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Bagnoli: dopo venticinque anni d’attesa, il futuro è ancora incerto
I lavori di bonifica e riqualificazione dell’ex area industriale affacciata sul golfo di Napoli partiranno nel 2018 e dovrebbero concludersi nel 2024. Ma restano diversi nodi da sciogliere: dalle aree inquinate alle ambizioni speculative
Guardando verso Ovest da capo Posillipo, l’area ex-Italsider di Bagnoli sembra una ferita nella zona orientale della città. Due milioni di metri quadri sul litorale flegreo e i resti di una fabbrica che era l’anima stessa del quartiere. Lo spazio un tempo occupato dall’acciaieria e dalle industrie Eternit, Cementir e Montecatini, è oggi una landa di terra abbandonata. I reperti di archeologia industriale sono rimasti a dominare il paesaggio come cattedrali nel deserto. Le altre strutture dell’Italsider sono state smantellate, vendute o rottamate negli anni 90. Il pontile Nord, un tempo usato per scaricare ferro e materie prime, è l’unica struttura restituita alla città: una passeggiata pedonale che si protende per quasi un chilometro verso il mare. Il resto è rimasto pressoché intatto per 25 anni.
Lo scorso 4 agosto, dopo due anni di riunioni, scontri e ricorsi, Comune di Napoli, Governo, regione Campania e Invitalia, il soggetto attuatore ad hoc definito dello “Sblocca Italia” -il decreto emanato nel 2014 dal governo Renzi che ha commissariato il sito ex-industriale di Bagnoli- hanno raggiunto un accordo: la proprietà dei suoli ex-Italsider, in precedenza acquisiti dal Comune, è passata a Invitalia. L’area Bagnoli-Coroglio però, nel 2001 era stata dichiarata Sito d’interesse nazionale (Sin) per l’alta contaminazione ambientale, per cui la bonifica spettava già al Governo. L’accordo prevede la creazione di due chilometri di spiaggia pubblica, la rimozione degli edifici sulla linea di costa e della cosiddetta colmata (una piattaforma tra il pontile Nord e quello Sud), 70mila metri quadrati per attività commerciali e iniziative culturali nello spazio dell’ex-acciaieria e una nuova stazione della metro. Del borgo di Coroglio resteranno in piedi solo le strutture non abusive mentre sull’area ex-Eternit nascerà il “Miglio azzurro”, uno spazio dedicato alle imprese di sviluppo ecosostenibile ed economia del mare. Inoltre sarà resa fruibile parte delle strutture costruite agli inizi dello scorso decennio e mai utilizzate. Nelle cinque pagine di accordo è inoltre definita la destinazione d’uso dei due milioni di metri cubi disponibili e il progetto che riguarda il porto turistico.
C’è una data di inizio, i primi mesi del 2018, e una data di fine, il 2024. Ci sono però ancora dei nodi da sciogliere, come il porto da 700 posti barca sull’isola di Nisida, e delle criticità, come il sequestro delle aree da bonificare e le risorse da allocare. Il primo step è la bonifica, che dovrebbe durare almeno un paio d’anni. A Bagnoli però sono scettici. “L’accordo non contiene alcuna garanzia sostanziale sui finanziamenti pubblici per la bonifica e le attrezzature collettive”, spiega Massimo Di Dato, ricercatore e attivista dell’Assise cittadina per Bagnoli, un comitato di cittadini che segue le vicende legate alla riqualificazione. “Inoltre, la formulazione dell’accordo è piena di rinvii a successivi studi, formulazioni ambigue, clausole di flessibilità, che non paiono garantire nemmeno parte degli obiettivi definibili positivi”, spiega.
“L’accordo non contiene alcuna garanzia sostanziale sui finanziamenti pubblici per la bonifica e le attrezzature collettive” (Massimo Di Dato, ricercatore)
Che cosa sarà degli oltre 200 ettari dell’ex-fabbrica se ne discute ormai da 25 anni. Il dibattito è stato terreno di scontro acceso tra industriali e imprenditori che anelavano a una “riconversione industriale”, e chi, come i residenti di Bagnoli e le varie realtà di base invece si aspettavano quegli spazi fossero restituiti alla collettività. A una città che per ottant’anni aveva subito l’inquinamento prodotto dall’acciaieria. L’Ilva, colosso fondato nel 1905 (negli anni 60 cambiò nome in Italsider per poi tornare al nome originario), aveva un fatturato di oltre 550 miliardi di lire, con una produzione di 7,4 milioni di tonnellate di ghisa e 8,7 milioni di tonnellate d’acciaio nel 1968. L’Italsider di Bagnoli era un enorme complesso industriale. “Per quasi un secolo è stato l’orgoglio del Mezzogiorno: impiegava novemila operai, 30mila con l’indotto”, ricorda Aldo Velo, ex-operaio militante nelle fila del PCI che sedeva in consiglio di fabbrica. “Le sirene scandivano la vita del quartiere”, ricorda Lucia Scamardella, 70 anni.
