ad esempio, i minori ospitati nel centro di accoglienza a Salakovac, vicino a Mostar, e quelli ospitati nel centro di Ušivak, non sono stati iscritti a scuola. “Invito le autorità della Bosnia ed Erzegovina ad agire rapidamente per creare condizioni adeguate per un’efficace protezione dei minori stranieri non accompagnati, in linea con le norme del Consiglio d’Europa e con gli standard internazionali in materia”, conclude Dunja Mijatović.
© riproduzione riservata