Nel 1991, tra dubbi e proteste, fu decisa la chiusura che mandò in cassa integrazione circa quattromila operai. Da allora, il futuro di Bagnoli è rimasto incerto. Le strutture costruite nell’impeto di riqualificazione stanno andando in malora prim’ancora di essere state utilizzate. Furono costruite nelle vicinanze dell’ex-fabbrica nei primi anni Duemila, con una spesa di 392 milioni di euro finanziata con fondi regionali, che furono però congelati poco prima che le opere fossero collaudate e aperte al pubblico. Vandalizzate, arrugginite, ma soprattutto costruite su terreni contaminati. Prim’ancora della riqualificazione urbana, il punto cruciale è la bonifica dei terreni, messi sotto sequestro nel 2013 dalla Procura di Napoli per disastro ambientale. Dalla relazione è emerso che la bonifica a Bagnoli non è mai avvenuta: i suoli inquinati non sono mai stati ripuliti o solo superficialmente trattati. I 390 miliardi di lire stanziati dal Governo sono spariti e i carotaggi tutti da rifare, con i terreni sotto sequestro poi, i tempi tecnici si allungano ulteriormente. “La bonifica è stata un pretesto per estendere i poteri commissariali alla rigenerazione urbana, cioè all’urbanistica, un boccone prelibato per palazzinari e speculatori di ogni risma”, ha scritto Vezio De Lucia, urbanista ed ex-assessore, autore della variante al piano regolatore di fine anni Novanta.
200 ettari, l’area occupata dall’ex acciaieria Ilva a Bagnoli. Nel 1968 aveva un fatturato di oltre 500 miliardi di lire e dava lavoro a 9mila operati
Nel 2015, il Governo nomina Salvo Nastasi commissario straordinario. Il sindaco Luigi de Magistris si oppone al commissariamento, sostenuto da centri sociali, movimenti e realtà di base, che in lui avevano trovato una voce istituzionale in difesa del territorio dall’ingerenza del governo. La scorsa primavera segna però la fine dell’idillio cittadino con il sindaco: i movimenti e i centri sociali, insieme all’Assise cittadina per Bagnoli e ai comitati, gli si rivoltano contro sentendosi traditi. Il nuovo documento sottoscritto dal Comune però, non si discosta poi tanto dalla Variante di De Lucia, che aveva lasciato la questione del porto da definire. La Variante di De Lucia al piano regolatore generale, approvata nel 1998, prevede il ripristino della linea di costa, la spiaggia pubblica, un parco di 120 ettari e spazi per sport, scienza e ricerca. La spiaggia libera è ciò per cui più si battono i comitati: un sogno per una città di mare che non ha spiagge pubbliche. Per ripristinare la linea di costa originale, oltre alla colmata (costruita con scarti di lavorazione), vanno rimossi i locali sulla spiaggia, gli edifici sul mare della Città della Scienza (un museo scientifico interattivo nato nel 1996 con un accordo di programma di cui una parte è andata a fuoco nel 2013), il Circolo Ilva e le case abusive del borgo di Coroglio.
Torna così la questione colmata, uno dei nodi irrisolti della bonifica. “Non è chiaro quanto sia veramente inquinata, la colmata è fatta di materiali inerti e quindi non pericolosi”, spiega ad Altreconomia Daniela Lepore, docente di urbanistica e studiosa dell’area ex-Italsider. “Verso la fine degli anni 90, iniziò a circolare l’ipotesi che sotto la colmata ci fossero gli idrocarburi policiclici aromatici: una teoria alternativa sosteneva che fosse più sicuro tenere la colmata mettendola in sicurezza da sotto”. Come già fatto sulla spiaggia oltre il pontile Nord, che doveva essere liberata, ma dove locali e night club sopravvivono in regime di concessione da vent’anni. Inoltre, sulla carta, il commissario Nastasi sarebbe competente soltanto sull’area Sin, ossia il perimetro del sito d’interesse nazionale alla cui bonifica deve provvedere lo Stato (tranne la Cementir, che è del Gruppo Caltagirone). Il Sin non comprende l’isolotto di Nisida, incluso invece nell’accordo. “È stato compiuto un sostanziale scambio politico tra l’insediamento alberghiero/portuale di lusso a Nisida e la spiaggia pubblica, che costituisce il principale nodo critico sulle scelte insediative -commenta Di Dato-. Il primo intervento è di rapida e agevole realizzazione trattandosi di ristrutturare le strutture esistenti, mentre il secondo appare più incerto nel tempo, richiedendo complesse e onerose opere attuative”.
Governo e istituzioni definiscono l’accordo un momento di svolta per Bagnoli, dove da sempre si è giocato il futuro di Napoli. Il Consiglio dei ministri ha appena inserito nella legge di Bilancio un finanziamento di 27 milioni per Bagnoli, ha assicurato Nastasi. Eppure a Napoli nessuno sembra credere che qualcosa cambierà davvero. “Bagnoli è stata oggetto di accordi di programma, decreti, finanziamenti ma nulla è cambiato -commenta Aldo Velo- questo è l’ennesimo accordo, peraltro più conforme agli interessi speculativi che a quelli dei cittadini, come dimostra la questione Nisida”. Il suo sconforto e disillusione sono condivisi da molti bagnolesi, stufi di aspettare, da 25 anni, un cambiamento.
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